A SABAUDIA FAMIGLIE E RIFUGIO DI CAMORRA. LE RIVELAZIONI INQUIETANTI DI UN EX PENTITO

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Francesco Casillo
Francesco Casillo, l'ex pentito di camorra di cui vanno valutate le rivelazioni shock in un processo che si sta svolgendo a Torre Annunziata

Il sito Cronache Campane riporta uno scenario inquietante anche per le zone pontine, a Sabaudia in particolare, sia alla luce delle ultime rivelazioni alla DDA nel luglio 2018 contenute nei verbali del collaboratore di giustizia Agostino Riccardo (ex affiliato al clan Di Silvio di Campo Boario), sia in ragione delle dichiarazioni dell’ex collaboratore di giustizia Francesco Casillo rilasciate ieri in un’Aula del Tribunale di Torre Annunziata.

Comune di Sabaudia
Comune di Sabaudia

Il contesto è gravissimo e potenzialmente esplosivo: una presunta trattativa Stato-camorra tra il clan Gionta di Torre Annunziata e un pezzo di Stato cosiddetto deviato, ossia una parte dei Carabinieri del comando di Torre Annunziata.

Le rivelazioni sono state fatte ieri, nell’aula di Tribunale di Torre Annunziata, dal boss Francesco Casillo, detto ‘a vurzella, coinvolto nel narcotraffico del Piano Napoli di Boscoreale e in rapporti con i clan di Secondigliano.
Casillo ha raccontato delle dinamiche che intercorrevano tra lui e una parte dei Carabinieri, dichiarazioni che senza dubbio saranno passate al vaglio della magistratura e da trattare con la massima cautela anche in considerazione del fatto che si sta parlando di un ex collaboratore di giustizia.

A quanto dichiara Casillo, nell’ambito di questa presunta trattativa tra clan e pezzi di Arma dei Carabinieri, l’episodio che riguarda l’area pontina è avvenuto nel 2008, esattamente il 6 giugno.
Gli inquirenti campani dell’epoca indagavano sull’uccisione del tenente Marco Pittoni da parte di alcuni rapinatori che assaltarono l’ufficio postale di Pagani, in provincia di Salerno. Il 6 giugno, il giorno in cui avrebbe avuto luogo la trattativa, il clan Gionta, detto anche dei “Valentini” (dal capostipite Valentino, condannato e poi assolto per l’omicidio del celebre giornalista Giancarlo Siani), si rivolse a lui, Casillo, per nascondere Carmine Maresca, all’epoca minorenne (16 anni) e figlio del killer degli Gionta Luigi Maresca, detto ‘o trippone, l’autore materiale dell’omicidio del tenente Pittoni.

Palazzo Fienga
Palazzo Fienga

Come riporta Cronache della Campania, Casillo avrebbe interpellato a sua volta uno dei suoi sodali più fedeli, sostenendo che: “Chiesi a Orazio Bafumi di accompagnarlo (ndr: il figlio di Maresca) a Sabaudia. Poi i carabinieri vennero da me, trattai con Palazzo Fienga (ndr: il quartier generale del clan Gionta, sgomberato solo nel 2015 dopo 33 anni di dominio) e alla fine, tramite un affiliato, ottenni il nulla osta da Gemma Donnarumma, la moglie di Valentino Gionta. Parlai con la mamma del ragazzo e lo feci consegnare“.
Fosse vero l’episodio, ormai risalente a oltre dieci anni fa, avremmo l’ennesima conferma di come la provincia pontina sia trattata dai clan campani – basti pensare a come ritenevano Terracina i camorristi dell’omicidio Marino. Una terra di risulta, un anfratto dove nascondersi e, perché no, radicarsi. Roba loro, in due parole.
Il motivo è solo sussurrato dai più, ma considerare la provincia pontina come una terra babba (sciocca e a disposizione di chiunque), alla stregua della Catania anni Ottanta del compianto giornalista Pippo Fava, non è poi così peregrino.

E cosa c’entra ancora Agostino Riccardo e le sue dichiarazioni che tengono banco nei giorni in cui tutti sembrano finalmente accorgersi che esiste un problema di voto di scambio nel territorio pontino? Riccardo, nelle sue confessioni all’Antimafia e agli inquirenti, divide l’enclave pontina per clan. Ogni città, un riferimento criminale, che sia un clan conosciuto o un nome o una famiglia. Per le estorsioni da fare fuori Latina, il clan Di Silvio di Campo Boario aveva bisogno del permesso dei relativi clan o personaggi criminali di ogni città o area.

Sabaudia
Litorale di Sabaudia visto dal promontorio del Circeo (Fonte Roma Fanpage)

Secondo Riccardo, se il clan di Lallà Di Silvio avesse estorto a Sabaudia, prima avrebbe dovuto accordarsi, o comunque verificare, con la famiglia Serrapiglio. Un cognome che rientra sì in alcune operazioni antidroga realizzate nella provincia negli ultimi dieci anni, ma che non viene mai citato nelle relazioni con le mappature criminali della Direzione Investigativa Antimafia né dall’Osservatorio regionale del Lazio.

Una Sabaudia che è quella delle venti carcasse di cornacchie grigie congelate, ritrovate sul litorale il 23 agosto del 2010, e da molti ritenuto un messaggio camorristico all’indirizzo di Roberto Saviano (che sarebbe dovuto venire di lì a pochi giorni). La città di Pasolini e del Parco Nazionale che, fossero confermate le dichiarazioni di Riccardo, avrebbe la presenza di una vera e propria famiglia che controlla il territorio dal punto di vista criminale. E il boss Casillo, un ex collaboratore di giustizia, darebbe conferma del fatto che Sabaudia è un’area al riparo da pericoli, dove persino condurre il figlio di un boss poiché ritenuto luogo sicuro dai clan agguerritissimi come la “storica” cosca degli Gionta, che la Dia ritiene, seppure ammaccata da numerosi arresti e processi, ancora operativa.
Casillo parla del 2008, le cornacchie risalgono al 2010, Riccardo rimanda verosimilmente a rapporti di potere intercorsi tra i Di Silvio e i Serrapiglio fino al 2016 (quando fu arrestato). E nel 2019? Siamo sicuri che qualcosa sia cambiato?

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