Capelli brizzolati e sguardo corrucciato, è il personaggio meno personaggio che si può e che gli italiani hanno imparato a conoscere. Ogni pomeriggio, alle 18, compulsa e snocciola i dati tragici della pandemia: Angelo Borrelli, il capo del Dipartimento della Protezione Civile, da Santi Cosma e Damiano
Il sindaco sancosmese Franco Taddeo l’aveva già detto: a emergenza finita gli conferiranno la cittadinanza onoraria “perché, nonostante l’altissima carica, ha conservato tutto il suo amore per il paese, i cittadini e il territorio“.
È l’Adnkronos a fornire un bel ritratto di Borrelli, l’uomo originario del piccolo comune del sud pontino, l’attuale funzionario di Stato, con un passato al fianco di Bertolaso (non l’esempio ideale di mentore, ma tant’è), che ha frequentato in gioventù l’Istituto tecnico commerciale “Gaetano Filangeri” di Formia, per poi proseguire gli studi in Economia e Commercio a Cassino. L’agenzia di stampa lo descrive bene, sulla scorta delle persone interpellate – l’ex compagno di scuola, Rocco Mignano, la Presidente del Parco Riviera di Ulisse, in quota PD, Carmela Cassetta, il responsabile della protezione civile di Santi Cosma e Damiano Bruno Romanelli – “riservato, di poche parole, ma sempre disponibile“. E, aggiungiamo noi, almeno in questa fase, con un vizio che ci piace: quello delle verità scomode e, per questo, subito tappate da chi deve indorare la pillola.
L’esempio ci è dato due giorni fa, venerdì 3 aprile. A Radio Anch’io, il capo della Protezione Civile dichiara che passeremo chiusi in casa anche il Primo Maggio e fa intendere anche di più, dopo che il premier Conte ha prolungato la serrata fino a Pasqua e Pasquetta. Poche ore dopo, come si conviene allo show perenne del Belpaese, tra stampa e Tv più i social scatenati, parte la ridda delle ipotesi e quella tendenza tutta italiana a voler vedere il mulino bianco anche in una tragedia di cui solo tra qualche anno sapremo spiegarci la portata.
E allora, Pasqua e Pasquetta a casa, ma per tenere buoni gli italiani è meglio far trapelare che forse il primo maggio ce lo facciamo in gita. Non ci crede nessuno dalle parti del Consiglio superiore di Sanità, dell’Istituto superiore, del Governo eccetera. Ma un solo uomo ha il coraggio di dire per primo come stanno le cose: è Angelo Borrelli che risponde senza indugi alla radio riferendosi al primo del mese mariano “non passerà questa situazione per quella data. Dovremo stare in casa per molte settimane“.
Non serve un genio per comprenderlo e manco essere Andrea Scanzi o Nicola Porro: a Wuhan, da dove il virus ha iniziato il suo assalto all’Occidente e poi al mondo intero, il lockdown è partito il 23 gennaio, così come in tutta la Cina. È previsto che finirà l’8 aprile, con vari intermezzi degli ultimi giorni, compresi contagi di ritorno e nuove quarantene nelle aree limitrofe, perché il coronavirus-Covid-19 non si fa vedere ma, appena può, si fa sentire eccome con tutto il suo spudorato desiderio di vivere attraverso i nostri corpi.
Senza avere una cattedra in Microbiologia e Malattie infettive, l’uomo della strada non può che armarsi di logica e fare di conto come le vecchie maestre uniche di una volta insegnavano. Il lockdown, o serrata, o clausura (meglio), in Italia è iniziato l’11 marzo (in realtà l’8, ma siamo larghi): in una democrazia come la nostra dove, per fortuna, non ti bastonano o ti sparano se non te ne stai rinchiuso a casa (in Cina è avvenuto e non solo, vedi India, Costarica e altre parti del mondo non proprio avvezze alle democrazie liberali), è mai possibile farcela prima di due mesi e mezzo? Se siamo seri rispondiamo di no, se vogliamo credere al mulino bianco allora possiamo rispondere che dopo che il Cristo sarà resuscitato potremo finalmente andare a prenderci un aperitivo con gli amici.
Borrelli, però, è uomo di Stato e poche ore dopo dalla dichiarazione a Radio anch’io precisa: “Dobbiamo vedere quando questa situazione inizia a decrescere. Non vorrei dare delle date, però da qui al 16 maggio potremo aver dati ulteriormente positivi che consigliano di riprendere le attività e cominciare quindi la fase 2“. Un richiamo dall’alto di qualcuno che gli ha suggerito che noi italiani non siamo cambiati mai da quelli ben ritratti dalla commedia di Monicelli e Risi? Chissà, ma ad ogni modo lo capiamo: non si può pretendere da un funzionario di Stato di essere Pasolini o Flaiano, c’è da rispettare il protocollo, le gerarchie e le sintassi del potere costituito. Ma chiunque lo sa, anche se non lo ammette a se stesso, che questa tragedia, purtroppo, non si supera con i drappi dell’andrà tutto bene, le interviste di politici sempre più inutili e dannosi che cianciano di ripartenze ad ora patetiche (da orchestra del Titanic Enrico Forte che dichiarava a Latina Oggi la priorità pontina: l’autostrada a pedaggio Roma-Latina!) e gli inni cantati a squarcia gola dai balconi. Sempre di meno, per fortuna, quelle baracconate di gruppo, più da Billionaire grottesco e feroce che canto di laica, umana e orgogliosa speranza, in questa Italia che sta sperimentando sulla sua pelle la prova che la Storia non è finita (il povero Francis Fukuyama non aveva capito niente) ed è ancora tutta da scrivere.