L’avvocato dell’imprenditore di Formia, Vincenzo Zangrillo, destinatario di una confisca da 22 milioni di euro annuncia querela contro il Meetup Formia 5 Stelle e il Deputato del Gruppo Misto, nonché Presidente della Commissione Finanze alla Camera, Raffaele Trano
“I giudici delle misure di Prevenzione hanno adottato la misura patrimoniale della confisca, come anche quella personale della sorveglianza speciale di pubblica Sicurezza, considerando che i beni di Vincenzo Zangrillo siano di provenienza illecita per delitti contro il patrimonio giammai per appartenenza ad associazione di stampo mafioso. Comunque il decreto di Corte di appello non è ancora definitivo, perché è stato impugnato e si è in attesa di fissazione di udienza in Cassazione“. Così in una nota l’avvocato Raffaella Flore.
Secondo la penalista, la Corte di Appello ha anche riconosciuto che “il Nicola Schiavone con cui Zangrillo era imputato per delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (entrambe comunque prosciolti dalle accuse) è omonimo del noto camorrista del clan Bidognetti“.
La vicenda cui fa riferimento il legale è quella che ha visto protagonista, suo malgrado, il formiano Vincenzo Zangrillo per il quale la Corte di Appello ha disposto la confisca dei beni per un valore di 22 milioni di euro: 200 mezzi (autoarticolati, autovetture, motocicli, furgoni), 150 immobili (abitazioni, uffici, opifici e magazzini), 21 ettari di terreni ubicati nelle province di Latina e Frosinone, 6 società, 21 conti correnti e rapporti bancari di varia natura.
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In una nota datata 29 maggio 2020, la Direzione Investigativa Antimafia spiegava che “la Quarta Sezione della Corte di Appello di Roma, dopo essersi avvalsa per la decisione anche di un consulente tecnico esterno (procedura già adottata dal Tribunale in primo grado), ha di recente respinto il ricorso della difesa, confermando il risultato delle indagini patrimoniali svolte dalla DIA e quindi la confisca del patrimonio dello Zangrillo, al quale è stata ridotta la sorveglianza speciale da tre a due anni“.
L’avvocato Flore sottolinea, però, che “l’onorevole Raffaele Trano, parlamentare e presidente della commissione finanze, ha pubblicato sul suo sito ufficiale e sui suoi profili ufficiali social (Facebook e Twitter), una nota in cui comunicava l’esito giudiziario in questione, dichiarando però circostanze non corrispondenti al vero: che Vincenzo Zangrillo è considerato legatissimo ai casalesi, che è il gotha della mafia campana, alludendo inoltre al fatto che la confisca eseguita fosse di beni mafiosi“.
E allora, prosegue l’avvocato Flore – “questa notizia è stata riportata in molte testate giornalistiche ancora visibili on Line, che associano erroneamente Vincenzo Zangrillo alla Camorra. E per questo l’imprenditore – assistito dall’avvocato Flore – ha proposto denuncia querela per diffamazione contro il parlamentare M5s (ndr: in realtà non più nel Movimento Cinque Stelle ma nel Gruppo Misto dopo essere stato espulso) e sta procedendo ad inoltrare le opportune diffide di rettifica alle redazioni che hanno riportato il comunicato“.
Inoltre, conclude l’avvocato, è stata disposta “denuncia per diffamazione per un articolo pubblicato nel Meetup di Formia che, richiamando lo stesso Decreto di Corte di Appello, ha associato Zangrillo alla camorra, addirittura al clan Bidognetti, ed ha falsamente dichiarato che Zangrillo ha rapporti illeciti con rappresentanti politici“.
Se è vero, come dice l’avvocato di Zangrillo, che la confisca dei beni non è scaturita da procedimenti penali di derivazione mafiosa, è altrettanto evidente di ciò che scriveva la Dia: non solo, nel comunicato del 29 maggio, descriveva l’imprenditore di Formia, come “ritenuto vicino al Clan dei Casalesi“, ma delineava il quadro di Zangrillo, in una relazione semestrale (la Dia pubblica ogni sei mesi il resoconto delle attività investigative e giudiziarie che avvengono sul territorio italiano), in questo modo: “Sintomatica del grado di permeabilità del territorio in parola è la confisca, eseguita il 21 febbraio 2018 dalla DIA di Roma, del patrimonio circa 20 milioni di euro riconducibile ad un imprenditore vicino al clan dei CASALESI – gruppo BIDOGNETTI, impegnato in molteplici attività, quali la gestione di cave di marmo, il trasporto di merci su strada, lo smaltimento di rifiuti e il commercio di autoveicoli“.
Fatto sta che, secondo la legale e il suo cliente, si sarebbe concretizzato il reato di diffamazione. A stabilirlo dovranno essere, come si dice in questi casi, gli organi competenti.