Operazione Blackout: iniziata l’udienza preliminare per i cinque indagati considerati responsabili della morte dell’operaio che fu spostato dal cantiere, dopo essere stato fulminato da una scossa elettrica
Non c’è un braccio lanciato davanti casa come nel caso del povero indiando Satnam Singh, eppure il caso della morte dell’operaio Umberto Musilli è in pari modo vissuto come una ingiustizia da famigliari e conoscenti accorsi oggi, 18 marzo, nell’aula di Tribunale dove è iniziata l’udienza preliminare. Il Gup Barbara Cortegiano, dopo aver ascoltato le richieste di costituzione di parte civile e le contro-deduzioni delle difese, ha rinviato al prossimo 30 maggio quando scioglierà la riserva: accogliere o meno tutte le parti civili.
Due di loro, ossia i famigliari di Umberto Musilli, assistiti dall’avvocato Antonio Nobile, hanno già la certezza che saranno parti civili in un eventuale processo. Sul rinvio a giudizio dei cinque indagati, però, è ancora presto. Il Gup di Latina non deciderà il 30 maggio quando, invece, è previsto che stabilisca se accogliere le altri parti civili: il Comune di Sonnino, luogo in cui è accaduto il fatto oggetto d’indagine, il sindacato Cgil e l’Anmil, l’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro, difesa dall’avvocato Massimiliano Gabrielli, che ha chiesto anche che le quattro aziende coinvolte nella morte di Musilli e il fondo Littoria dove si è verificato l’incidente siano responsabili civili.
A rischiare il rinvio a giudizio sono in cinque: Sebastiano Dei Giudici, di Sonnino, classe 1975, difeso dagli avvocati Oreste Palmieri e Alessio Faiola; Roberto Orsini, di Latina, socio della Latina Beton srl, difeso dall’avvocato Oliviero Sezzi; Federica Libanori, di Latina, classe 1979, amministratore di fatto della Latina Beton srl, assistita dall’avvocato Oliviero Sezzi; Vincenzo Soale, di Priverno, classe 1986, difeso dall’avvocato Italo Montini; Luca Antonetti, di Sonnino, classe 1971, difeso dall’avvocato Oliviero Sezzi.
I FATTI E GLI ARRESTI – I carabinieri del Nas di Latina, guidati dal Capitano Felice Egidio, a conclusione dell’indagine denominata “Blackout”- coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica di Latina, Giuseppe Miliano – hanno dato esecuzione, nei comuni di Latina e Sonnino, a 7 misure cautelari (di cui 3 custodie in carcere e 4 agli arresti domiciliari) nei confronti di altrettante persone, indagate, a vario titolo ed in concorso fra loro, per i reati di omicidio volontario con dolo eventuale, favoreggiamento personale aggravato continuato, rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro.
L’attività investigativa è scaturita a seguito del rinvenimento a Sonnino il 23 giugno 2022, in località “La Sassa”, nelle adiacenze di un cantiere edile, di un operaio di 67 anni, Umberto Musilli, in stato di incoscienza poi deceduto dopo diversi mesi di ricovero in terapia intensiva presso il Santa Maria Goretti di Latina.
I provvedimenti restrittivi emessi dal Gip del Tribunale di Latina, Giuseppe Cario, sono stati eseguiti anche con il supporto, nella fase esecutiva, di militari del Comando Provinciale CC di Latina e con Tecnici della Prevenzione Asl Latina distaccati presso la Procura della Repubblica di Latina, i Tecnici dell’UOC Prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (P.e S.A.L.) del Dipartimento di Prevenzione Asl di Latina, che hanno collaborato nell’esecuzione del sequestro preventivo dell’area del cantiere edile.
Il decesso dell’uomo faceva inizialmente presupporre trattarsi di un evento legato a cause naturali, ma la denuncia-querela sporta dai familiari della vittima, gli accertamenti preliminari relazionati in modo dettagliato dal personale dell’ASL pontina e gli approfondimenti medico legali disposti dal pm titolare dell’indagine, mettevano in luce evidenze che inducevano a ipotizzare una diversa dinamica dei fatti, facendo decidere, pertanto, di delegare le relative indagini a personale del Nas di Latina.
