Il Consiglio di Stato pronuncia la sua ordinanza sull’ormai intricata questione degli avvocati di Latina e del loro Ordine: rimanda tutto alla decisione del Tar ma blocca la strada alle nuove elezioni
La storia dell’Ordine degli Avvocati di Latina è diventata un rompicapo e a saperlo sono gli stessi togati: da una parte quelli che hanno vinto le elezioni di gennaio 2019 (in corsa tre liste: Avvocatura unita, Movimento forense Latina e Insieme per il cambiamento, oltre ai singoli Giuseppe Pannone e Catia Pedron), dall’altra quelli che sono risultati perdenti nelle “urne” ma stanno dando battaglia perché si ritengono ingiustamente penalizzati. Andiamo con ordine in un labirinto di pronunce la cui uscita appare sempre più farsesca, neanche fosse vergata dalla penna di Georges Feydeau.
A giugno 2019 la Corte Costituzionale lo stabilisce, in seguito alla questione sollevata dal Consiglio Nazionale Forense (Cnf): dopo due mandati consecutivi l’avvocato non può farsi rieleggere nei Consigli degli Ordini circondariali forensi. Un punto fondamentale poiché all’epoca alcuni avvocati, eletti come consiglieri dell’Ordine di Latina, hanno più di due mandati tra cui il Presidente Giovanni Lauretti.
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A gennaio 2020, è lo stesso Cnf a pronunciarsi accogliendo il ricorso presentato dai candidati della lista avversa a quella vincente durante la competizione elettorale interna all’Ordine del 2017. Gli avvocati Denise Degni, Maria Clementina Luccone, Federica Pecorilli, Maria Luisa Tomassini, Alessia Verdesca Zain, Mariacristina Vernillo, Aurelio Cannatelli, Umberto Giffeni, Marco Scarchilli e Pierluigi Torelli sono coloro che hanno presentato la contestazione formale al CNF insieme all’avvocato allora capolista Dino Lucchetti, ritenendo che i 5 consiglieri Giovanni Lauretti, Antonella Ciccarese, Pietro De Angelis, Angelo Farau e Aldo Panico si trovassero in una circostanza di incompatibilità causata dal doppio mandato e che per questo motivo la loro elezione andava considerata nulla. In sostanza, secondo i “contestatori”, questi ultimi cinque non avrebbero potuto proprio candidarsi.
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Prima della pronuncia del Cnf, però, avviene un fatto “straordinario”: a ottobre 2019 11 membri su 15 del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati si dimettono di concerto, dichiarando sostanzialmente conclusa l’esperienza dell’Ordine così come composto e ponendo le basi per il commissariamento che poi è di fatto avvenuto con la nomina ministeriale dell’avvocato Giacomo Mignano, tuttora alla guida. Motivo? Un rapporto di fiducia deteriorato, o forse mai nato, con la Presidente del Tribunale Caterina Chiaravalloti, verso la quale vengono mosse forti critiche rispetto alla gestione delle nomine per gli incarichi più importanti a discapito degli avvocati pontini: lamentano, i togati, una vera e propria discriminazione a favore di avvocati esterni al Foro. Tra gli 11 dimessi, anche i 5 su cui grava il pregiudizio, nei confronti del quale gli avvocati della lista perdente si battono: hanno più di due mandati. Ecco perché più di qualcuno inizia a malignare o semplicemente a domandarsi: ma non è che l’hanno fatto di proposito a far saltare il banco?
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Tornando alla pronuncia del Cnf, risalente alla metà del gennaio scorso, dopo di essa tre legali (Aurelio Cannatelli, Denise Degni e Umberto Giffenni), facenti parte della lista perdente del 2017, e tra gli undici che avevano sollevato le questioni al Cnf, presentano un ricorso al Tar contro lo scioglimento del consiglio dell’Ordine e il relativo commissariamento, disposto dopo le dimissioni in massa della maggioranza dei consiglieri.
