La mattina del 31 luglio il Comando Provinciale di Latina dell’Arma dei Carabinieri dirama un gazzettino in cui si riporta, tra le altre notizie, che il giorno precedente, alle 4 di notte a Cori, i militari della locale stazione hanno tratto in arresto, nella flagranza dei reati di resistenza, lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento, un 35enne della Costa d’Avorio domiciliato presso il Cas (Centro di accoglienza straordinaria) in Via Padri Trinitari. Un centro che sorge alle pendici del Monte Ginestra, all’interno del perimetro del Santuario della Madonna del Soccorso, e che si collega al centro cittadino tramite una discesa a tornanti di una certa pendenza e lunga 2 chilometri. La strada prende inizialmente il nome dall’omonima chiesa e successivamente quello di Via Casalotto.
Sempre secondo il comunicato l’uomo, poche ore prima (più precisamente alle 23), aveva opposto attiva resistenza nei confronti dei Carabinieri intervenuti per coadiuvare il personale preposto al trasferimento di 57 migranti destinati al Cas di Cori.
Leggi anche:
CORI: 18 MIGRANTI TRASFERITI DA LATINA FUGGITI VIA DAL CAS
Il 35enne ivoriano aveva preso a minacciare i militari rifiutandosi di lasciare la struttura, aggredendoli e ingaggiando una colluttazione che procurava loro lesioni giudicate guaribili dal Presidio Ambulatoriale Territoriale di Via Marconi a Cori, rispettivamente in 7 giorni e 5 giorni. Il 35enne è stato trattenuto nelle camere di sicurezza in attesa di essere giudicato con rito direttissimo.
Non un episodio da relegare ai piccoli “fattarelli” di cronaca locale, come al contrario sarebbe lecito pensare, dal momento che “il Giornale” tramite la reporter Elena Barlozzari gli dedica un pezzo dal titolo “Caos migranti nel Lazio, ivoriano aggredisce a morsi due carabinieri”. Lo stesso consigliere regionale della Lega Angelo Orlando Tripodi coglie l’occasione per manifestare piena solidarietà ai due uomini in divisa feriti e per condannare il gesto del giovane africano.
In quel periodo, in Provincia di Latina, le Forze dell’Ordine sono impegnate nel soprintendere allo spostamento di alcuni dei 57 naufraghi, per lo più tunisini, sbarcati alcune settimane prima a Lampedusa. Si tratta di una porzione di quei 520 migranti che il 28 luglio avevano lasciato la tensostruttura di Porto Empedocle per essere in una seconda fase dislocati tra i centri di accoglienza del Lazio (320) e del Piemonte (200).
I 57 nordafricani, temporaneamente alloggiati presso la ex Rossi Sud di Latina, lungo la Strada Regionale 156 tra Piccarello e Borgo San Michele, vengono dapprima sottoposti agli screening sanitari. Dodici di loro risultano positivi al coronavirus della Sars-Cov 2 e devono essere presi in carico dall’Azienda Sanitaria Locale. Gli altri, risultati negativi, devono d’altra parte trascorrere un periodo di quarantena presso il centro di Cori, che già ospita 80 migranti. Solo una volta terminati gli effetti del provvedimento di ordine sanitario i 45 maghrebini potranno lasciare la provincia pontina.
Leggi anche:
CORI: ESPULSI 11 MIGRANTI ARRIVATI DALLA SICILIA E OSPITATI NEL CAS
Proprio nel tentativo di fare spazio ai nuovi arrivati che due carabinieri lamentano di esser stati aggrediti. Non tutti, stando alle notizie stampa prodotte dal Comando Provinciale di Latina, avrebbero accettato di buon grado l’idea di dover fare i bagagli e lasciare il centro per essere sistemati altrove. In particolare il migrante della Costa d’Avorio sopra menzionato.
