Dal 2005 il 10 febbraio di ogni anno si celebra la giornata del ricordo in onore dei morti nelle foibe. Si tratta di una delle pagine più strazianti della nostra storia, su cui è calato per quasi sessanta anni un vergognoso silenzio.
LA TRAGEDIA DELLE FOIBE E IL DRAMMA DEGLI ESULI
Le foibe sono cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo.
È in quelle voragini che fra il 1943 e il 1947 vengono gettati, vivi e morti, quasi diecimila italiani da parte dei partigiani comunisti del Maresciallo Tito, compresi uomini di chiesa, donne, anziani e bambini.
È una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico verso i non comunisti e una volontà criminale di pulizia etnica da parte di Tito. Il massacro prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia e le terre italiane di Istria e della Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia.
Se il massacro termina, il dramma continua.
Quasi quattrocentomila italiani si trasformano in esuli.
Sono costretti a fuggire: scappano dal terrore, lasciano ogni cosa e non hanno più nulla, ma non trovano in Italia una grande accoglienza. La sinistra italiana li ignora, perché non può suscitare solidarietà chi fugge da un paese comunista e può tra l’altro essere lo scomodo testimone dell’atrocità delle foibe e dei lager di Tito.
Ma non è solo il PCI ad ignorare la tragedia delle foibe.
La stessa classe dirigente democristiana, con tutti gli altri partiti del cosiddetto arco costituzionale, partecipa alla congiura del silenzio.
La volontà politica di mantenere buoni rapporti con Tito nega agli infoibati anche il diritto al loro ricordo, dopo che è stato negato loro persino il diritto ad una tomba.
Alla crudeltà dei lager e delle foibe fa seguito la crudeltà del silenzio, delle falsificazioni e delle mistificazioni storiche, che ufficialmente termina con l’istituzione della giornata del ricordo.
LA GIORNATA DEL FINTO RICORDO
L’amministrazione comunale Latina Bene Comune – Coletta è riuscita a distinguersi anche in questo caso, istituendo di fatto la giornata del finto ricordo.
Per l’occasione il sindaco ha preferito non impegnarsi in prima persona lasciando la parola alla sua vice Paola Briganti.
Ecco il suo “commosso” (sic) e “commovente” (sic) intervento:
“Anche se Latina è lontana rispetto ai luoghi in cui si sono consumati i massacri delle foibe, la comunità sente molto questa giornata avendo accolto tante persone in fuga dalla persecuzione che ha afflitto la Venezia – Giulia e la Dalmazia.
Proprio l’accoglienza oggi è il filo conduttore con il passato e il valore sul quale possiamo costruire un futuro migliore. Un futuro in cui non vi sia alcun posto per la violenza e la prevaricazione dei diritti umani.”
Leggendo la prima frase si ha la netta sensazione che la vice – sindaca ricordi le tragiche vicende come una sorta di atto dovuto, del tipo: bisogna farlo, altrimenti poi ti attaccano perché non l’hai fatto. Trapela un certo distacco, che fa scopa con quello del Sindaco Coletta che preferisce lasciare l’incombenza alla propria vice.
Ci troviamo probabilmente di fronte al primo caso nella storia in cui si ricorda una tragedia senza dire chi erano i carnefici e chi le vittime.
Non paga del finto ricordo la vice – sindaca usa la tragedia delle foibe per dirottare il discorso su un argomento di attualità che a lei evidentemente sta molto a cuore: l’accoglienza degli immigrati provenienti dal continente africano.
Quest’ultimo è un tema complesso e articolato con infinite sfaccettature e implicazioni: dalla situazione economica e sociale in Africa al comportamento dell’Europa e dell’Occidente in quelle terre; dall’aspetto umanitario a quello di chi ci specula sopra; dalle obiettive difficoltà a gestire importanti flussi migratori all’assenza di una politica unitaria e condivisa da parte dell’Europa…e si potrebbe andare ancora avanti. Non è questo però l’argomento oggetto dell’articolo.
Il punto è che il parallelismo tra le due situazioni (gli esuli istriani, dalmati e giuliani con l’immigrazione dal continente africano) è completamente fuori luogo e privo di qualsiasi base storica.