Dalle indagini svolte dai militari emergeva che l’evento era da ricondursi a un infortunio sul lavoro verificatosi all’interno del cantiere edile di Sonnino in provincia di Latina, a seguito di una scarica elettrica accidentale ad alta tensione mentre erano in corso lavori relativi ad un getto di calcestruzzo commissionato da una società di autotrasporti, per la realizzazione di un parcheggio: la betoniera urtò accidentalmente i traliccio dell’elettricità e si propagò una scossa fino alla pompa manovrata in quel momento dall’operaio. Le indagini hanno consentito, secondo gli investigatori, di appurare il successivo rinvenimento del lavoratore al di fuori del cantiere era da ricondursi a una messa in scena operata nel tentativo di inquinare quanto realmente accaduto.
L’uomo fu portato fuori dal cantiere e gli furono persino cambiate le scarpe da lavoro, bruciate dalla scossa, in modo da far credere che non si trovasse all’interno del cantiere nel momento della folgorazione elettrica. L’uomo fu posizionato vicino al suo motorino, sulla strada, in modo da far credere che si fosse trattato di un malore. In seguito, dopo la morte di Musilli, i famigliari hanno voluto vederci più chiaro e tramite un medico legale hanno accertato che l’uomo non solo era morto in quel modo, ma che la messinscena ha rallentato i soccorsi e l’uomo è spirato al Goretti senza la possibilità che i medici potessero salvarlo. Inoltre, è lo stesso medico legale incaricato dalla Procura, Maria Cristina Setacci, a specificare che se fossero stati chiamati i soccorsi, Musilli “sarebbe sopravvissuto con probabilità vicine alla certezza: 95-96%”.
L’indagine ha anche permesso di verificare che nella stessa azienda molti lavoratori erano stati assunti in nero e che non era stata predisposta nessuna misura di sicurezza a tutela degli operai. Le tre persone finite in carcere – il committente dei lavori Sebastiano Dei Giudici, il datore di lavoro Giuseppe Soale e un altro operaio Alessandro Del Monte – sono ritenuti responsabili di non aver adottato misure di sicurezza e di aver quindi causato la sua morte. Ai domiciliari sono finiti gli amministratori di fatto della ditta, Latina Beton, vale a dire Federica Libanori e Roberto Orsini, oltreché a due dipendenti dell’azienda accusati di favoreggiamento, Vincenzo Soale (figlio dell’uomo finito in carcere e operatore del 118 con la San Paolo della Croce) e Luca Antonetti. Ad essere indagati anche altri due dipendenti della Latina Beton, tra i quali l’opera che manovrava il braccio dell’autompompa che a contatto con linea elettrica ha causato la morte di Musilli. Infine, indagata anche la legale rappresentante Antonella Libanori, a cui la Procura contesta la circostanza di non aver chiesto la documentazione necessaria alla ditta esecutrice del lavori.
Oltre agli arresti i militari del Nas hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo dell’area del cantiere edile dove è avvenuto l’incidente mortale, per il pericolo di reiterazione del reato.
Nette le parole del Gip Cario che ha firmato gli arresti. Ciò che viene evidenziato nell’ordinanza sono i depistaggi per nascondere quanto accaduto e il tempo per la messa in scena che avrebbe provocato la morte di Musilli: “Quando è rimasto folgorato gli avrebbero potuto salvare la vita se lo avessero tempestivamente soccorso“. Invece, dalle intercettazioni emerge un quadro agghiacciante. Uno degli indagati alla moglie rivela: “C’era la bentonpompa, ha chiappato i fili, è caduto a terra e nessuno lo ha soccorso”. E ancora più inquietante il dialogo tra due arrestati. “Io ho fatto gli esposti alla Asl e ai Carabinieri”. “Ma hai firmato?”. “Sì”. “Allora le dobbiamo ritrattare“. “Mica l’abbiamo voluto noi l’infortunio di questo”. “Nega sempre, hai capito?”. “Ce ne andiamo in carcere mo”. “Diciamo quello dell’altra volta”. “Comunque ci sta un morto di mezzo”. “Embe’ cosa vogliono da noi”.
