Picchiata e uccisa a Latina dal genero: è stata emessa la sentenza di condanna per omicidio a carico di Antonio Zappalà
La Corte d’Assise, presieduta dal giudice Gian Luca Soana – a latere il giudice Fabio Velardi -, insieme alla giuria popolare, ha condannato Antonio Salvatore Zappalà alla pena di 21 anni e 7 mesi per l’omicidio volontario della suocera Debora Bergamini. Il Tribunale ha concesso all’uomo le attenuanti generiche, condannandolo all’interdizione dai pubblici uffici e anche al pagamento spese. Concesso alle figlie della vittima – le due figlie, di cui una ex moglie dell’omicida – il risarcimento civile da calcolare in separata sede e la provvisionale da 50mila euro per ciascuna delle medesime figlie assistite dagli avvocati Orlacchio, Palombi e Censi. Le motivazioni della sentenza saranno rese disponibili tra due settimane. Ad ogni modo, la Corte d’Assise ha condannato all’uomo non solo all’omicidio volontario, ma anche per gli altri due capi d’imputazione: lesioni (nei confronti dell’anziano padre) e resistenza a pubblico ufficiale.
L’avvocato difensore dell’uomo, Antonio Messina, aveva chiesto, prima che la Corte si riunisse in camera di consiglio, la derubricazione del reato da omicidio volontario e preterintenzionale e l’assoluzione per gli altri due capi d’imputazioni. In subordine, il minimo della pena e le attenuanti generiche per l’imputato.
Una sentenza mitigata rispetto alle richieste del Pm Marco Giancristofaro che, al termine della requisitoria nella scorsa udienza, aveva chiesto per Zappalà l’ergastolo.
Reo confesso dell’omicidio della suocera, per Antonio Salvatore Zappalà, è finito il processo in primo grado. Al termine dell’udienza, dopo la sentenza di condanna, una delle due figlie della vittima si è rivolta al killer della madre, presente in aula e ristretto nella camera di sicurezza. La frase all’indirizzo di Zappalà è suonata macabra: “La vecchietta veglia su di te”. Tensione durata un attimo, dopodiché Zappalà, che aveva lo sguardo terreo, è stato portato via dagli agenti della Polizia Penitenziaria.
Zappalà si trova in carcere dal 15 gennaio 2022 quando fu arrestato dagli uomini della Squadra Mobile e Volante di Latina. Nell’appartamento di Via Casorati, a Latina, secondo la ricostruzione degli investigatori e della Procura, la suocera di Zappalà, Debora Bergamini, fu trovata agonizzante a terra dalla figlia Stefania Cepollaro, all’epoca compagna del medesimo Zappalà, il quale si dimostrò confuso sull’accaduto, arrivando anche a negare di aver mai colpito la donna.
Per quanto prospettato dagli inquirenti, invece, l’uomo avrebbe colpito più volte la suocera fino a farla cadere per terra. A dimostrarlo, sarebbero state anche determinate ferite sul corpo della 70enne, probabilmente presa a pugni a schiaffi dopo aver chiesto un favore domestico al genero. E a confermarlo, nel corso del processo, anche le testimonianze tra cui le consulenti tecniche e mediche e soprattutto il padre di Zappalà che all’epoca del fatto viveva in casa con il figlio, la con-suocera e la nuora.
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Zappalà, secondo le indagini condotte dal sostituto procuratore Marco Giancristofaro, avrebbe percosso fino a far cadere per terra la suocera Debora Bergamini, disabile sulla sedia a rotelle, in preda a un accesso di ira. Il 46enne, nell’interrogatorio di garanzia, si era avvalso della facoltà di non rispondere.
Lo scorso 22 maggio, è stato esaminato in aula l’imputato Antonio Salvatore Zappalà, visibilmente provato. L’uomo, scortato dagli agenti della Penitenziaria, si è seduto davanti alla Corte d’Assise ma il suo volto era completamente spento. Faceva fatica a parlare e, da seduto, muoveva su è giù, compulsivamente, la gamba sinistra.
