KARIBU, LA “FAMILY” E I SOLDI SPESI PER CENE E GRANDI FIRME. INIZIA IL PROCESSO: “COMPRATO ANCHE IL MACCHINARIO PER I POMODORI”

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Liliane Murekatete e Marie Therese Mukamitsindo
Liliane Murekatete e Marie Therese Mukamitsindo

Caso Karibu-Aid: è iniziata l’istruttoria del processo a carico della famiglia legata al deputato ex alleanza Verdi-Sinistra Aboubakar Soumahoro

È ufficialmente iniziato, dinanzi al terzo collegio del Tribunale di Latina composto dai giudici La Rosa-Gigante-Romano, il dibattimento del processo che vede sul banco degli imputati la fondatrice della cooperativa Karibu, per anni gestore di centri accoglienza e Sprar (oggi Siproimi) nel territorio pontino e oltre, i suoi figli e una ex collaboratrice. A processo, infatti, ci sono Marie Therese Mukamitsindo, i figli, Liliane Murekatete, moglie del deputato Aboubakar Soumahoro, e Michel Rukundo, più Ghislaine Ada Ndongo. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Lorenzo Borrè, Francesco Roccato, Stefano Ciapanna, Alessandro Paletta, Francesca Giuffrida, Flaviana Coladarci e Valentina De Gregorio.

La “family” di origine ruandese, come noto, deve rispondere di una serie di reati frutto della riunione di due procedimenti, poi diventati processi per via del rinvio a giudizio scaturito da due distinte udienze preliminari. Lo scorso 28 maggio 2024, davanti al giudice monocratico del Tribunale di Latina, Simona Sergio, il processo che contesta l’elusione/evasione fiscale agli imputati della cosiddetta galassia Karibu è stato riunito, per richiesta del pubblico ministero Andrea D’Angeli, all’altro processo con al centro i reati di riciclaggio, frode fiscale e bancarotta fraudolenta. Secondo l’accusa, i soldi pubblici, invece di essere impiegati nell’accoglienza dei migranti, venivano in parte incanalati verso spese sontuose per ristoranti, gioielli, sfizi e persino bonifici esteri che alimentavano altre attività oppure servivano a comperare immobili.

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Ha dato il via all’istruttoria il primo testimone dell’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Giuseppe Miliano, che con il collega D’Angeli ha firmato l’inchiesta coordinando le attività investigative della Guardia di Finanza e della sezione di Polizia giudiziaria della Polizia di Stato della Procura di Latina. Ad essere esaminato il luogotenente del Nucleo Pef della Guardia di Finanza di Latina, Maurizio Mazza, il quale ha ripercorso l’imponente indagine che ha passato al setaccio conti, movimenti e attività della cooperativa Karibu e del consorzio Aid, oltreché alle altre società considerate satelliti a servizio della family: su tutti la Jambo Africa.

Un indagine che nasce come tributario fiscale nel 2019 e che ha passato in rassegna i conti bancari da cui sono emerse false fatturazioni per operazioni inesistenti, secondo il testimone interrogato dal Pm. Gli accertamenti principali hanno riguardato gli anni che vanno dal 2017 al 2019. Accanto all’indagine “economica”, c’era anche un fascicolo più corposo e parallelo in cui sono state accertate le distrazioni patrimoniali le quali hanno portato alla contestazione di bancarotta, auto-riciclaggio e frode nelle pubbliche forniture tanto che la coop Karibu era insolvente e nel 2023 è stata commissariata.

I soggetti finiti all’attenzione degli investigatori sono stati sin da subito i componenti della famiglia di origine ruandese, trapiantata in Italia, tanto che la coop Karibu è stata fondata nel 2004 a Sezze. A centro della coop, la signora Mukamitsindo, sin dall’inizio rappresentante legale di un’attività che aveva come principale “business” l’accoglienza dei rifugiati. Nel maggio 2019 un fatto ritenuto dirimente: arriva la modifica dello statuto che permette alla cooperativa di operare anche all’estero. Nel mezzo vari passaggi di ruoli tra i membri del cda, con un risultato unico: a ruotare nei posti apicali del consiglio d’amministrazione ci sono sempre loro, la Mukamitsindo e i suoi figli. Figura particolare è Richard Mutangana, al momento irreperibile e quindi estraneo al processo odierno pur essendo indagato sin dall’inizio e comparso, almeno nominalmente, nelle udienze preliminari. Si tratta di un altro figlio di Mukamitsindo verso il quale convergevano i bonifici che la galassia Karibu compiva verso l’estero, in particolare il Ruanda dove l’uomo gestisce un ristorante e un supermercato. Uccel di bosco anche Christine Kabukoma, individuata tra le legali rappresentati di Jambo Africa. Si troverebbe in Belgio, ma nessuno degli investigatori, a parte uno per un momento, è riuscito a raggiungerla.

I finanzieri si accorgono che la karibu – ha spiegato il luogotenente Mazza – era circondata di satelliti per prestare servizio cartolare. Jambo Africa era lo strumento di elusione con cui Karibu distraeva soldi pubblici dirottandoli verso l’estero: una società che aveva la sede in Karibu, ma non aveva contratti di utenza o altro, sebbene avesse come unica risorsa il personale. All’interno c’erano Mutangana e l’ex moglie Valeria Giglioli (non indagata), mentre l’amministratrice era Kabukoma.