E, infine, in una spirale sempre più inquietante, i depistaggi degli arrestati quando chiamarono i soccorsi. “L’abbiamo trovato qui per terra lungo la strada, stava per terra, passando con la macchina, non so che gli abbia preso”.
“Un piano ben predisposto e organizzato sin da subito nei dettagli”, annota il Gip Cario.
Dopo gli arresti, il Tribunale del Riesame di Roma ha stabilito che Sebastiano Dei Giudici doveva rimanere in carcere. Solide le accuse della Procura di Latina e valide le ragioni per la misura cautelare in carcere. De Giudici doveva rimanere ristretto nel carcere anche in ragione delle risultanze del medico legale incaricato dalla Procura, Maria Cristina Setacci, la quale aveva sottolineato di come il depistaggio messo in atto per nascondere le cause della morte dell’operaio Umberto Musilli fosse stato fatale allo stesso: in sostanza, il 67enne poteva sopravvivere alla scossa elettrica se fosse stato soccorso in tempo, con una probabilità del 95%.
Un altro collegio del Tribunale del Riesame di Roma aveva deciso per la decadenza delle tre misure cautelari a carico di altrettanti indagati, coinvolti nell’inchiesta denominata “Blackout” e ristretti agli arresti domiciliari. Sono stati liberati dalla misura Federica Libanori, amministratrice di Latina Beton, Roberto Orsini, co-amministratore e socio della medesima società, e Luca Antonetti, dipendente.
La settimana precedente, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, Giuseppe Cario, aveva disposto la decadenza anche per la misura cautelare di un altro coinvolto, l’operaio Alessandro Del Monte.
Il Gip Cario, nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia, aveva continuato ad ascoltare le versioni delle persone arrestate e accusate di aver lasciato morire il 67enne operaio Umberto Musilli, folgorato da una scossa elettrica e spostato fuori dal cantiere di Sonnino camuffando il suo incidente sul lavoro come un sinistro stradale.
Il committente dei lavori Sebastiano Dei Giudici si era avvalso della facoltà di non rispondere, mentre Alessandro Dal Monte, operaio e collega di Musilli, aveva risposto alle domande negando di aver depistato. L’uomo, folgorato anche lui dalla scossa elettrica, aveva spiegato di aver visto Musilli oramai in gravi condizioni e in seguito si è accodato alla versione dei datori di lavoro per paura di perdere l’impiego.
Il 21 aprile, era stata la volta di Federica Libanori, Roberto Orsini e Luca Antonetti. Tutti e tre, assistiti dall’avvocato Oliviero Sezzi, avevano risposto alle domande del Gip Giuseppe Cario, negando ogni addebito. I due amministratori avevano spiegato che la loro impresa non aveva competenze nel dover garantire la sicurezza nel cantiere di Sonnino, in località La Sassa; per di più, secondo gli indagati, il compito della Latina Beton si sarebbe limitato a fornire il calcestruzzo. Nessun compito di sicurezza sul luogo di lavoro, questa è la tesi dei titolari della Latina Beton.
La versione del dipendente Luca Antonetti era stata, invece, di totale estraneità ai fatti. Antonetti aveva sostenuto di non essere stato presente sul luogo dell’incidente, in sostanza non si trovava sul cantiere quel drammatico 23 giugno 2022.
L’avvocato Sezzi aveva chiesto per tutti e tre, ristretti al momento ai domiciliari, la revoca della misura cautelare, mancando i presupposti di reiterazione del reato e inquinamento probatorio. Il Tribunale del Riesame gli aveva dato ragione, liberando i suoi assistiti: per loro non vi sarebbe stata l’omissione dolosa nei fatti che hanno riguardato Musilli.