Arrestati due uomini gravemente indiziati dell’omicidio di un uomo di 63 anni a Fondi, l’operazione è stata condotta dai Carabinieri
Oggi, 7 novembre, i Carabinieri della Compagnia di Terracina, guidati dal Maggiore Saverio Loiacono, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina, Giuseppe Cario, nei confronti di due uomini di Lenola, gravemente indiziati dell’omicidio preterintenzionale aggravato di Antonio Grossi, 63enne, originario di Fondi, che la mattina del 9 giungo scorso è stato ritrovato cadavere, da alcuni familiari, all’interno della propria abitazione, a Fondi. I due uomini raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere sono il 42enne Nico Carroccia e il 25enne Matteo Quinto.
Le preliminari risultanze apparvero incongruenti con una morte per cause naturali, motivo per cui, il sostituto procuratore della Repubblica di Latina, Martina Taglione, che ha coordinato le indagini, dispose l’esame autoptico sulla salma, permettendo di accertare che la morte era conseguenza di una doppia lesione alla milza, compatibile con un pestaggio avvenuto nei giorni precedenti.
Le indagini avviate dai militari, anche di natura tecnica, hanno consentito di ricostruire come l’evento si fosse verificato il precedente 3 giugno, all’esterno di un bar di Lenola, ad opera dei due uomini, chiamati sul posto dal proprietario dell’esercizio, per liberarsi della presenza, fastidiosa, ma non pericolosa, del 63enne fondano.
Grossi, secondo quanto ricostruito dalle indagini dei Carabinieri, spesso, si presentava palesemente ubriaco, come nell’occasione. Nella circostanza, i due aggressori hanno colpito selvaggiamente la vittima, anche con alcune sedie reperite all’esterno del bar, come ripreso da una telecamera esterna dell’impianto di video-sorveglianza.
Nel corso delle investigazioni è stato documentato un clima di diffusa omertà, caratterizzato da atteggiamenti reticenti di varie persone informate sui fatti, probabilmente per la paura nei confronti dei due indagati, di cui uno, Carroccia, pluri-pregiudicato, temuto per l’indole aggressiva. Carroccia è, infatti, un habitue delle cronache giudiziarie: coinvolto nella maxi operazione anti-droga “San Magno”, il 42enne ha svariati precedenti, tra cui una condanna definitiva per aver crivellato di colpi l’auto di un ispettore di Polizia e un’altra condanna passata in giudicato per l’estorsione nei confronti di un allevatore di Monte San Biagio.
I due arrestati sono stati condotti presso la casa Circondariale di Latina, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria, a cui dovranno rispondere delle gravi accuse di omicidio preterintenzionale aggravato.
Sulla morte di Antonio Grossi, di professione giardiniere, la Procura della Repubblica aveva aperto sin da subito un’inchiesta tanto da disporre l’autopsia eseguita lo scorso 10 giugno. Il suo cadavere è stato trovato in casa in via Giovanni Tribuzio, in località San Magno, a Fondi, domenica 9 giugno. Non è stata esclusa la pista sin dall’inizio la pista dell’aggressione.
Dopo il ritrovamento del cadavere, sul posto è giunto il personale sanitario chiamato dal fratello. I sanitari hanno tentato di rianimare l’uomo, ma ogni tentativo di salvargli la vita si è rivelato purtroppo inutile. Sulla salma, sono state notate alcune piccole lesioni. Inoltre, la settimana precedente alla sua morte, Grossi sarebbe andato al pronto soccorso, spiegando ai medici di essere caduto da un albero, per sottoporsi ad altri accertamenti sanitari, ma rifiutando il ricovero.
Gli inquirenti, dopo la morte di Grossi, hanno sentito diversi testimoni i quali hanno rappresentato che il 3 giugno scorso avvenne una grossa colluttazione al bar Centrovalle di Lenola. I proprietari del bar hanno spiegato che Grossi si sarebbe presentato al bar per poi cominciare a importunare i clienti, tanto da lanciare una sedia all’indirizzo di uno di loro. Gesti che avrebbero fatto sì che fosse richiesto l’intervento dei Carabinieri. Il deceduto avrebbe detto, secondo uno dei proprietari del bar: “Fate schifo tutti quanti, vi ammazzo,, ora vado a prendere la pistola“.
