Omicidio di Borgo Montello: continuano le indagini della Squadra Mobile, cresce l’attesa e la paura nella comunità indiana
Il delitto ha scosso Borgo Bainsizza dove vive il presunto assassino di Singh Jaseer, il 29enne ucciso nella serata di sabato 30 ottobre. Le denunce sono state fatte, i testimoni sono stati ascoltati ma molti nella comunità indiana hanno paura perché, per loro, più tempo passa, più gli autori della mattanza all’ex podere “Piciacchia” hanno la possibilità di fuggire.
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Chi c’è era e chi è venuto dopo, ha visto lo scenario a Borgo Montello caldo di sangue. Jaseer ancora respirava, steso a terra, quasi esanime per le sprangate ricevute dai componenti del commando indiano (qualcuno dice che, in mezzo, c’era anche qualche pakistano). Il cuore di Jaseer, colmo di gioia per il figlio appena avuto in India dalla compagna, ha smesso di pulsare poco dopo. Forse, neanche è riuscito ad arrivare all’ospedale ancora in vita.
Il commando del raid punitivo si è presentato con l’obiettivo di fare un redde rationem: lì, sabato 30 ottobre, c’erano tutti i loro nemici, quelli che non hanno voluto sottostare a una sorta di codice mafioso per cui ci sono i sottomessi e i capi. Da tempo, infatti, dal 2016 – quando Singh Jiwan, il grande accusato, in carcere per l’omicidio volontario di Singh Jaseer – gli indiani dell’Agro Pontino subiscono pestaggi e aggressioni. Nel 2019 un commerciante di Borgo Bainsizza è stato picchiato davanti al figlio di 9 anni tra le urla disperate della moglie (frattura di braccio e gamba); solo un mese fa un altro pestaggio violento a carico di un altro ragazzo. Le aggressioni sono avvenute a Latina, Aprilia, Anzio, Cisterna.
Qualcuno tra gli indiani ha girato la testa dall’altra parte per paura di essere coinvolto, qualcun altro ha paura di parlare perché l’omertà e l’assoggettamento non hanno confini quando ci sono degli aguzzini, tuttavia qualcun altro ha denunciato al Commissariato di Polizia di Cisterna, ai Carabinieri ad Aprilia, e, ora, si lamenta perché non vi è stato seguito. Eppure le minacce sono continuate negli anni e continuano ancora, soprattutto dopo la morte di Singh Jaseer. Indiani che intimidiscono e pressano altri indiani, anche perché tra di loro sanno che molti testimoni sono stati ascoltati in Questura.
C’è chi giura che a Montello, quel sabato di sangue e violenza, sono stati sparati almeno trenta colpi di arma da fuoco, non solo con una pistola ma anche con i fucili. Colpi per spaventare perché l’intenzione era quella di picchiare barbaramente, non di uccidere. A rimetterci la vita è stato un ragazzo di 29 anni che ha reagito a quelle violenze e ha subito l’accanimento del branco che lo ha lasciato a un passo dalla morte in una pozza di sangue.
Ora, però, i soccombenti chiedono uno sforzo agli inquirenti. Chiedono di monitorare gli aeroporti, le dogane, perché tra la ventina di indagati ce ne è già uno che è fuggito via in India e gli altri potrebbero fare lo stesso.
L’uomo accusato dell’omicidio è rappresentato dai soccombenti come un violento, persino come un clandestino almeno fino a quando non ha sposato una connazionale con il passaporto italiano e ha ottenuto il permesso di soggiorno in Italia. Aspetti che sicuramente le Forze dell’ordine e la magistratura potranno e dovranno chiarire, anche in ragione del fatto che c’è chi si chiede come mai in almeno quattro anni, nonostante le violenze, l’uomo l’abbia sempre fatta franca. Fermato una volta dalle Forze dell’Ordine, ma non indagato per le violenze (almeno per quanto si è a conoscenza al momento). Saranno gli organi competenti a stabilire se veramente è lui il capo della banda, capace di richiamare i suoi connazionali in tutto l’Agro Pontino da Fondi fino ad Aprilia e organizzare raid di violenza contro chi giudica avverso.
È andata più o meno così sabato sera quando al casolare c’erano tutti quelli che erano giudicati non obbedienti e il commando ha deciso che andava impartita la lezione decisiva. È probabile, come accennato, che non ci fosse volontà di uccidere ma di fare del male come altre volte. D’altra parte, nel mondo indiano sono in pochi a decidere chi lavora e come: anche nei campi, dove si consuma il caporalato, i capetti decidono chi può e chi non può.
Ad oggi, oltreché al povero 29enne morto, di cui la famiglia in India ancora non sa bene come siano andate le cose – gli amici stanno aspettando che il corpo venga restituito dopo che ha già subito l’autopsia disposta dal Pm Giancristofaro -, ci sono almeno due feriti gravi. Uno di loro è un ragazzo giovane ricoverato, 24 anni, vive ad Aprilia, e riesce a malapena a nutrisi e parlare.
Da ciò che sta emergendo, non è esagerato parlare di mafia in erba che va bloccata subito. Le cose sono scappate di mano nell’indifferenza generale. D’altra parte, a Latina i borghi come Bainsizza, Montello e Santa Maria non li conoscono neanche i politici che rilasciano i comunicati stampa.
Intanto, nella giornata odierna, c’è un stato un nuovo arresto tra gli oltre venti indagati per l’omicidio di Borgo Montello: un giovane di 22 anni, di nazionalità indiana, per lesioni e violazione di domicilio.