Entra al Dono Svizzero di Formia per una frattura del femore ed esce col Covid infettando tutta la famiglia. La denuncia da Formia nei confronti del Direttore sanitario dell’Asl di Latina e dei Dirigenti dell’Ospedale
Un’operazione di prassi e la coda di un’odissea da Covid. La storia, va chiarito, è all’attenzione della Procura di Cassino alla quale una famiglia di Formia, assistita dall’avvocato Alessandro Lanfranghi, ha presentato una denuncia querela.
LA DENUNCIA – Il 17 maggio, i signori A.P. e A.L., con i figli, E.L., G.L. e A.L., tramite il loro avvocato, depositano una formale querela alla Procura della Repubblica di Cassino nei confronti dell’Asl Latina, in persona del Direttore Sanitario, nonché dell’ospedale “Dono Svizzero” di Formia, in persona di Dirigenti medici e operatori sanitari responsabili al momento del ricovero e delle dimissioni della paziente, l’anziana signora A.P.
La famiglia contesta ai responsabili sanitari reati molto gravi: si va dalla cooperazione nel delitto colposo alla responsabilità colposa per lesioni personali in ambito sanitario, dall’epidemia al delitto colposo contro la salute pubblica, fino all’interruzione di un servizio pubblico e all’omissione di atti d’ufficio.
LA STORIA – Ma cosa è successo per indurre un’intera famiglia a sporgere una denuncia così importante? La vicenda è quella di un cosiddetto contagio endonosocomiale, ossia un contagio da Covid avvenuto dentro le mura dell’Ospedale nei confronti di una persona entrata sana e uscita infettata, avvenuto nel mese di febbraio 2021 presso il Dono Svizzero di Formia.
La una donna, l’ultraottantenne A.P., viene ricoverata nel Reparto Ortopedia a causa di una frattura al femore. Un incidente molto usuale per un ottuagenario e che si risolve, al netto di complicazioni, con un intervento chirurgico.
La signora si sottopone all’operazione e viene dimessa. E qui arriva il primo problema. Il tampone che le effettuano, infatti, sarebbe stato applicato due giorni prima e non al momento della dimissione come da protocollo sanitario.
Il tampone dell’anziana risulta negativo (quello effettuato due giorni prima di dimetterla). Solo che, passati due giorni, una volta tornata a casa, la donna risulta positiva, generando un mini cluster famigliare che ha coinvolto il marito, peraltro anziano e malato, e i tre figli di cui uno affetto da una grave patologia quindi ad altro rischio con un’infezione Covid.
Insomma, l’intera famiglia è costretta al ricovero contemporaneamente per COVID 19 con sintomi di polmonite. All’anziana signora, inoltre, non viene garantito – secondo la denuncia presentata dall’Avvocato Lanfranghi – durante il ricovero per Covid il necessario ed indispensabile trattamento fisioterapico, finendo per essere trasferita vorticosamente tra Formia, Gaeta e poi Roma: ritornerà a casa nel mese di aprile per poi negativizzarsi solo il 12 maggio scorso. Il marito e una delle figlie vengono ricoverati presso l’Ospedale Spallanzani di Roma, mentre all’altra figlia con il fratello (affetto da grave patologia) spetta l’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina. Tutti e cinque ricoverati per Covid.
Nella triste vicenda, le due sorelle riescono a farsi, poi, ricoverare nella stessa struttura (Spallanzani) e nella stessa stanza del fratello con gravi patologie e del padre anziano e malato, garantendo almeno vicinanza e affetto in un momento della vita della famiglia che non sarà messo nell’album dei ricordi.
COSA CONTESTANO ALLA ASL E AL DONO SVIZZERO – Nella querela sono denunciate sia le carenze organizzative della struttura ospedaliera che l’omessa ed idonea condotta resasi, di fatto, agevolatrice della diffusione del contagio.
