CAPORALATO, PROCESSO “COMMODO”. GLI IMPUTATI PROFESSANO INNOCENZA

“Commodo”, il processo sullo sfruttamento dei lavoratori nella provincia di Latina è arrivato alle battute finali

È stato rinviato al prossimo 6 maggio quando ci sarà l’eventuale chiusura istruttoria e l’eventuale riconsiderazione delle eccezioni difensive sull’utilizzazione delle intercettazioni. È questo l’esito dell’udienza odierna nell’ambito del processo derivante dall’inchiesta sul caporalato denominata “Commodo”.

Oggi, 10 dicembre, in aula, i quattro imputati – Luigi e Chiara Battisti, Daniela Cerroni e l’ex sindacalista della Cisl, Luigi Vaccaro – hanno rilasciato dichiarazioni spontanee professando la loro innocenza. Vaccaro e Chiara Battisti hanno voluto rendere le loro dichiarazioni anche in forma orale dinanzi al primo collegio del Tribunale composto dai giudici Soana-Sinigallia-Brenda.

L’operazione di polizia, a seguito dell’ordinanza restrittiva emessa dal G.I.P. del Tribunale di Latina Gaetano Negro, scattò a gennaio 2019 con l’arresto “eccellente” dell’allora segretario provinciale Fai Cisl Marco Vaccaro. Le misure cautelari furono portate a termine dallo SCO e dalla Squadra Mobile di Latina, coordinati dalla Procura pontina, contro lo sfruttamento dei lavoratori agricoli nelle campagne dell’agro pontino e di tutta la regione.

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In manette finirono i fondatori della cooperativa Agri Amici di Sezze, accusata di reperire gli agricoltori poi sfruttati, Luigi Battisti Daniela Cerroni. Ai domiciliari l’ispettore del lavoro Nicola SpognardiLuca Di Pietro, formalmente presidente della suddetta cooperativa, e Chiara Battisti, figlia di Luigi. Tutti, tranne Di Pietro, hanno scelto il rito ordinario e sono sotto processo presso il Tribunale di Latina.

In udienza preliminare, nel 2021, sono stati condannati col rito abbreviato Luca Di Pietro, Presidente della coop Agriamici, e Nicola Spognardi, ispettore del lavoro. Di Pietro a due anni e mezzo di reclusione e alla multa di 100mila euro. Spognardi, accusato di aver coperto l’allora cooperativa Agriamici in cambio di utilità, tanto da dare indicazioni per schivare i controlli del suo stesso Ufficio, a un anno e quattro mesi.

Infatti, oltre ai destinatari della misura cautelare, che permise di disarticolare il sistema di protezione e collusione che rendeva possibile lo sfruttamento selvaggio della manodopera straniera, vi furono ulteriori 50 indagati, tra cui imprenditori agricoli, commercialisti, funzionari ed esponenti del mondo sindacale, che avrebbero dovuto vigilare sulla legalità nel mondo del lavoro e tutelare i lavoratori.
Gli indagati, per mezzo della cooperativa Agri Amici di Sezze, si sarebbero adoperati, secondo l’accusa, nel reclutamento e nello sfruttamento di stranieri centrafricani e rumeni, somministrando illecitamente la loro manodopera a centinaia di azienda agricole committenti, con un monopolio nelle provincie di Latina, Roma, Frosinone e Viterbo.

Nell’udienza di giugno scorso, a testimoniare un sindacalista della Uil che non ricordava molto delle dichiarazioni rese nel 2018 alla Squadra Mobile. Al centro delle attenzioni delle domande del pubblico ministero Valerio De Luca la cooperativa Agri Amici attorno alla quale sarebbero ruotate le pratiche illegali oggetto del processo. “I braccianti venivano da noi per sbrigare le pratiche di disoccupazione – aveva detto il sindacalista della Uil setina -. Tutti dichiaravano un totale di ore rispetto a quelle effettivamente lavorate che erano di più. Una condotta che era comune a molte cooperative”.

“Sulla busta paga – aveva spiegato il testimone sollecitato dal pubblico ministero – venivano segnate 8 giornate a fronte di 30 giornate”. Successivamente – come gli aveva ricordato il pm De Lica – il sindacalista Uil dichiarò che le giornate erano aumentate fino a 10, 12. Un aumento dovuto all’obiettivo di raggiungere l’indennità di disoccupazione, dal momento che la disoccupazione agricola è legata ai giorni lavorativi effettuati”. Nel processo sono costituiti parti civili ammesso l’Inps e diversi lavoratori.

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