COLETTA E IL CIVISMO TRADITO
Il dato politico che emerge dalla “commemorazione” (sic) del Comune di Latina è lo stesso che ormai è evidente da tempo.
Damiano Coletta e Latina Bene Comune si erano presentati come movimento civico, ma hanno presto tradito i loro elettori con la partecipazione del Sindaco a varie manifestazioni politiche di carattere nazionale tutte orientate a sinistra.
Evidentemente devono essersi dimenticati che al primo turno delle elezioni comunali del giugno 2016 hanno ottenuto il 22,11% (15.701 voti) e al ballottaggio il 75,05% (46.163 voti).
Il voto al secondo turno fu soprattutto un voto contro le amministrazioni Zaccheo – Di Giorgi, contro quel centro-destra che aveva amministrato in maniera pessima la città.
Allo stesso tempo non riescono a rendersi conto che così facendo stanno facendo proprio il gioco del centro-destra locale, ancora rappresentato da personaggi che sono stati attori e protagonisti dello sfacelo amministrativo che va dalla urbanistica spacchettata e su misura ai project financing a favore del privato e in danno del Comune (piscina, cimitero, tramvia), dallo sperpero clientelare di risorse pubbliche alle avventate e discutibilissimi operazioni immobiliari (fallimento Icos e palazzo Pegasol) e via dicendo.
Proprio Latina Bene Comune sta paradossalmente alimentando le aspettative di quelli che hanno contribuito a massacrare Latina: dalla coppia targata Fratelli d’Italia Calandrini – Tiero (una volta entrambi in Forza Italia) alla nuova coppia leghista Tripodi – Carnevale (il primo proveniente da Alleanza Nazionale, il secondo dal PD).
Le indubbie difficoltà nella gestione dell’amministrazione comunale che sta incontrando Coletta insieme a quello sguardo perennemente rivolto a sinistra rischiano di produrre due effetti nefasti:
- far dimenticare ai cittadini di Latina il disastro amministrativo prodotto da quelli che si stanno nuovamente preparando per dare l’assalto alla diligenza;
- diventare un collante politico per il centro-destra, che alle ultime elezioni amministrative si è presentato diviso a causa di rancorose fratture interne alimentate dal solo e unico scopo di soddisfare gli interessi personali propri e del gruppetto di amici di riferimento.
LA GIORNATA DEL RICORDO COME MOMENTO DI UNITÀ DI FRONTE A UNA TRAGEDIA NAZIONALE
Per ritornare al tema iniziale, un esempio di come il 10 febbraio può essere vissuto come un momento di unità di un popolo di fronte a una tragedia nazionale ce lo dà un uomo di cultura di sinistra.
Si tratta di una delle migliori espressioni della nostra musica, il cantautore romano Simone Cristicchi.
Nel 2014 ha scritto un musical in collaborazione con Jan Bamas (giornalista e autore del libro “Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani”) dal titolo “Magazzino 18”, che ha rappresentato in vari teatri italiani.
Lo spettacolo racconta il dramma dell’esodo degli italiani dell’Istria, della Dalmazia e della Venezia Giulia costretti ad abbandonare la loro terra e le loro case nel dopoguerra.
Il titolo del musical deriva dal nome (Magazzino 18) dell’edificio del Porto Vecchio di Trieste in cui sono tuttora conservati molti mobili e oggetti appartenenti agli esuli.
Dato il tema trattato, l’opera di Cristicchi non poteva fare a meno di parlare anche degli eccidi delle foibe.
All’epoca il cantautore romano fu sottoposto ad attacchi molto duri, frutto di faziosità, arroganza e supponenza.
La risposta di Simone Cristicchi, da sottoscrivere in pieno e che potrebbe valere anche per molti altri accadimenti della storia recente, è probabilmente il modo migliore per concludere l’articolo:
“Da artista libero sono ormai abituato agli attacchi di chi non vuol vedere i chiaroscuri della storia. Con Magazzino 18 penso di aver fatto il mio dovere di artista, raccontando una pagina dolorosa e poco nota, e di aver reso agli esuli italiani dell’Istria, della Dalmazia e della Venezia Giulia ciò che spettava loro da sessanta anni: la dignità della memoria.”