Cannatelli, Degni e Giffenni, rappresentati e difesi dai colleghi Giovanni D’Erme e Nino Paolantonio, ricorrono al Tribunale amministrativo perché sostengono che, in ragione di un contenzioso pendente (dinanzi al Cnf), non si sarebbe potuto procedere con il commissariamento dell’Ordine e sarebbe stato sufficiente sostituire i cinque consiglieri ineleggibili con i primi dei non eletti e, dunque, revocare il provvedimento di scioglimento del consiglio dell’Ordine di Latina e la nomina del commissario straordinario. Tanto più che i ricorrenti hanno definito uno stratagemma le dimissioni in blocco di fine ottobre 2019.
Due mesi fa, a febbraio 2020, il Tar respinge la richiesta di sospensione degli atti che hanno portato allo scioglimento del consiglio dell’Ordine degli avvocati, alla nomina del commissario straordinario, Giacomo Mignano, e all’indizione delle nuove elezioni.
I giudici del Tar sostengono che “ricorrendo la circostanza oggettiva del venir meno della maggioranza dei componenti dell’organismo consiliare, non può trovare applicazione la possibilità di sostituire con scorrimento, i componenti decaduti subordinata alla permanenza del quorum sostitutivo“. Un Ko per i tre ricorrenti, Cannatelli, Degni e Giffeni, che avevano impugnato il decreto del Ministero della Giustizia che aveva sciolto l’Ordine degli Avvocati. Ma i tre non non si danno per vinti e tramite i loro avvocati D’Erme e Paolantonio ricorrono al Consiglio di Stato per la riforma dell’ordinanza cautelare (pronunciata dal Tar) che oggi, tornando al punto di partenza, ha pronunciato la sua di ordinanza.
Palazzo Spada accoglie l’istanza cautelare promossa dai tre ricorrenti, ritenendo sì che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte attraverso lo svolgimento, da parte del Commissario straordinario Mignano, dell’attività propria dell’Ufficio, ma disponendo “che non deve esserci l’indizione, da parte del Commissario straordinario, delle eventuali nuove elezioni del COA (ndr: Consiglio dell’Ordine degli Avvocati), in attesa della definizione del primo grado del giudizio, dovendo il TAR valutare tutte le rilevanti questioni processuali e sostanziali“.
Prossima puntata al Tar, quindi, con qualche possibile scenario che si para di fronte a un’Ordine in confusione. Infatti, ove il Tar accolga nel merito il ricorso, passerebbe il principio per cui il Consiglio non andava sciolto e nemmeno commissariato, poiché essendo rimasto non vulnerato il numero legale minimo per il suo funzionamento, sarebbe stata sufficiente la cooptazione dei consiglieri della lista solo formalmente vincenti e poi dimissionari con un pari numero di candidati della lista avversa, tra i quali i tre ricorrenti.
Ergo, la pantomima, per giunta inutile e nemmeno divertente.
1) I consiglieri non potevano dimettersi semplicemente perché non candidabili e quindi nemmeno eleggibili;
2) il Commissario non doveva essere nominato.
Insomma avremmo assistito alla imbastitura di una commedia degli equivoci. Una sorta di inganno, e neanche con una volontà così calcolatrice e “geniale” a monte, per tutta l’avvocatura di Latina, oltreché a qualche dubbio sui dimissionari, sottacendo il meccanicismo burocratico del Ministero che ha nominato il Commissario.
Ma c’è un’altra versione, come in tutte le pantomime che si rispettino. Ossia “la prova di resistenza del mancato venire meno della maggioranza in seno al COA di Latina” che richiama il Consiglio di Stato e demanda al giudizio di merito del Tar di Latina il quale dovrebbe fissarlo a breve: è sempre possibile che quest’ultimo, nonostante gli errori a monte, dica che con le dimissioni di 11 consiglieri dell’Ordine il Ministero altro non poteva fare che sciogliere il Consiglio e nominare l’avvocato Mignano come Commissario. Tante pronunce per nulla.