Il meccanismo messo in evidenza nella Coop Karibu era quello di ricevere soldi pubblici per l’immigrazione da Sprar (fondi via Comuni) e Cas (fondi via Ministero/Prefetture). Un doppio flusso di denaro a fronte dei servizi erogati. La Guardia di Finanza ha tracciato nel triennio tra il 2017 e il 2019 oltre 2 milioni di prelievi di contanti e 500mila euro di bonifici verso l’estero, in gran parte per Mutangana e la società ruandese Karibu Rwa, costituita da Mutangana stesso. Il problema è che Rwa non avrebbe mai operato e Mutangana si trova fuori dall’Italia sin dal 2016.

Anomalie sono state riscontrate anche nei pocket money dati ai rifugiati assistiti dalla cooperativa. Soldi che i rifugiati prendevano a fronte di firme che, però, sarebbero risultate spesso uguali. Inoltre, molte volte i conti non tornavano perché alcuni soldi indirizzati ai migranti erano stornati per finalità che la stessa Guardia di Finanza non può dire con certezza in che modalità potessero essere spesi. “Un quadro patologico”, lo ha definito il finanziere che ha snocciolato anche i numerosi prelievi dai conti della cooperativa per spese che già all’epoca dell’indagine facevano scalpore. Soldi spesi per ristoranti, bar, champagne, hotel, caffè, preziosi, grandi firme come le borse Alviero Martini o Ferragamo. Ad esempio una cena sontuosa all’enoteca dell’orologio di Latina: 500 euro. Solo uno tra i tanti esempi di spese che difficilmente possono avere a che fare con la gestione dei migranti.

Una delle spese emersa in udienza è anche quella per un macchinario della lavorazione dei pomodori acquistato dalla curatela fallimentare di una società: 48mila euro. Il macchinario avrebbe dovuto finire in Ruanda per un progetto agricolo di cui non vi è traccia. Non si fa mancare niente anche Liliane Murekatete, la signora Soumahoro che spende soldi per un immobile con preliminare da 32mila euro, ricevendo un bonifico dal consorzio Aid che, ricorda il finanziere, non aveva dipendenti. E sempre a favore di Lady Soumahoro diverse consulenze, da 35mila euro, per la stessa cooperativa di cui era membro nel cda. “Murekatete – ha detto il luogotenente Mazza – dispone di immobili in Belgio, riteniamo che possano essere state sede secondarie di karibu”. Il problema è che di Karibu in Belgio non c’è proprio l’ombra. Alla fine il totale delle distrazioni calcolate dalla Finanza sono di 1 milione e 950mila euro. Non proprio uno scherzo.

Si ricomincia il prossimo 5 giugno quando tornerà il finanziere per concludere un esame di un processo che appare già in salita, vista l’ombra della prescrizione. A inizio udienza odierna, ad ogni modo, il Tribunale ha accolto tutte le parti civili nei confronti delle quali la difesa aveva mosso delle eccezioni nella passata udienza che si è celebrata a giugno scorso.

Parti civili i lavoratori ed ex dipendenti della coop Karibu e del consorzio Aid, il sindacato Uiltucs di Latina del segretario Gianfranco Cartisano, le cui denunce hanno fornito spinta decisiva alle inchieste sulla galassia della famiglia Mukamitsindo/Soumahoro, e alcuni dei Comuni indicati dalla Procura come parti offese: Latina, Roccasecca dei Volsci, Aprilia, Pontinia, Fondi, Monte San Biagio, Terracina e Sezze. Parti civili anche i commissari liquidatori di coop Karibu, Francesco Cappello, e consorzio Aid, Jacopo Marzetti, nominati dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy negli scorsi mesi, il Ministero dell’Interno, Codacons e il Consorzio Agenzia Inclusione dei Diritti.

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“Oggi – ha dichiarato il segretario Uiltucs, Gianfranco Cartisano – abbiamo ascoltato i numeri, i soldi veri distratti, centinaia di migliaia di euro, milioni spariti in giro per il mondo, somme destinate all’immigrazione nel nostro paese, che invece hanno preso altre strade, anche per finalità personali dei soggetti che dovevano gestire ed organizzare il denaro pubblico a favore dell’immigrazione e dell’accoglienza, compreso il lavoro che doveva essere il valore primario dei progetti, invece i titolari hanno distrutto il lavoro dei tanti lavoratori, operatrici, assistenti, mediatori, i quali avevano un lavoro e sono oggi disoccupati.

Milioni di euro distratti per situazioni personali, carte di credito e bancomat che strisciavano in giro per il mondo, questo è emerso oggi in udienza, l’ennesimo schiaffo ad un lavoro cancellato, alle famiglie distrutte e senza lavoro dove il lavoro c’era. Dove erano i Comuni, la Prefettura in quegli anni? dove scappavano e si bonificavano migliaia di euro all’estero e sopratutto per altre finalità su società satelliti sempre riconducibili a persone della famiglia dei faccendieri dell’immigrazione?”.

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