Arrestato di nuovo, nell’ambito dell’operazione “Ottobre Rosso”, il 51enne di Latina Gianluca Tuma. Dalla strada della malavita alle attività imprenditoriali
Sembra di rivedere un film già consumato più volte. Come lo ha definito il Dirigente della Squadra Mobile di Latina Giuseppe Pontecorvo si tratta di un canovaccio già praticato da Tuma e reso evidente dall’inchiesta del 2015 denominata “Don’t Touch”, da cui scaturì una condanna passata in giudicato a 3 anni e 4 mesi per intestazione fittizia di beni e, soprattutto, il provvedimento disposto dalla Divisione Anticrimine della Questura di Latina che portò al sequestro e poi alla confisca dei beni del 51enne per un valore di circa 3 milioni di euro.
L’inchiesta “Ottobre rosso”, condotta dalla Squadra Mobile di Latina, con il coordinamento del sostituto procuratore di Latina Antonio Sgarrella, ha portato agli arresti di Tuma e dei sodali, ritenuti prestanome di società, Stefano Mantovano e Gino Grenga, fratellastro di Tuma. A Mantovano (51 anni) e Tuma è contestato, oltreché al reato di trasferimento fraudolento di valori insieme a Grenga (società intestate fittiziamente a terzi da parte di Tuma), anche un tentativo di estorsione ai danni di un uomo minacciato a più riprese affinché restituisse alcuni assegni, o la somma equivalente, consegnatagli in precedenza. È da questo episodio, con la denuncia dell’uomo, che si origina l’indagine, durata più o meno due anni, che ha rivelato in seguito il giro di società (cinque in tutto) che aveva messo in piedi Tuma per gestire, tramite interposta persona (i suoi prestanome Grenga e Mantovano), tre locali a marchio “Le Streghe”: uno a Latina in Via Aprilia (oggi chiamato La Casa della Morgana), uno a San Felice in via Tittoni e un altro a Terracina in Via del Porto. Le cinque società che gestivano a fasi diverse i locali (pub e ristoranti) sono: La Casa della Morgana srl, Morgana srl, Pizza 1 Srl, Str srl e Amal Srls.
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Secondo gli investigatori, inoltre, che hanno corroborato l’indagine con accertamenti tecnici e intercettazioni telefoniche, la volontà di Tuma era quella di espandersi a Roma, precisamente a a nord della Capitale, nella nota Piazza Euclide, un tempo ritrovo di pariolini. Per concludere l’affare, ha acquistato, sempre tramite prestanome, un bar della piazza.
Qualcosa, però, si è inceppato perché oltre alla denuncia recapitata dall’uomo minacciato per gli assegni, anche uno suo ex sodale, gestore del locale a Latina, estromesso dalle attività, ha raccontato ciò che stava succedendo e come Tuma continuasse a gestire gli esercizi commerciali pur non figurando mai. Per l’ex sodale e suo padre – il 31enne Youssef Islam Fathy e il 69enne Youssef Fathy – erano stati chiesti dalla Procura di Latina gli arresti domiciliari rigettati dal Gip Cario proprio perché distaccatasi, dopo essere stati sfruttati nelle intestazioni delle società, da Tuma stesso.
Il modus operanti di Tuma non è cambiato. Non più, almeno da ciò che risulta, invischiato in spaccio e criminali da strada, ma pronto a fare l’imprenditore, dimostrando peraltro, e ancora una volta, abilità nel far “girare” le società da un prestanome all’altro compresi cessione di rami d’azienda e rapporti indiretti con le banche.
Grenga (40 anni), il fratellastro, era infatti già titolare di 3 società nel precedente provvedimento di sequestro (tra cui Gruppo Pandoc e Tps Technicalpaper Service&Support) che nel 2017 bloccò l’ascesa imprenditoriale di Tuma.
Già da quel provvedimento risalente al 2017 e dalla successiva sorveglianza speciale nel 2019 (Tuma era stato già destinatario negli anni dello stesso tipo di misura), veniva fuori tutta la capacità del 51enne di reinventarsi come un vero e proprio uomo d’affari, con tanto di barca chiamata “Libertà dell’uomo”.
