Operazione “I Pubblicani” a Latina: arrestati alcuni personaggi noti nel crimine pontino, tutti parte dall’indagine per omicidio di Fabrizio Moretto
Al di là dello spaccio di droga e di due episodi di efferata violenza che caratterizzano lo scenario delineato dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Latina guidati dal Maggiore Antonio De Lise, dall’ordinanza firmata dal Gip Castriota, su richiesta dei sostituti Martina Taglione e Andrea D’Angeli, si evince un punto fermo importante e già ventilato. L’omicidio di Fabrizio Moretto, l’uomo detto “Pipistrello” freddato il 21 dicembre 2020 vicino casa sua a Bella Farnia, è oggetto di un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma. E non poteva essere altrimenti, considerato che Moretto quando viene giustiziato per strada con un colpo di pistola, è indagato dalla magistratura per il pestaggio che portò alla morte di Erik D’Arienzo (il 5 settembre 2020), il figlio di Ermanno detto “Topolino”, pezzo importante della malavita pontina da un quarantennio.
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Entrambe le morti, di Moretto e D’Arienzo, sono connesse l’una all’altra, poiché l’ammazzamento di “Pipistrello” viene ritenuto alla stregua di una ritorsione dalla logica e dallo Stato che indaga, sebbene il mondo della mala abbia già emesso una sua sentenza veloce e fatale.
È indagando su questo duplice omicidio che i Carabinieri del Nucleo Investigativo – e la DDA di Roma, che fornisce all’indagine odierna alcune conversazioni utili, captate nell’attività di intercettazione – arrivano a scoprire un mondo di spaccio che, in realtà, è rimasto immutato. I protagonisti principali sono sempre gli stessi. Arrestati e ridimensionati i clan rom, parte dello smercio di droga a Latina rimane nella disponibilità di soggetti che le cronache ricordano da tempo.
Tra gli arrestati, infatti, ci sono il 25enne Roberto Ciarelli, figlio di uno dei capi del Pantanaccio dell’omonimo clan (Ferdinando “Furt” Ciarelli), arrestato dalla Polizia a dicembre scorso per il pestaggio violento ai danni di un giovane a Latina. C’è il 42enne Pietro Finocchiaro, citato anche nei verbali dei due collaboratori di giustizia Agostino Riccardo e Renato Pugliese, da cui emergeva un profilo criminale compiuto poiché veniva dipinto da uno dei luogotenenti dei Moccia a Tor Bella Monaca come un broker della droga al pari di Gianluca Ciprian. E, in effetti, Finocchiaro detto “Il Roscetto” ha un lungo curriculum criminale che inizia nel ’98 con una rapina e finisce, almeno a stamani, alla condanna a 3 anni per possesso di armi arrivata nel 2021.
E ancora, tra gli arrestati, ci sono due “vecchi” della mala: Giuseppino Pes, detto “Zio Pino”, omicida in concorso di Francesco Saccone nel 1998 e Alessandro Artusa che, insieme al suddetto Pes e a un altro soggetto (Tozzi), uccise il succitato Saccone. Artusa, messinese trapiantato a Latina, è stato arrestato, grazie a una operazione di Polizia e Carabinieri, prima di Natale 2021, quando fu sorpreso a Fondi con altri sei soggetti a trafficare chili di droga. In carcere vanno poi Adriano Sarrubbi, marito di una figlia di Carmine Di Silvio detto Porcellino (il numero due del clan di Campo Boario retto da Giuseppe Di Silvio detto Romolo), indagato lo scorso autunno nella maxi operazione antimafia “Scarface”, e indiziato di avere sparato colpi di arma da fuoco a febbraio 2021 in Viale Kennedy a Latina; il marocchino Amine Harrada, non conosciuto come gli altri ma autore di uno dei due pestaggi violenti al centro dell’indagine odierna: per l’uomo è stato necessario un mandato d’arresto europeo poiché si trovava in Spagna.
Agli arresti domiciliari, invece, due personaggi non di peso negli equilibri criminali della città, ritenuti dagli investigatori degli spacciatori e che, all’interno di questa ennesima storia di mala latinense, recitano anche la parte delle vittime: la 30enne di Latina Cristina Giudici e il 39enne Gianluca Pezzano, originario della provincia di Reggio Calabria, con asseriti rapporti con la ‘ndrangheta (Artusa in una intercettazione ne ride solo al pensiero che siano reali), il quale finisce, per debiti di droga, pestato violentemente prima da Harrada, e poi, per un altro fatto distinto, ma sempre afferente allo spaccio, sotto le grinfie di Ciarelli, Pes e Artusa, rischiando di rimetterci la pelle.
I tre, infatti, lo portano al campo dei cavalli a Campo Boario, da sempre in possesso di un altro noto alle cronache criminali pontine, Candido Santucci (estraneo alle indagini), e lo minacciano picchiandolo violentemente in faccia e al “costato” (un termine che utilizza lo stesso Pezzano quando racconta a Giudici come si sente un paio di giorni dopo).
