Caso Zuppardo e Carabinieri: il Riesame di Roma dovrà decidere sul ricorso promosso dalla Procura di Latina
A parlare dei suoi rapporti con alcuni militari dell’Arma di Latina è stato il collaboratore di giustizia e, prima confidente delle Forze dell’Ordine, Maurizio Zuppardo. L’inchiesta, coordinata dal Procuratore capo Giuseppe De Falco e dal sostituto Valentina Giammaria, che si sono avvalsi anche dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma, è partita dalle parole riferite a verbale da uno dei collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni sono state ritenute attendibili dalla Polizia di Stato in più di una indagine: Movida e Scarface sul Clan di Silvio capeggiato da Giuseppe Di Silvio detto “Romolo” e Reset che ha dato il colpo di grazia al Clan retto da Costantino “Cha Cha” Di Silvio e dai fratelli Angelo e Salvatore Travali.
Ad essere indagati dalla Procura, come riportano Corriere della Sera e La Repubblica in due articoli publicati oggi 27 aprile, sono 11 Carabinieri che nelle circostanze descritte alla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma erano in servizio presso la Caserma del Comando Provinciale di Latina “Vittoriamo Cimarrusti”. Secondo Zuppardo, per circa 11 anni, egli stesso avrebbe ricevuto quantitativi di droga in cambio di soffiate rese ai Carabinieri che sequestravano la sostanza stupefacente e procedevano ad arresti. In un caso, descritto da Zuppardo, la sua “paga” sarebbe stata di un chilo di erba per aver permesso ai militari dell’Arma di bloccare un carico di droga proveniente dall’Olanda.
Sarebbero 35 i capi d’imputazione a carico degli undici indagati che, sospesi da incarichi operativi all’interno dell’Arma, devono rispondere di reati gravi quali corruzione, falso, spaccio, furto e concussione. Le richieste di arresto nei confronti di sei degli undici Carabinieri indagati – tra cui il vice-brigadiere Camillo Marino difeso dall’avvocato Alessandro Mariani (che assiste anche l’appuntato Fabien Williot e il vice brigadiere Gianluca Tofani) e il maggiore Camillo Meo (poi trasferito al Comando di Sassuolo) difeso dall’avvocato Roberto Ghini – sono state, come noto, respinte dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina. Tuttavia la Procura di Latina, che dopo l’emergere della notizia a marzo scorso ha voluto rilasciare un comunicato per ribadire la sua fiducia nell’Arma, si è opposta ricorrendo al Tribunale del Riesame che ora dovrà pronunciarsi sulle misure cautelari.
Secondo Zuppardo, i Carabinieri non possono permettersi un’auto costosa o l’acquisto di una casa e per tale ragione non solo avrebbero dato a lui il premio della droga in cambio dei sequestri e delle soffiate, ma a un certo punto avrebbero anche voluto parte dei proventi derivanti dallo spaccio messo in piedi con la droga sequestrata. “Un carabiniere – come si legge in uno stralcio di un verbale di Zuppardo pubblicato da La Repubblica – può guadagna’ 1400-1500 euro al mese, non puoi farti nel 2008 una Golf ultimo tipo che costa 30-40mila euro e una casa nuova. Ogni volta che andava a sequestra’ lui qualcosa spariva, sparivano i soldi e la cocaina”. Queste le parole che Zuppardo avrebbe riferito nei riguardi di uno degli indagati, Camillo Marino il quale, insieme a un altro Carabiniere che ne era a conoscenza, avrebbe chiesto anche una quota sullo spaccio.
Per il collaboratore, che ha descritto i passaggi di droga con dettagliati particolari, c’era nella Caserma di Latina un “mobiletto solito con il cassettino della droga, dove loro mi davano sempre quello che sequestravano”.
Il collaboratore di giustizia ha raccontato anche che nel 2018, fermato per resistenza a pubblico ufficiale e portato nella caserma dei Carabinieri, sarebbe stato denudato e percosso. Al che, Zuppardo stesso avrebbe tentato il suicidio impiccandosi con una sciarpa. Al che un carabiniere gli avrebbe detto: “Ti metto una buona parola quando parliamo davanti al giudice, ti metto una buona parola e tu non dire che ti sei impiccato”. Un episodio che sarebbe stato confermato anche dalla compagna del pentito: “Maurizio fu spogliato e portato dentro una celletta e dalla videocamera di sicurezza presente nella cella videro che Maurizio si stava impiccando e iniziarono a gridare”.
E sarebbe emersa anche una circostanza nella quale uno dei Carabinieri indagati avrebbe accompagnato il fratello del pentito Zuppardo alla Motorizzazione per far annullare alcuni verbali. Un episodio per cui lo stesso Carabiniere si sarebbe scusato.
Un quadro investigativo che dal Gip di Latina Giuseppe Cario non è stato considerato attendibile ma che, secondo quanto deciderà il Riesame di Roma, potrebbe presentare conseguenze gravi. Anzi, se il Riesame ribaltasse la decisione del Gip l’eco dell’inchiesta sarebbe roboante non solo a Latina anche perché molti degli indagati sono in servizio presso altri luoghi al momento.
“Comanda’ voi parlate dell’arresto – dice un maresciallo intercettato all’attuale capitano di Ardea Antonio Calabresi, già in servizio a Latina – l’arresto è legittimo. Quello che c’è dietro l’arresto, è chill lu problem“.
Gli avvocati degli indagati chiedono, invece, che tutto sia archiviato perché il collaboratore ha parlato dei Carabinieri un anno e mezzo dopo e non nei 180 giorni previsti dalla legge sui collaboratori di giustizia. inoltre, in un colloquio tra Williot, il capitano Antonio Calabresi e Zuppardo, dopo l’inizio della collaborazione con lo Stato, c’è Williot che invita Zuppardo a dire la verità ai magistrati. Un episodio che, secondo la difesa, testimonia l’assenza di qualsiasi accordo illecito tra collaboratore e militari dell’Arma.