Operazione Revenge: l’indagine anti-mafia che ha coinvolto il fondatore di Pizza Cozze e Babà. Dal ristorante di Latina rispondono: “Siamo stati travolti”
Ad essere indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con l’aggravante mafiosa è l’imprenditore Diodato Civale, così come riportato ieri 10 settembre da Latina Tu.
Civale, secondo la DDA di Firenze che ha coordinato le indagini eseguite da Polizia e Guardia di Finanza, sarebbe in rapporti con il figlio di uno dei fratelli Cuomo, personaggi dell’omonima organizzazione criminale di Nocera in provincia di Salerno. I Cuomo hanno aperto con il brand “Pizza Cozze e Babà” una pizzeria a Firenze che è stata oggetto di attentati da parte della fazione rivale di “Piedimonte”. Le bombe carte fatte esplodere davanti alla pizzeria fiorentina rappresentano uno degli episodi che costituiscono l’imponente indagine dell’Antimafia che contesta l’associazione a delinquere con l’aggravante mafiosa ad almeno 13 persone per aver agevolato il clan camorristico dei fratelli Cuomo, presente a Nocera Inferiore e nella provincia di Salerno, legato al clan Mazzarella di Napoli.
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Ieri 10 settembre sono stati eseguiti 10 arresti, di cui 7 in carcere. E tra gli indagati è spuntato il nome di Diodato Civale che con la famiglia si è trasferito a Latina da oltre venti anni e ha aperto nel 2013 la prima pizzeria denominata “Pizza, Cozze e Babà” a San Felice Circeo (ad oggi, il locale ha cambiato gestione) per poi esportare il marchio, diventato brand, a Latina, Bologna e come detto a Firenze. Nel capoluogo toscano, la pizzeria era però gestita da personaggi legati a dinamiche camorristiche, per l’appunto i Cuomo.
Oggi 11 settembre, con un post sulla loro pagina Facebook, i ristoratori rispondono con uno scritto che reca la firma anche dell’indagato Diodato Civale.
“Siamo stati travolti da una notizia che ha sorpreso anche noi – scrivono i ristoratori – dal momento che nulla abbiamo a che fare con quanto emerso. Le nostre attività, in vita da sette anni sono state aperte e avviate col sudore di grandi sacrifici per dare un futuro ai nostri figli in un Paese che non offre più speranze. La nostra colpa è stata quella di fidarci di persone che hanno sporcato il nostro marchio e il nostro buon nome, e che ci hanno coinvolto in situazioni a noi completamente estranee. Vogliamo che la giustizia faccia il suo corso e quanto prima a dimostrazione del fatto che non siamo implicati nei fatti che si leggono sui giornali. Le indagini chiedono il più stretto riserbo ma ci teniamo almeno a chiarire che non siamo stati sottoposti ad alcuna restrizione. Le perquisizioni da parte della Guardia di Finanza sono state effettuate con il massimo rigore e le nostre attività restano operative. Siamo stati travolti da una bufera per la quale chiediamo rispetto, anche da parte dei giornali, in quanto sono in corso delle indagini che chiariranno i fatti e siamo certi si concluderanno a nostro favore in quanto nulla abbiamo a che vedere con gli accadimementi citati. Ne usciremo a testa alta e di questo ne siamo assolutamente certi. La nostra coscienza è pulita. Chiediamo la cortesia di non essere sottoposti a giudizi accusatori prima ancora che vengano accertati i fatti. Crediamo fortemente nell’azione della giustizia e vogliamo sia giustizia quanto prima”.
E infine, la ventilata querela, da tempo vezzo abusato da tutti: “Non permettiamo ai giornalisti di attribuirci altri appellativi! Ci muoveremo anche in questo caso guidati dall’esperienza dei nostri legali”.