Nel giorno in cui il Presidente della Regione Lazio annuncia urbi et orbi l’abolizione del superticket nazionale – “Nel Lazio non si pagherà più sulle prestazioni specialistiche ambulatoriali per gli over 60 e per chi è in condizioni di svantaggio. La novità interessa 400mila cittadini. Avanti per una sanità sempre più vicina alle persone” – altri sono i dati che dovrebbero preoccupare Nicola Zingaretti e il suo entourage. E fare da capofila è proprio l’Azienda sanitaria locale di Latina che si distingue per essere la peggiore.
A riportare scenari allarmanti è l’edizione quotidiana de Il Tempo, in un articolo firmato da Antonio Sbraga. Infatti, spiegano dal quotidiano romano, nel Lazio si fanno sempre più ostiche le prenotazioni per le prestazioni diagnostiche talché fissare gli appuntamenti ambulatoriali non urgenti, ma dirimenti per la prevenzione sanitaria di ciascun cittadino, è ormai impresa titanica. La metà delle 29 prestazioni in agenda presenta tempi fuorilegge, vale a dire che il rispetto dei termini normativi (60 giorni) viene garantito in meno del 50% del totale delle prenotazioni come mammografie, Tac, risonanze magnetiche, eco-doppler, colonscopie, spirometrie, elettromiografie ed elettrocardiogrammi.
Tuttavia, il problema che ci riguarda più da vicino è che la situazione definita peggiore riguarda proprio l’Asl di Latina. Nell’azienda di Latina, diretta dal dott. Giorgio Casati, si registrano 17 tipi di appuntamenti ambulatoriali di primo accesso inaccessibili. L’azienda sanitaria pontina in questa classifica dei disastri primeggia seguita dall’Asl Roma 4 con 15 prestazioni critiche, e dall’Asl Roma 2 (il bacino più grande) con 14.
La Regione sta cercando di porre rimedio con il nuovo Piano Regionale delle Liste d’Attesa poiché, tra i quattro obiettivi messi nel mirino, c’è anche la regolamentazione della libera professione intramoenia con il desiderio di bilanciare l’attività libero professionale con quella istituzionale prevedendo anche la possibilità di sospensione delle prime, sebbene siano 6 anni, spiega Sbraga, che la Regione continua ad annunciare la sospensione dell’intramoenia in caso di liste d’attesa eccessive senza arrivare a risultati degni.
In effetti, più volte, nell’era zingarettiana, il Governatore e i suoi sodali politici hanno minacciato di togliere la possibilità di intramoenia, arrivando a dire, da ultimo, nel febbraio del 2018, un mese prima delle elezioni regionali che lo videro poi battere il centrodestra e il M5S: “Sulle liste d’attesa la direzione è chiara Dove le liste superano i quattro mesi si sospenderà l’intramoenia“.
È chiaro che le cose sono andate diversamente e alle promesse non sono seguiti i fatti. A pensarla nello stesso modo è Cgil Lazio: “Il governo delle liste d’attesa, nonostante l’accordo sottoscritto nel 2017 prevedesse impegni precisi attraverso la completa trasparenza delle agende relative alle visite specialistiche e diagnostiche e la costituzione delle agende per i ricoveri ospedalieri, a due anni di distanza poco è stato fatto. Il Cup (ndr: Centro Unico di Prenotazione) e il Recup continuano a gestire una parte minima delle agende disponibili, mentre le aziende ospedaliere le gestiscono direttamente con modalità non efficienti che sembra creino canali preferenziali ai soggetti che provengono dalle visite intramoenia. La Regione, che si era impegnata a cambiare passo, continua a cullarsi su dati statistici che disegnano una realtà della sanità del Lazio molto diversa da quella che invece conoscono i cittadini. Tutto ciò è insopportabile“.