‘NDRANGHETA, OPERAZIONE “PERSERVERANCE”: 10 MISURE, PERQUISIZIONI ANCHE A LATINA

POLIZIA CARABINIERI

Operazione anti-‘ndrangheta che parte dall’Emilia Romagna e arriva anche in provincia di Latina. In tutto 7 arresti e 3 misure cautelari. L’indagine arriva a Latina per i legami tra le cosche e una donna

La Polizia di Stato di Reggio Emilia e il Comando Provinciale dei Carabinieri di Modena, nell’ambito dell’operazione “Perseverance“, stanno eseguendo 10 misure cautelari personali, (7 custodie in carcere, 2 arresti domiciliari e una misura interdittiva), nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti gravemente indiziati di reati quali l’appartenenza ad associazione di tipo mafioso, finalizzata, tra l’altro, all’attività di recupero credito di natura estorsiva e al trasferimento fraudolento di valori mediante l’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, ovvero di agevolare la commissione dei delitti di riciclaggio e di reimpiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, anche tramite falsità ideologiche in atti pubblici commesse da pubblici ufficiali e da privati.

Poliziotti e carabinieri stanno eseguendo anche 35 perquisizioni nelle province di Reggio Emilia, Modena, Ancona, Parma, Crotone, Milano, Prato, Pistoia e Latina.
I provvedimenti sono stati emessi dal Gip presso il Tribunale di Bologna, su richiesta della Procura della Repubblica di Bologna – Direzione Distrettuale Antimafia, sulla base degli esiti delle risultanze di due filoni e che complessivamente vedono indagati 29 italiani.

I militari, partendo, dalle risultanze investigative della nota indagine Aemilia, che ha visto impegnati dal 2010 al 2015 il Nucleo Investigativo di Modena con quello di Parma e la Compagnia di Fiorezuola D’Arda, e dell’altrettanto nota indagine della Polizia di Stato “Grimilde” relativa agli anni dal 2015 al 2019 – avviarono sin dal 2017 una rilettura di oltre trent’anni di eventi delittuosi lungo l’asse Cutro – Reggio Emilia. Così è stata sviluppata l’attività investigativa facendo luce sulla figura di Giuseppe Sarcone Grande, rimasto fino a quel momento a margine delle investigazioni e delle sentenze emesse all’esito dei noti processi che hanno visto invece condannati gli altri tre fratelli Sarcone tutt’ora detenuti per associazione di tipo mafioso.

L’indagine rafforza la conoscenza dell’organigramma del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano, storicamente legato alla cosca Grande Aracri di Cutro ed operante in autonomia nel territorio emiliano, con enorme capacità di infiltrazione nei settori centrali della economia e della vita civile. L’indagine ha permesso di accertare come l’uomo, per il tramite di prestanome, abbia di fatto gestito attività economiche nelle province di Modena e Reggio Emilia (sale scommesse, officine meccaniche, carrozzerie, società immobiliari) nel tentativo di salvaguardare il proprio patrimonio da prevedibili sequestri, alla luce della misura di prevenzione patrimoniale gia emessa nel settembre del 2014 nei confronti della famiglia.

SARCONE – Il personaggio di spicco ad essere arrestato è Giuseppe Sarcone Grande, l’ultimo fratello della nota famiglia finora rimasto in libertà. L’uomo è gravemente indiziato di essere uno degli attuali vertici dell’associazione ‘ndranghetistica emiliana: attraverso prestanome avrebbe gestito attività economiche modenesi e reggiane, come sale scommesse, officine meccaniche, carrozzerie, società immobiliari, nel tentativo di salvaguardare il proprio patrimonio da prevedibili sequestri, alla luce della misura di prevenzione patrimoniale già emessa nel settembre del 2014 nei confronti della famiglia. Ora sono state sequestrate cinque società, quattro complessi immobiliari e un’auto. Episodio emerso in indagine è il tentativo di acquisire la gestione di un’area di servizio in provincia di Reggio Emilia e di una sala slot e scommesse a Modena, attraverso la costituzione, da parte di soggetti compiacenti, di apposite società, tutte di fatto di nascosto gestite da Sarcone.

MUTO – La figura di Antonio Muto è emersa nell’indagine ‘Perseverance’ quando due coniugi si sarebbero affidati al gruppo per fare del male a una donna, divenuta di ostacolo per l’acquisizione di un patrimonio, un fatto scongiurato solo dall’intervento della polizia reggiana che, attraverso perquisizioni, ha indotto i mandanti ad abbandonare l’obiettivo per il timore degli inquirenti.

I due, in un’altra occasione, avrebbero anche chiesto alla consorteria di recuperare una somma di denaro, due milioni di euro secondo le intercettazioni, di probabile provenienza illecita. Muto si sarebbe rivolto quindi a Domenico Cordua e Giuseppe Friyio: i due si sarebbero appostati fuori dalla casa del debitore, in Toscana, e gli avrebbero consegnato documenti sul presunto credito, accompagnati da foto di suoi stretti parenti, con intento intimidatorio.

È seguito quindi un intervento, in difesa della vittima, da parte di una persona che si è presentata come referente di un altro gruppo calabrese. A quel punto sarebbe entrato in scena, “con azione che si è svolta con dinamiche tipicamente mafiose”, per gli inquirenti, anche Giuseppe Sarcone Grande. Ci sono state ‘trattative’ sull’esistenza e l’esigibilità del credito, affrontate in riunioni del gruppo, documentate dalla squadra mobile reggiana.

LATINA – Secondo gli investigatori, una collaboratrice scolastica aveva un ruolo di prestanome per la famiglia Sarcone. A rivelarlo il collaboratore di giustizia Angelo Salvatore Cortese. La donna avrebbe svolto l’attività di collaboratrice scolastica e a Latina sarebbe stata per 4 anni: da marzo 2013 al maggio 2017. Secondo gli inquirenti, la donna sarebbe stato una testa di legno dei Sarcone risultando anche un imprenditrice. Avere conservato la residenza, ha portato ieri l’operazione Perseverance anche a Latina.

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