Interrogato dal suo avvocato difensore Antonio Messina, Zappalà ha chiesto di nuovo perdono così come aveva fatto a gennaio scorso quando rilasciò in aula dichiarazioni spontanee. Durante l’esame, l’avvocato ha provato a far risaltare alcune croniche criticità nei rapporti tra genero e suocera, la quale avrebbe attribuito la responsabilità, e nella relazione tra una delle figlie di Bergamini e Zappalà stesso: “Era un amore litigarello”, ha detto in aula l’imputato.
Ad ogni modo, Zappalà ha confermato di aver colpito al volto la donna e per di più di essersi accorto che l’anziana stava agonizzando: “Chiedo perdono ma non volevo che finisse così“. Alla domande del suo avvocato, “perché non ha finito la Bergamini?”, l’imputato ha risposto tremante: “La mia intenzione non era ucciderla, volevo semplicemente farla stare più calma e non ne potevo più di quelle parole…l’ho rimessa sulla sedia a rotelle perché volevo aiutarla“.
Il Pubblico Ministero, nella requisitoria della scorsa udienza, ha ricordato i gravi capi d’imputazione a carico di Zappalà: omicidio, resistenza a pubblico ufficiale e le lesioni (quelle nei confronti di suo padre); in seguito, ha passato in rassegna tutte le conferme che questo processo ha avuto sulla responsabilità dell’imputato, da parte del padre di Zappalà interrogato, da parte di Polizia, medici, consulenti tecnici e dallo stesso imputato.
Fu la Polizia a segnalare l’anomalia delle ferite riportate da Bergamini quando a gennaio 2022 fu trasferita in ospedale: quelle ferite non erano compatibili con una caduta – ha detto il Pm – e c’era stato sì un ictus, ma furono le ferite al volto ad essere decisive. Senza contare che lo stesso Zappalà, davanti agli agenti di Polizia giunti sul luogo dell’omicidio, diede un pugno a uno di loro per poi minacciare: “Non sapete chi sono io, non sapete quanti omicidi per mafia ho commesso“.
Anche la testimonianza di Stefania Cepollaro, la ex compagna di Zappalà e figlia di Debora Bergamini, ha confermato il quadro accusatorio. La donna peraltro ha anche riferito che una volta tornata in appartamento, e avendo visto la madre in condizioni vicine alla morte, chiese al compagno chiarimenti e lui le disse che non si era accorto di nulla. In realtà, ha continuato il Pm, riportando anche la testimonianza del padre di Zappalà, quest’ultimo, tornando a casa, aveva aggredito sia il medesimo anziano padre, sia la Bergamini presa a schiaffi e colpi su viso e torace. Il padre invece fu colpito con una bacinella che i poliziotti ritrovarono completamente fracassata. Tutto, sottolinea il Pm, per motivi futili, di derivazione domestica.
Le stesse consulenze tecniche hanno fatto trovare il sangue della vittima sull’imputato e il DNA di Zappalà sotto le unghie della suocera: per il Pm è prova che la donna si difese disperatamente con la mano destra per parare gli schiaffi. “La morte della vittima – ha detto il sostituto procuratore Giancristofaro – non è stata provocata da una caduta dalla sedie e a rotelle, ma dagli schiaffi ricevuti da Zappalà“.
Una lite per motivi domestici sfociata nella tragedia e, ad aggressione avvenuta, Zappalà “non ha neanche chiamato i soccorsi. La vittima rantolava, era incosciente e tu non chiami nessuno?”, si è rivolto il Pm ai giudici e alla giuria popolare. Zappalà se ne sarebbe andato nella sua stanza senza fare niente per rimediare a quell’aggressione rivelatasi fatale: per tale ragione, il Pm non vuole concedere le attenuanti generiche, non è disposto a recepire la confessione di Zappalà e soprattutto giudica l’atto un omicidio volontario e non preterintenzionale. “Quando cade la suocera, Zappalà dimostra indifferenza…gli ha dato una marea di colpi, sicuramente più di 4 e soprattutto in in parti vitali all’altezza del cuore e del cervello”.
E contro chi si è accanito Zappalà, si chiedere retoricamente il Pm. “Contro un’anziana paralizzata e sulla sedia a rotelle“.