Il caso “mercato delle toghe” giunge anche a Latina. Dalla procura di Roma per fare il giudice nel capoluogo pontino arriva il pm Stefano Rocco Fava (probabilmente dopo l’estate), indagato dalla procura di Perugia per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio nell’inchiesta originata dall’ex presidente dell’Anm Luca Palamara indagato per corruzione. Il pm Fava è accusato dai magistrati umbri di aver rivelato a Palamara i motivi per i quali era indagato dalla procura di Perugia.
La richiesta del trasferimento a Latina era stata presentata dallo stesso Fava e accolta all’unanimità dal plenum del Csm. Fava, così, evita di essere allontanato d’ufficio dalla procura di Roma per incompatibilità, infatti la pratica aperta dalla Prima Commissione sarà con tutta probabilità archiviata. Non l’indagine a suo carico da parte della Procura perugina, almeno per ora.
Fava, calabrese come Palamara e suo amico da molti anni, è, infatti, il magistrato della Procura capitolina che aveva presentato un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura (a marzo scorso) in cui evidenziava gli incarichi professionali conferiti dall’avvocato Pietro Amara, ex legale esterno dell’Eni sotto inchiesta a Roma in un’intricata vicenda di mazzette e petrolio, al fratello dell’ex procuratore della Capitale Giuseppe Pignatone, Roberto professore associato di Diritto tributario con studio a Palermo, e al fratello del procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo. Vicende che sono state ritenute irrilevanti dalla Procura di Perugia.
Per tale motivo, la procura di Perugia notificò nella scorsa primavera un invito a comparire al neo pm pontino Stefano Fava (interrogato il 4 giugno per 5 ore dai pm di Perugia), in cui inoltre scriveva a chiare lettere che le vicende da lui poste in essere riguardanti i possibili conflitti d’interesse di Pignatone e Ielo erano “allo stato smentite dalla documentazione sin qui acquisita“. I giudici della Procura di Perugia, così, contestano come ipotesi di reato la consegna da parte di Fava degli allegati a quell’esposto, atti presi dal fascicolo non più segreto. A quanto riporta Il Fatto, per i pm di Perugia quell’esposto (o almeno i suoi allegati) era stato condiviso con Luca Palamara in una conversazione del 16 maggio nella quale quest’ultimo chiedeva a Fava notizie sull’innesco romano delle indagini a suo carico.
Per questo Fava “quale sostituto procuratore titolare del procedimento penale n.44630/16, in seno al quale erano scaturiti gli accertamenti che avevano poi imposto la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica di Perugia nei confronti di Palamara Luca (reati di corruzione di cui al presente procedimento) confluiti nella nota di indagine che la Procura di Perugia aveva inoltrato al Csm in relazione alla iscrizione nel registro degli indagati nei confronti di Palamara Luca, violando i doveri inerenti la sua funzione e abusando della sua qualità”. La violazione di segreto di ufficio si sarebbe realizzata da parte di Fava “comunicando – scrivono i pm di Perugia – con Palamara e rispondendo alle sue plurime e incalzanti sollecitazioni, gli rivelava come gli inquirenti fossero giunti a lui, specificandogli che gli accertamenti erano partiti ‘dalle carte di credito’ di Centofanti Fabrizio (ndr: l’imprenditore ed ex capo delle relazioni istituzionali del gruppo Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone, è l’uomo che inguaia Palamara. I pm di Perugia ipotizzano che avrebbe corrotto il pm pagandogli gli alberghi per alcune brevi vacanze e si erano estesi alle verifiche e pernottamenti negli alberghi, rivelandogli altresì alcuni retroscena delle indagini).