Spaccio di marijuana: diventa definitiva un’altra condanna per Roberto Mirabilio. Respinto il suo ricorso presentato insieme al figlio
Con sentenza del 1 giugno 2022, la Corte d’appello di Roma aveva respinto il ricorso, presentato da Roberto e Luca Mirabilio, contro la sentenza del 18 giugno 2020 del Tribunale di Latina che li aveva condannati per spaccio. I due uomini, padre e figlio, erano accusati di avere coltivato 300 piante di canapa indiana in una serra artigianale e in un terreno nelle vicinanze della loro abitazione di Aprilia, con circa 7.000 grammi di foglie, pari a 10.747 dosi medie.
I giudici di secondo grado avevano ridotto la pena inflitta agli imputati a quattro anni di reclusione e 16.000 euro di multa ciascuno, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
I due Mirabilio sono già noti alle cronache per diversi episodio di spaccio. Il 60enne Roberto Mirabilio, lo scorso novembre, ha subito una condanna passata in giudicato, sempre per spaccio di marijuana, dopo che la Cassazione ha respinto il suo ricorso. Figlio (Luca Mirabilio, 36 anni) e padre sono stati condannati inoltre anche nel processo scaturito dall’operazione di polizia denominata “L’Erba del Vicino”.
Ad ogni modo, contro la condanna in Appello a 4 anni di reclusione per entrambi stabilita a giugno dalla Corte d’Appello di Roma, tramite il loro legale Alessia Vita, hanno presentato ricorso in Cassazione eccependo sulla nullità dell’ordinanza pronunciata il 12 settembre 2016 dal Tribunale di Latina.
Con un secondo motivo, i due apriliani avevano lamentato la violazione e l’errata applicazione della legge sulla droga e un vizio della motivazione, nella parte relativa alla conferma della affermazione di responsabilità di Roberto Mirabilio, desunta dalla circostanza che la coltivazione illecita era stata
realizzata da Luca Mirabilio, figlio di Roberto, in un terreno retrostante le rispettive abitazioni, e dalla disponibilità da parte di Roberto Mirabilio delle chiavi di un magazzino utilizzato come serra, benché si trattasse di circostanze di fatto neutre e prive di valore probatorio (anche in considerazione del fatto che le chiavi del magazzino erano nella disponibilità di tutti i residenti nelle abitazioni adiacenti), da cui non poteva trarsi la prova della partecipazione alla coltivazione illecita, ma semmai della sola consapevolezza della stessa, di per sé insufficiente per poter configurare il concorso nel reato.
Nei giorni scorsi, la terza sezione di Cassazione si è pronunciata dichiarato infondato il ricorso di entrambi. Il ricorso ha considerato i motivi presentati inammissibili poiché generici per quanto riguarda la presunta nullità dell’ordinanza di misura cautelare del 2016. In merito alla posizione di Mirabilio senior, la Corte di Cassazione ha evidenziato che i giudici dell’appello di Roma, nel ribadire l’affermazione di responsabilità anche del 60enne, ha, infatti, sottolineato il necessario assenso del ricorrente alla destinazione alla coltivazione di 256 piante di marijuana del terreno retrostante le abitazioni dei due ricorrenti, nella disponibilità di entrambi, e l’univocità del dato costituito dalla disponibilità delle chiavi del magazzino nel quale era stata realizzata una serra finalizzata alla coltivazione di piante della medesima specie (chiavi che Roberto Mirabilio custodiva all’interno del proprio furgone parcheggiato all’interno del fondo di sua proprietà).
I giudice della Suprema Corte hanno dichiarato, quindi, inammissibili i ricorsi e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di 3mila euro in favore della Cassa delle Ammende.