LATINA, TERRENO EX SUORE ALCANTARINE: PALAZZO SPADA DICE NO A RICHIESTA MILIONARIA

Il nuovo capitolo del terreno appartenuto alle suore Alcantarine a Latina: il Consiglio di Stato respinge il ricorso dei privati che chiedevano soldi al Comune

“A fronte di una richiesta risarcitoria ancorata all’inerzia che l’amministrazione avrebbe scorrettamente tenuto dal 2013 al 2018, ancora nel febbraio 2021 difettava un necessario adempimento della parte appellante per il rilascio del provvedimento richiesto. Il ritardo pertanto non è imputabile all’amministrazione sul piano causale”. È così che si chiude, con la sentenza pronunciata dal Consiglio di Stato, l’annosa vicenda del terreno in Viale Cesare Augusto, angolo Via Ludovico Ariosto e Via Torquato Tasso. Palazzo Spada quindi nega il risarcimento ai privati che lo chiedevano al Comune di Latina per la mancata realizzazione di un compendio edilizio sul terreno delle suore Alcantarine.

La questione sembrava avesse trovato il suo epilogo con l’approvazione del parere favorevole alla realizzazione di “un fabbricato ad uso residenziale e commerciale”, compresi alloggi a canone calmierato, da parte della Conferenza dei servizi, convocata dalla Regione Lazio, chiamata a decidere sulla richiesta del permesso a costruire da parte dei privati (presentata nel 2012) che acquistarono il terreno dalle suore Alcantarine. I privati si avvalsero della Legge Regionale n. 21 del 2009, meglio conosciuta come il Piano Casa dell’era Polverini (quando Renata Polverini era Presidente di Regione Lazio).

La storia inizia addirittura nel 1963, quando le suore Alcantarine acquistarono, per 25 lire a metro quadro, il terreno di 4900 metri quadrati al fine di costruire una struttura di edilizia scolastica, un asilo per l’esattezza.

Successivamente, il terreno fu acquistato da alcuni privati che, nel 2012, fecero richiesta, sulla scorta del Piano Casa regionale, per costruire il fabbricato e tutto il resto, spodestando (legittimamente, si scoprirà in futuro) l’idea di una scuola per i più piccoli.

Una Conferenza di Servizi del gennaio 2013, presso la sede della Direzione Regionale Territorio e Urbanistica, si chiuse con “parere di non ammissibilità” al permesso a costruire presentato dai privati acquirenti; poi, due anni dopo, a gennaio 2015, il Tar respinse il ricorso presentato dai privati contro la decisione di non ammissibilità. Sembrava fatta per il Comune, ma i privati presentarono ricorso al Consiglio di Stato che, nel gennaio 2016, diede loro ragione riformando la sentenza del Tar di Latina risalente al gennaio di un anno prima: “Ritiene il Collegio – scrivevano in sentenza i giudici di Palazzo Spada – che le Amministrazioni non abbiano sufficientemente approfondito il punto del se la destinazione a “servizi generali” di una significativa porzione dell’area possa giustificare l’intervento progettato, come aveva ritenuto in un primo tempo, in sede cautelare, il Tribunale regionale, che però è andato in contrario avviso, ma senza adeguata motivazione, con la decisione impugnata. L’appello è dunque fondato e va accolto, con annullamento della sentenza impugnata e, di conseguenza, accoglimento del ricorso di primo grado”.

E non era finita qui perché un ulteriore ricorso al T.A.R. del Lazio, sezione staccata di Latina, era stato presentato il 9 marzo 2018 dai privati proprietari del terreno di Via Cesare Augusto, per il riconoscimento del danno subito, quantificato dai ricorrenti in quasi 1,5 milione di euro, in ragione dei ritardi causati dal Comune di Latina e dalla Regione Lazio per il permesso a costruire, corroborato dalla sentenza del Consiglio di Stato suddetta.

Il Tar di Latina, dunque, nel 2021, si era finalmente espresso e aveva ritenuto inammissibile la richiesta di “risarcimento” milionaria avanzata dai tre privati proprietari del terreno e rappresentati dall’avvocato Giovanni Pascone (altra vecchia conoscenza di diverse amministrazioni pontine). I giudici amministrativi avevano accolto la tesi difensiva di Comune di Latina e Regione Lazio riguardo alla presentazione fuori tempo massimo del ricorso da parte dei tre privati: Cinzia Pepé Sciarria, Jamila Campagna e Angelo Polizzi.

Ora, è arrivata la pronuncia del Consiglio di Stato. Quella definitiva, forse.

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