Secondo i querelanti, la responsabilità della struttura ospedaliera è ravvisabile: dalla mancata garanzia della sicurezza dell’ambiente ospedaliero tale da evitare il contagio a persone ammesse a visita o ricovero non-Covid con inadeguato isolamento e distanziamento dei reparti e conseguente promiscuità degli ambienti e del personale: l’Ospedale, qualificato come centro – Covid non si comprende in base a quali paramenti valutativi presentava come unica misura di protezione quella di cartelli informativi e di indicazione sui percorsi possibili al suo interno;
– dal sostanziale inadempimento agli obblighi protettivi accessori a quello principale di cura, il mancato rispetto dei Protocolli di sicurezza, gravi omissioni nella organizzazione complessiva della prestazione di spedalità’;
– dall’inesistenza di spazi reali di isolamento tra soggetti/pazienti infetti e non Covid.
L’Ospedale non ha in nessun modo evitato – secondo la denuncia – l’insorgenza dell’infezione Covid 19 sull’anziana signora che non sarebbe né la prima ne l’ultima ad aver contratto il Covid nel reparto Ortopedia).
Per i querelanti si tratta di una responsabilità nelle determinazioni organizzative della struttura e con essa degli organi gestori.
La dimissione dell’anziana signora, in data 17 febbraio 2021, alle ore 17, senza effettuare un accertamento attraverso apposito tampone sarebbe la causa scatenante di un cluster che sarebbe potuto finire in tragedia. Il tampone, infatti, avrebbe consentito di individuare la positività della paziente, revocare la dimissione dalla struttura ospedaliera con trasferimento immediato in reparto Covid ed evitato il contagio di ben 4 familiari le cui condizioni (già complesse e difficili) si sono progressivamente aggravate, causando loro “conseguenti sofferenze indicibili soprattutto per il marito e il figlio, entrambi con patologie.
Inoltre – tengono a precisare i querelanti – la riduzione dei livelli di assistenza sanitaria costituisce il presupposto per la contestazione di fattispecie di reato quali l’interruzione di pubblico servizio di cui all’art. 340 c.p. e il rifiuto o omissione di atti d’ufficio ai sensi dell’art. 328 c.p.
Alla paziente ultraottantenne a cui, soprattutto nella prima fase riabilitativa conseguente all’intervento chirurgico ortopedico, era indispensabile un immediato trattamento fisioterapico, a seguito del ricovero in reparto Covid. Invece, assicurano, alla donna non sarebbe stata assicurata e garantita alcun tipo di assistenza.
Solo a seguito di una diffida, è stata poi trasferita all’Ospedale Di Liegro di Gaeta dove è rimasta per tre settimane circa (proprio con il dichiarato intento di garantire un intervento di fisioterapia) dove però non è stato possibile alcun trattamento data la sostanziale “inesistenza” della figura del fisioterapista non prevista come operativa all’interno di un reparto Covid. Solo al momento del trasferimento nel presidio sanitario di lunga degenza covid di Roma è stato possibile garantirle il trattamento fisioterapico di cui necessitava, ma era già trascorso più di un mese dall’intervento.
Tali omissioni, secondo il legale della famiglia, hanno compromesso, di conseguenza, in modo irreparabile, il suo attuale stato di salute visto che, ad oggi, a circa quattro mesi dall’intervento, la donna è ancora allettata.
UNA STORIA CHE SI RIPETE – Una storia che, purtroppo, non è l’unica che è stata segnalata in questi mesi di emergenza pandemica a Latina Tu. Peraltro, solo a novembre scorso, prima che fosse defenestrata da un gioco di palazzo, l’ex Sindaco di Formia Paola Villa parlò, rivolta all’allora Direttore Generale dell’Asl di Latina Giorgio Casati, di una “scelta scellerata”, ossia quella di inserire il “Dono Svizzero” nella reta ospedaliera Covid senza le doverose e opportune misure preventive (leggi di seguito approfondimento). Inoltre, sempre Villa denunciò la situazione del Reparto Ortopedia, cioè proprio dove l’anziana signora era ricoverata prima di contrarre il Covid.
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Alla luce degli ultimi scandali sanitari (per anni tenuti sotto banco a causa di un’informazione servile), tra concorsi truccati e politici muti come in un’acquario di omertà, chissà se qualcuno di coloro che perdevano tempo a contattare privatamente l’ex Direttore amministrativo Claudio Rainone, spesso per affari loro, possa provare un minimo di vergogna. Solo un po’, non si chiede troppo.