“Ti si erano girati gli occhi“, gli dice Cristina Giudici, anche lei presente alla brutalizzazione e parte in causa perché, al pari di Pezzano, aveva preso parte a viaggi specifici in Calabria (esattamente a Botricello in provincia di Catanzaro) per riportare la droga in provincia di Latina e venderla.
Pezzano e Giudici, infatti, sono accusati di aver ceduto sostanza stupefacente a due personaggi, tra cui Mohamed Jandoubi, un tempo legato ai clan Travali e Di Silvio e proprio in questi giorni condannato per aver commesso diversi scippi nel capoluogo pontino.
Finocchiaro, Sarrubbi, Giudici e Pezzano sono poi accusati di aver smerciato droga. Finocchiaro come finanziatore, Sarrubbi come fornitore e Giudici come intermediaria con Pezzano che acquistava droga per poi venderla al dettaglio.
Un acquisto che per Pezzano si rivela pericoloso perché non riesce a far fronte al debito maturato, tanto è che sia Finocchiaro che Sarrubbi sono accusati di essere i mandanti di una spedizione punitiva. Il picchiatore scelto fu per l’appunto Amine Harrada che raggiunse Pezzano nell’area di servizio “Fiamma 2000” ad Aprilia, distruggendo i vetri dell’auto del calabrese con uno sfollagente per poi picchiarlo con calci e pugni, non prima di avergli requisito il cellulare. Tutto per un debito di droga da 600 euro. Pezzano, talmente impaurito soprattutto dal “Roscetto” Finocchiaro, rifugiò all’hotel Enea di Aprilia per poi chiamare la sua partner di reperimento droga Cristina Giudici cercando una via d’uscita a una situazione al limite.
Ma l’incubo del pusher Pezzano non era finito con con la “lezione” impartitagli dal gruppo Finocchiaro-Sarrubbi-Harrada. Infatti, sempre nella medesima indagine, viene sorpreso a comprare droga da Pes e Ciarelli. Una mossa azzardata poiché non potendo pagare la sostanza per intero subisce la ritorsione da parte di Ciarelli e Artusa, istigati da Pes. “Lo prelevano – scrive il Gip Castriota nell’ordinanza – mentre si trovava a bordo di un’autovettura Smart condotta da Cristina Giudici, puntandogli una pistola alla testa e un coltello alla gola e lo portavano in un terreno nella loro disponibilità e lo trattenevano contro la sua volontà“.
È qui, nel terreno di Campo Boario, non lontano dal campo di calcio che un tempo fu di Costantino “Cha Cha” Di Silvio e Gianluca Tuma, che Pezzano viene preso a calci e pugni alla testa e al corpo e minacciato di morte con coltello (da Pes) e pistola (da Ciarelli). A saldo del debito maturato da 9mila euro, Pezzano fu costretto a promettere loro di portare un chilo di hashish ogni sette giorni. Per questo episodio Artusa, Pes e Ciarelli sono accusati di sequestro di persona.
In un mondo dove la droga viene chiamata da Cristina Giudici “lasagna” – “Vieni con me – dice a una amica – andiamo un attimo al campeggio (ndr: Borgo Grappa, dove la donna viveva) a preparare le cose per le lasagne” -, il suo complice di spaccio Pezzano, pur avendo subito due brutali aggressioni, aveva il pensiero non di curarsi o denunciare, bensì di trovare versioni di comodo di fronte alle forze dell’ordine per giustificare le aggressioni violente subite. Di fronte a Finocchiaro-Sarrubbi e al trio Pes-Artusa-Ciarelli, il calabrese, come sa di dover subire, considerata la fama e la carriera criminale dei suoi aguzzini. Uno spaccato di omertà e paura, fino al rischio della propria vita.
D’altra parte Il peso criminale del giovane Ciarelli è testimoniato dal fatto che, nelle intercettazioni captate dalla DDA e messe a disposizione nell’indagine odierna, parli a tu per tu con due “vecchi” della mala pontina come Artusa e Pes, attenzionati, come logica indica, anche per l’omicidio Moretto che, ad oggi, va detto, resta irrisolto e senza colpevoli.
In una delle intercettazioni, peraltro, si evince di come Roberto Ciarelli, confrontandosi con Artusa riguardo alla droga da vendere, gli dica di venire a fare una video chiamata con il padre, Ferdinando “Furt” Ciarelli, numero due del Clan del Pantanaccio e in carcere per la condanna inflittagli dal Processo Caronte (la cosiddetta guerra pontina). Ciarelli junior inviata Artusa alla video chiamata con il padre, in riferimento a una non meglio precisa chiacchiera. Una conversazione che avviene a maggio 2021 proprio quando iniziarono a circolare le voci su una presunta collaborazione con lo Stato da parte di “Furt”, poi rivelatasi non fondata.
E non mancano, sempre nelle intercettazioni captate dalla DDA, alcuni riferimenti non proprio piacevoli di Ciarelli e Artusa contro Maurizio De Bellis, arrestato a dicembre con un ingente quantità di droga. Un altro segno che l’operazione odierna è probabilmente solo l’antipasto di un cerchio che le le forze investigative stanno cercando di chiudere attorno a omicidi, droga e nuovi equilibri dopo il ridimensionamento dei clan rom della città