Il problema è che secondo il giudice per le indagini preliminari, uno dei due proprietari del bar avrebbe sì chiamato il 112, ma ha omesso alcune circostanze. Solo dopo aver appreso dalla stampa locale che sarebbe stato possibile l’esame autoptico sul corpo di Grossi, il proprietario aveva spiegato, giorni dopo, agli inquirenti che quel giorno aveva chiamato due persone di nome Nico e Quinto. Ad essere ascoltato anche il figlio del proprietario del bar che rende altre dichiarazioni. Viene fuori un quadro di mezze testimonianze e verità semi-celate. Ciò che è certo è che al bar, ad un certo punto, sono arrivati Nico Carroccia e Matteo Quinto, incensurato ma uomo di fiducia del primo.
Gli inquirenti, non fidandosi di quanto reso a sommarie informazioni, intercettano i testimoni i quali parlano diversamente di quanto accaduto a Grossi che viene preso a calci, pugni e persino fatto bersaglio con una sedia.
Un altro testimone, amico del fratello di Grossi, chiamato per vedere il corpo privo di vita del 63enne, riverso nel bagno, ha riferito agli inquirenti che le voci sul pestaggio di Grossi erano arrivate fino a Fondi dove, in un bar, si diceva: “hanno caricato di mazzate Antonio ju zoo“. La vittima, infatti, era conosciuta come “Antonio Zoo”.
Non solo intercettazioni e testimonianze peraltro contraddittorie e reticenti, gli inquirenti hanno utilizzato anche le immagini di una telecamera che ha ripreso il brutale pestaggio. In quei fermi immagine, si vedrebbe il figlio del proprietario del bar chiamare al telefono Nico Carroccia, dopo che nel locale erano già iniziate le discussioni con Grossi. Le immagini e gli orari dei tabulati telefonici combacerebbero fedelmente.
Carroccia chiamerebbe poi Matteo Quinto e e insieme, dopo pochi minuti, si recherebbero nel locale insieme ad un altro soggetto in via di identificazione. Grossi seduto su una sedia si vede arrivare Carroccia e Quinto. Quest’ultimo, secondo la ricostruzione dei Carabinieri, inizia a colpire brutalmente Grossi. Pugni al volto e calci all’addome, preceduti da una sedia scagliata con forza contro la schiena.
Grossi fa fatica a rialzarsi. Dopodiché Carroccia si avvicina nuovamente, ci parla e lo scaraventa a terra, ribaltando la panca su cui si era adagiato Grossi, lasciando che Quinto prosegua col pestaggio. Alla fine Grossi viene lasciato a terra col polso penzolante.
L’analisi del medico legale, Maria Cristina Setacci, sul cadavere dell’uomo, morto sei giorni dopo il pestaggio, è impietosa: la milza della vittima presentava un ematoma, provocato dai colpi di sedia ricevuti.
Il gip Cario conclude che Carroccia (già sorvegliato speciale) e il suo picchiatore sono stati chiamati dai baristi, in alternativa alle forze dell’ordine, come se rappresentassero “un potere alternativo allo Stato” e potessero controllare il territorio. Senza contare che i testimoni, a cominciare dai baristi che chiamarono Carroccia, sarebbero stati intimiditi e quindi si sono dimostrati reticenti quando chiamati a relazionare sull’accaduto.
Intercettati al telefono, i proprietari del barvengono immortalati in una conversazione esemplificativa. Il primo dice all’altro: “Lo è andato a uccidere lui (nda: in riferimento a Carroccia) perché quello là lo ha guardato in faccia“. E il secondo proprietario risponde: “Statti zitto finiscila e vabbe’ io non ti ho detto niente. Zitto a dire queste cose“.
Il Gip annota che anche il fratello della vittima ha teso a minimizzare l’accaduto e risulta intimidito tanto da dire ad un amico di non parlare al telefono dell’accaduto. “Si registra un clima di reticenza – si legge nell’ordinanza – non si esclude che le persone informate possano essere avvicinate e per timore rendere dichiarazioni reticenti, inquinando, deviando il proseguo del cammino investigativo. I titolari del bar hanno reso dichiarazioni discordanti e in parte omissive, guardandosi bene in prima battuta di aver chiesto l’intervento di Carroccia”. Anzi vogliono sollevare il 42enne pluri-pregiudicato da ogni responsabilità, tanto da accollare ogni responsabilità del pestaggio a Matteo Quinto. Invece, in una conversazione intercettata, uno dei due prorprietari del bar dice all’altro riferendosi a Carroccia: “Lo è andato a uccidere lui quello là, lo ha guardato in faccia“. E non mancano anche false testimonianze rese al pubblico ministero Martina Taglione da parte di uno dei testimoni.
Un clima di forte intimidazione, lo definisce il Gip che ha disposto il carcere sia per Carroccia che per Quinto.