‘Ndrangheta sul litorale tra Anzio e Nettuno, riconosciuta l’associazione mafiosa: regge l’impianto accusatorio della Procura/DDA di Roma
Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Roberto Saulino, ha pronunciato una sentenza che conferma in pieno l’impianto accusatorio avanzato dalla Procura/Direzione Distrettuale Antimafia di Roma in merito al processo scaturito dalla maxi operazione anti ‘ndrangheta che, un anno fa, a febbraio 2022, era culminata in decine di arresti tra Anzio e Nettuno.
Giudicati col rito abbreviato, il Gup Saulino ha condannato a 20 anni di reclusione, tra gli altri, Bruno Gallace, Vincenzo Italiano, Gregorio Spanò e Fabrizio Schinzari e ha rinviato a giudizio un’altra trentina di imputati, tra cui Giacomo Madaffari, che hanno scelto il rito ordinario e che saranno giudicati presso il Tribunale di Velletri. A tutti e 25 gli imputati che hanno optato per il rito abbreviato sono stati inflitti complessivamente 260 anni di carcere. Tra le condanne anche qualche assoluzione per alcuni degli imputati.
Confermata, quindi, l’associazione mafiosa: tra Anzio e Nettuno era stata impiantata una locale di ‘ndrangheta autonoma e riconosciuta dalla “mamma” calabra.
Diversi i reati contestati a vario titolo: associazione mafiosa, associazione finalizzata at traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravata dal metodo mafioso, cessione e detenzione ai fini di spaccio, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti aggravato dal metodo mafioso.
Ai vertici di ben due sodalizi legati alla ‘ndrangheta di Santa Cristina d’Aspromonte in provincia di Reggio Calabria e di Guardavalle in provincia di Catanzaro, secondo l’ipotesi della magistratura, sono Giacomo Madaffari, Bruno Gallace e Davide Perronace.
Gli scopi della locale tra Anzio e Nettuno erano molteplici: acquisire la gestione e/o il controllo di attività economiche nei più svariati settori (ad esempio ittico, della panificazione, della gestione e smaltimento dei rifiuti, del movimento terra); commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuate, contro la pubblica amministrazione e in materia di armi e stupefacenti; affermare il controllo egemonico sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe e mediante infiltrazioni nelle amministrazioni comunali; infine, di procurarsi ingiuste utilità e controllare la politica alle elezioni 2018 e 2019: tra gli esponenti menzionati anche l’ex Sindaco Candido De Angelis che ha ammesso di conoscere la famiglia del boss Davide Perronace.
Costituiti come parti civili i Comuni commissariati e sciolti per infiltrazioni mafiose di Anzio e Nettuno, oltreché all’Associazione “Antonino Caponnetto”.
“Esprimiamo la nostra soddisfazione – dicono le associazioni Coordinamento Antimafia Anzio-Nettuno e Rete Nobavaglio – per la decisione delle commissioni straordinarie di Anzio e Nettuno di costituirsi parte civile nel processo, per Anzio si tratta della prima volta in cui l’amministrazione si costituirà parte offesa.
In questi ultimi mesi nonostante l’impegno della DDA di Roma e delle forze dell’ordine le mafie sui nostri territori non sono state “immobili”, è necessario che ciascuno faccia la sua parte rompendo “il muro di omertà” che “circonda una fetta” consistente delle realtà locali. Rinnoviamo il nostro invito a denunciare alle forze dell’ordine i reati soprattutto quelli commessi dalle organizzazioni malavitose. Noi come associazioni continueremo a fare la nostra parte, invitiamo tutti i cittadini a partecipare all’iniziativa Esplorando la legalità che, assieme agli scout (C.N.G.E.I. SEZIONE SCOUT ANZIO-NETTUNO APS e GRUPPO SCOUT AGESCI ANZIO –NETTUNO 1) e ad realtà associative come RETI DI GIUSTIZIA IL SOCIALE CONTRO LE MAFIE, stiamo organizzando per il 12 marzo dalle 9, 30 presso il Parco Palatucci di Nettuno. Va, infine, un rinnovato ringraziamento per l’importante attività investigativa svolta sui nostri territori ai p.m. della DDA di Roma Giovanni Musarò, Francesco Minisci ed Alessandra Fini e ai militari dal nucleo investigativo dei carabinieri del comando provinciale di Roma”.
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