Il primo agosto la Magistratura dispone il rilascio dell’imputato ritenendo che non esistano i presupposti per trattenerlo in carcere. Fin qui una storia di immigrazione come tante, riconducibile forse a tensioni generate in parte dallo stress che in determinate circostanze pervade giovani provenienti da territori lontani durante un duro e lungo tragitto pieno di insidie e difficoltà; dall’altra parte, dalla difficoltà dei pubblici ufficiali nel gestire ingenti flussi di persone. Il problema è che quest’ultima ipotesi contrasta totalmente con la versione degli accadimenti esposta lo stesso giorno dal 35enne ivoriano attraverso il proprio profilo Facebook. Il suo nome è Mohamed Touré e cosa dice in merito? Di seguito il contenuto del suo post in lingua italiana:
“Sono stato vittima di violenze di polizia da parte dei carabinieri di Cori nei loro uffici. Le violenze inflitte hanno richiesto l’intervento di un’ambulanza chiamata dai carabinieri dopo avermi picchiato e torturato. I carabinieri hanno poi cancellato il sangue per far sparire le tracce sul pavimento, così non potevo sporgere denuncia contro di loro.
Sono rifugiato in questo centro di accoglienza da un anno. Soffro di varie patologie mediche, ma il centro non si occupa dei miei problemi di salute, dei problemi amministrativi e tutti i rifugiati vengono trattati con negligenza. Il cibo che ci viene dato è al limite del sopportabile con alimenti avariati spesso con insetti che nemmeno gli animali vorrebbero. Ci fanno ammalare e si preoccupano solo dei soldi che possono ottenere per completare la loro missione.
Testimonierò che altri profughi sono stati vittime di violenza e maltrattamenti senza motivo. Il responsabile di questo centro sostiene di poter ′′fare del male a chi vuole, come vuole per il proprio piacere personale”. Sì, sostiene di essere al di sopra delle leggi e non rispetta né le regole della sua associazione né le regole minime di umanità perché sostiene che gli ′′africani non sono esseri umani, ma animali” e che non possiamo fare nulla contro di lui.
Con altri rifugiati vittime di questi trattamenti disumani abbiamo deciso di avvisare la stampa e in particolare un grande giornalista francese che investiga sulle violenze subite dai rifugiati in alcuni centri di accoglienza italiani, in particolare a Cori, a sud di Roma, già ben noto per essere un luogo in cui la legge non esiste. Questo centro di accoglienza è diventato famoso durante l’indagine della Mafia Capitale, sospettato di azioni che la legge nega.
Affinché i miei fratelli africani non debbano più subire la violenza, i trattamenti degradanti e la disumanità di alcuni centri di accoglienza, ho deciso di testimoniare pubblicamente affinché la giustizia ci aiuti e faccia il suo dovere per proteggere il nostro diritto di essere trattati come esseri umani e non come animali.
La violenza di cui sono stato vittima è dovuta al mio rifiuto di trasferirmi in un altro centro ancora più isolato. La polizia mi ha sequestrato il telefono perché ho registrato il loro comportamento durante l’evacuazione dei rifugiati e 256 euro di contanti. Ora afferma di non aver preso il mio telefono o i miei soldi ed è la loro parola contro la mia. Il barattolo contro il barattolo di ferro. Il mio telefono contiene molte informazioni e prove audio e video di come si comportano alcune forze di polizia complici dei responsabili dei centri di accoglienza.
Dopo 2 giorni di custodia, sono stato deferito in tribunale accusato di aver aggredito le forze di polizia, ma il giudice non è stato convinto dalle accuse contro di me e mi ha rilasciato immediatamente.
L’impunità di alcune forze di polizia e di alcuni responsabili dei centri di accoglienza dei rifugiati deve finire e farò tutto il possibile affinché giustizia sia fatta a me e a tutti gli altri vittime di false accuse, violenza di polizia, Racket, abusi e razzismo.…”
Il giornalista francese è Eric Montana, membro e tra i fondatori di Journalistes sans frontières, che il 16 agosto, nell’articolo pubblicato dalla testata marocchina “Lavigie marocaine” dal titolo “Les réfugiés africains dans le Centre de accueil de Cori (Italie)” (leggi qui), riporta alcuni dettagli in più su quei difficili giorni. Montana racconta che, durante la fase organizzativa preliminare al trasferimento dei migranti ospiti del Santuario di Cori verso altre destinazioni, a Mohamed Touré è stato riservato a un trattamento speciale. Mohamed chiedeva di non essere trasferito e registrava con il suo telefono gli eventi al fine di esibire in seguito ad eventuali autorità le modalità attraverso cui venivano sballottati da un centro ad un altro i rifugiati.
