Si parla della ndrangheta dei Commisso che ha infiltrato anche l’Umbria e torna in pista la famiglia Crupi che, come è emerso negli anni scorsi, aveva numerosi interessi a Latina. È anche questo lo scenario inquietante che si fa ancor più fosco con le operazioni “Infection” e “Core Business” portate a termine dalla Polizia di Stato attraverso il coordinamento delle Direzioni distrettuali antimafia di Catanzaro e Reggio Calabria, con l’impegno delle Squadre Mobili di Catanzaro, Reggio Calabria e Perugia, e del Servizio centrale operativo.
Va specificato che per il processo più importante, celebratosi in primo grado nel Tribunale di Latina, eppoi in Appello a Roma, che ha visto coinvolti i Crupi, quest’ultimi sono stati assolti da reati gravissimi come il traffico di droga dall’Olanda per cui si era ipotizzata l’associazione per delinquere. Per quell’inchiesta risalente al maggio 2017 e coordinata dalla Dda di Roma, furono sequestrate 13 società operanti nel settore florovivaistico; 36 terreni agricoli; 22 abitazioni; 7 locali adibiti ad esercizi commerciali; 21 fabbricati/magazzini; 2 alberghi; 1 centro sportivo; 33 veicoli; 26 conti correnti bancari.
Tra i tanti beni sequestrati, spiccò il centro sportivo La Siepe di Borgo Carso e alcune case e terreni sulla Migliara 45.
Ma ieri la ‘ndrangheta ha dimostrato che la linea della palma non esiste più, ha spazzato via ogni latitudine e la mano delle cosche calabre arriva ovunque, anche nella tranquillissima Umbria. E proprio perché luogo lontano dai riflettori, così ghiotto per chi si muove con scaltrezza e senso del lucro.
La ‘ndrangheta, come hanno spiegato gli inquirenti, è riuscita a radicarsi in maniera compiuta nel tessuto economico dell’Umbria, investendo ingenti somme di denaro, puntando anche al condizionamento della pubblica amministrazione e gestendo lo spaccio di droga e le estorsioni. Una vera e propria filiale che dalla Calabria è stata allestita e Perugia e nell’hinterland.
L’indagine di ieri ha portato all’emissione di 27 ordinanze di custodia cautelare, quattro per Reggio Calabria e il resto per Catanzaro (tre sono agli arresti domiciliari), con 51 indagati in tutto e il sequestro di beni per un valore di circa dieci milioni di euro.
Al centro delle indagini le cosche Trapasso e Mannolo di San Leonardo di Cutro (Crotone) e Commisso di Siderno (Reggio Calabria). I reati contestati sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e occultamento di armi clandestine, minacce, violenza privata, associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di una serie di reati di natura contabile o economico-finanziaria strumentali alla realizzazione sistematica di frodi in danno del sistema bancario.
La ‘ndrangheta acquistava in Umbria terreni da destinare a vigneti per la produzione di vino da commercializzare in Canada e, nel frattempo, si impegnava per trovare escamotage che potessero evitare il sequestro di beni.
La figura centrale sarebbe quella di Cosimo Commisso, alias “U guagghia”, uscito dal carcere lo scorso mese di gennaio. Sarebbe stato lui a gestire gli affari dell’organizzazione mafiosa in Umbria, diventando un vero e proprio punto di riferimento non solo per le cosche, ma anche per professionisti e cittadini che si rivolgevano alla mafia calabrese per superare problemi.
Tra i rapporti finiti al centro delle indagini, anche quelli con Giuseppe Minnici, businessman di riferimento dell’organizzazione, soprattutto in Umbria. L’ inchiesta è partita proprio dal monitoraggio di Commisso, trasferitosi a Perugia nel 2015 dopo una lunga detenzione, e dal costante coordinamento tra le tre procure e le tre squadre mobili interessate. Gli affari sarebbero stati gestiti grazie ai rapporti di Commisso con Antonio Rodà, referente imprenditoriale in Umbria della famiglia Crupi.
Proprio con Rodà, emerge dall’indagine, Commisso avrebbe discusso di come salvaguardare i beni dei Crupi da eventuali provvedimenti dell’autorità giudiziaria, e avrebbe mantenuto il contatto diretto con altri presunti sodali a Siderno, ma anche con esponenti di cosche di altre città come appunto San Leonardo di Cutro.
Le indagini di ieri rappresentano la naturale prosecuzione dell’operazione “Acero-Siderno Connection” e hanno permesso di ricostruire l’attività illecita del clan a partire dal 2015, da quando Cosimo Commisso si era stabilito a Casa del Diavolo, nella periferia di Perugia, per scontare i domiciliari.
Lo stesso Commisso avrebbe mantenuto contatti costanti con i rappresentanti delle cosche crotonesi finite nell’indagine, progettando iniziative imprenditoriali comuni. Nello specifico, le cosche Mannolo e Trapasso avrebbero impiantato un lucroso traffico di stupefacenti, anche con la complicità di trafficanti albanesi, minato, attraverso attività estorsive, la libera concorrenza nella esecuzione di lavori edili, nonché attivandosi a favore di soggetti candidati alle elezioni amministrative locali nella tornata elettorale precedente a quella del 2019, anche se non risultano indagati elementi esterni alla cosca per questi motivi.
Numerose le società sequestrate in Umbria, Lazio e Lombardia attraverso le quali l’organizzazione criminale realizzava i citati reati economico finanziari. Tra queste, anche la società Anghiari residence s.r.l. di Arezzo – già oggetto di sequestro di prevenzione disposto dal Tribunale di Latina – nella reale disponibilità dei fratelli Crupi e della consorteria criminosa sidernese.