Uso di Prestanome e azioni di espansione commerciale – avrebbe voluto far suo il marchio di supermercati Sigma – Tuma ha sempre dato l’impressione di essere al di sopra, quanto a intelligenza criminale, rispetto ai suoi compagni di strada: tra cui, come noto, c’erano Costantino “Cha Cha” Di Silvio (tanto è che il primogenito di Tuma si chiama per secondo nome Costantino), i fratelli Giordano (Giovanni, in vita narcotrafficante di livello, fu un punto di riferimento), Giuseppe “Peppone” Travali e altri ancora. Tuma, insieme a Cha Cha, tra le altre cose, gestiva la società di calcio di Campo Boario, nel quartiere roccaforte dei Di Silvio di Armando detto “Lallà”, e deteneva sia il campo di calcio comunale in Via Coriolano, sia i marchi figurativi e verbali del Latina Calcio ai tempi di Maietta Presidente.
Sin dall’età giovanissima, Tuma ha avuto a che fare con il mondo della malavita: spaccio ed estorsioni, anche se risultano a suo carico condanne solo per resistenza a pubblico ufficiale (oltre a quella derivante dal processo Don’t Touch). Di lui si ricorda l’atto grave di un’aggressione (una testata) dentro la Questura di Latina contro l’allora capo della Squadra Mobile Fabio Ciccimarra. Prosciolto per intervenuta prescrizione. E fu destinatario anche di un importante provvedimento della DDA di Roma nel 1998 in cui si evidenziava la malavita di Latina: con lui anche Cha Cha, Giordano e altri. Finì tutto in una bolla di sapone.
Tuma, nella sua vita, ha avuto diverse proposte di prevenzione personale e patrimoniale (tre nella prima decade del secolo in corso); sin dal 1990 gli fu applicata, per anni, la sorveglianza speciale per i suoi precedenti.
Tornando ai giorni nostri, un’altra speranza lo ha colto quando, a settembre scorso, la Cassazione ha annullato, rinviandola in Appello, la misura disposta da Tribunale di Latina e confermata dalla Corte d’Appello di Roma in merito alla confisca di beni scaturita dal lavoro della Divisione Anticrimine della Questura di Latina datato 2017.
Ad oggi, Tuma risulta, come nel primo provvedimento di sequestro dei beni che lo ha raggiunto quattro anni fa, dipendente/operaio della MGM, la società all’epoca riconducibile a lui stesso e all’imprenditore Massimiliano Mantovano (fratello dell’odierno arrestato Stefano) che, coinvolto nell’inchiesta Mafia Capitale, si sarebbe servito di Tuma e Cha Cha come “belve di scorta” nell’ambito di un contenzioso avuto con un altro imprenditore. Per averlo scritto, il giornalista Vittorio Buongiorno fu minacciato dal 51enne pontino: una vicenda inclusa nel processo “Don’t Touch 2” dove è imputato peraltro uno dei maggiori prestanome Tuma tramite cui il pontino avrebbe voluto estendere il suo raggio imprenditoriale facendo il colpo grosso (marchio Sigma).
Ciò che per ora lo ha incastrato è il fatto di aver operato, tramite prestanome, pur essendo destinatario dal 2019 della misura di sorveglianza speciale che gli vietava, in sostanza, di continuare nella sua attività imprenditoriale: divieto di ottenere licenze e autorizzazioni di natura commerciale ed economica e divieto di concludere contratti d’appalto;
A finire in carcere con lui, dunque, anche il fratellastro Grenga e Stefano Mantovano. Sia Mantovano che Grenga risultano noti alle Forze dell’Ordine: il primo per essere stato arrestato, nel 2008, con Angelo “Palletta” Travali e Leonardo Petrianni in merito a sequestro di persona, estorsione e detenzione di sostanze stupefacenti; il secondo risulta pregiudicato per tentata estorsione, detenzione illegale di sostanze stupefacenti, furto aggravato e lesioni.