Sempre secondo Montana, una volta partiti tutti i vecchi ospiti dal Cas di Cori, il responsabile di quest’ultimo, di nome Luca (il cognome non è stato ancora accertato), ha chiamato al telefono dei carabinieri in borghese provenienti dalla locale Stazione. A quel punto Mohamed solo e in assenza di testimoni sarebbe stato arrestato, ammanettato e massacrato di colpi in auto presso la locale stazione dell’Arma. Le percosse sarebbero state tali che gli stessi militari avrebbero chiamato il 118 per curare il giovane ivoriano.
La chiamata dell’ambulanza sarebbe però avvenuta solo dopo che i militari si fossero premuniti che l’ivoriano si fosse cambiato gli abiti plein de sang e dopo aver lavato la marée de sang dans laquelle Mohamed baignait à terre. Gli stessi operatori del 118, giunti in caserma, avrebbero avuto difficoltà a comprendere quanto accaduto.
Sempre secondo il giornalista d’oltralpe, i Carabinieri avendo realizzato che il rifugiato ivoriano aveva registrato gli eventi, avrebbero sequestrato il suo telefono, cercato di cancellare le registrazioni, rubato i soldi contanti che possedeva e lo hanno trattenuto in custodia per ′′violenza contro un rappresentante delle forze pubbliche′′.
Due giorni in cella ad Anzio prima di essere condotto in Tribunale. Ma il giudice, secondo Montana, probabilmente a conoscenza della reputazione sulfureuse del Cas di Via dei Padri Trinitari, non è stato convinto delle false accuse contro Mohamed T. e ha ordinato la sua liberazione e la restituzione degli affari personali, del telefono e dei soldi. Ad oggi i Carabinieri negano di aver sottratto il telefono e il denaro contante di Touré e il centro di accoglienza sostiene di non possedere i suoi bagagli, carta e oggetti personali.
In aggiunta a quanto riportato, l’articolo descrive la figura di Luca: il responsabile del Cas gestito dalla Cooperativa romana “Tre Fontane” sosterrebbe di essere intoccabile perché protetto da amicizie politiche. Per Montana si comporterebbe come uno schiavista senza fede né rispetto per la Legge .
In sintesi una storia che di chiaro ha ben poco e in cui solo a seguito di una denuncia sporta dallo stesso ivoriano, sarebbe possibile sperare in una accurata e oggettiva ricostruzione dei fatti da parte della Magistratura. Quel che invece appare auspicabile è che sia il primo cittadino Mauro De Lillis, indipendentemente da qualsiasi procedimento giudiziario, a far comprendere alla Prefettura come quel Centro di Accoglienza non stia facendo altro che minare l’immagine di Cori .
Una sorta di enclave interna al territorio comunale, quella struttura sul Monte Ginestra, che da un paio di anni non sta facendo altro che creare “grattacapi” ad una città che preferirebbe piuttosto far conoscere in Francia, come nel resto del Mondo, la propria storia millenaria e i propri prodotti enogastronomici DOC e DOP.
Cosa c’entra infine quel centro di smistamento di richiedenti d’asilo e migranti con il luogo dove, nel maggio del 1521, la Madonna recò soccorso ad una bambina di tre anni di nome Oliva perdutasi durante una tempesta? Siamo sicuri che quella zona impervia, distante dal centro abitato, in cui fu nel XVI secolo ritrovato l’affresco trecentesco della Vergine che sorregge il braccio del Bambino nell’atto di benedire, sia idonea per la localizzazione di un Cas?