‘NDRANGHETA, DIA ESEGUE 26 ARRESTI TRA LAZIO, CALABRIA E SICILIA

‘Ndrangheta su Roma: la Direzione Investigativa Antimafia esegue 26 arresti tra Lazio, Cosenza e Agrigento

Su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, a Roma e provincia, nella regione Lazio, in provincia di Cosenza e Agrigento, è in corso una vasta operazione della Direzione Investigativa Antimafia per dare esecuzione a un’ordinanza, emessa dal gip del Tribunale di Roma, Gaspare Sturzo, su richiesta dei procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò della Procura della Repubblica di Roma-Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, che dispone misure cautelari nei confronti di 26 persone (24 in carcere e 2 ai domiciliari), indiziate a vario titolo di far parte di un’associazione per delinquere di stampo mafioso, una cosiddetta locale di ‘ndrangheta, radicata sul territorio della capitale.

La Dia, in una nota, spiega che la “locale” era “finalizzata ad acquisire la gestione e/o il controllo di attività economiche nei più svariati settori, ad esempio ittico, della panificazione, della pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti, facendo poi sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività e di numerose ipotesi di attribuzione fittizia di valori. “L’organizzazione di matrice ‘ndranghetista si ripropone, alla stregua di quanto ricostruito, in termini di gravità indiziaria, dalle indagini sviluppate dal Centro Operativo D.I.A. di Roma, anche il fine di commettere delitti contro il patrimonio e l’incolumità individuale, affermando il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio”, osserva la Dia. Sono tuttora in corso perquisizioni.

L’attuale provvedimento cautelare, a conclusione dell’ulteriore approfondimento investigativo realizzato dall’ottobre 2021, compendia e completa nel dettaglio quanto già emerso in occasione dei sequestri, operati in parallelo al precedente provvedimento, delle 25 società per un valore totale di circa 100 milioni di euro. L’attività di indagine compiuta nell’ambito del presente procedimento ha consentito infatti di ricostruire, in termini di gravità indiziaria, la applicazione sistematica di uno schema collaudato, di un modello finanziario “ciclico”, tipizzato nel seguente schema: abbandono della società ritenuta compromessa; utilizzo di una società nuova; acquisizione della ditta e dei contratti di locazione con la distrazione di beni, stigliature, insegne e avviamento dell’azienda appartenente alla società da abbandonare; individuazione dei nuovi intestatari fittizi attraverso i quali continuare a possedere le attività commerciali e mantenere il controllo delle stesse.

L’attività di indagine compiuta nell’ambito del presente procedimento ha consentito infatti di ricostruire, in termini di gravità indiziaria, come i vertici e i componenti della locale di Roma, acquisiti gli esercizi aziendali, ne acquisissero di frequente anche gli immobili, versando, all’atto dell’acquisto, un anticipo spesso insignificante diluendolo, poi, in centinaia di rate, garantite da cambiali che, secondo le intercettazioni, erano in realtà pagate in contanti; ovvero ricorressero ad operazioni di ricarica di carte postepay, fittiziamente intestate a terzi, effettuate presso i terminali delle tabaccherie sotto il loro controllo, utilizzando lo scoperto garantito da SISAL che successivamente veniva reintegrato con versamenti contanti.

Lo scopo dell’organizzazione era quello di acquisire la gestione e il controllo di attività economiche nei più svariati settori (ittico, della panificazione, della pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti), facendo poi sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività, e di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuale e in materia di armi. L’obiettivo era inoltre di affermare il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio (in particolare nel settore della ristorazione, dei bar e della panificazione), realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe; e, comunque, infine, di procurarsi ingiuste utilità.

L’indagine è il secondo atto dell’inchiesta denominata “Propaggine” che vide, a maggio scorso, tra i coinvolti anche tre pontini.

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