Sequestrato sito a Sessa Aurunca dove Intergroup stocca Petcoke. Denuncia per il rappresentante legale della società presieduta da Nicola Di Sarno
I militari del Nucleo Mobile della Tenenza di Sessa Aurunca, nell’ambito dell’Operazione “30 Days Sea – Phase II” avviata nello scorso mese di ottobre in ambito internazionale dall’Interpol e finalizzata a contrastare le forme di inquinamento del mare causate da illeciti sversamenti nei corsi d’acqua dell’entroterra, hanno effettuato il sequestro di un’area di circa 20.000 mq dove risultavano stoccate circa 38.000 tonnellate di “PET COKE”, residuo altamente inquinante derivante dall’attività di trasformazione del petrolio, utilizzato come combustibile industriale.
L’attività di controllo eseguita ha infatti permesso di accertare l’illecito smaltimento, senza alcun filtraggio, delle acque di dilavamento dei piazzali e bagnatura dei cumuli di Pet-coke stoccati nel sito, gestito da anni da una società con sede legale a Roma: Intergroup, la società spedizioniera che opera all’interno del porto commerciale di Gaeta, fondata da Nicola Di Sarno (che in un’interrogazione in Regione Lazio, risalente al 2010, firmata da Ivano Peduzzi e Fabio Nobile, veniva descritto come figlio di un esponente deceduto del clan Nuvoletta), con interessi nell’ambito della movimentazione pale eoliche. A febbraio, il sindaco di Formia, Paola Villa – riprendendo una sua vecchia battaglia fatta di comunicati, denunce, ricorsi, sopralluoghi – aveva evidenziato la pericolosità degli scarichi di petcoke al porto di Gaeta che, poi, sarebbero finiti a Sessa Aurunca. A fine agosto, sempre la Villa scrisse una lettera indirizzata al Presidente dell’Autorità Portuale di Gaeta, Fiumicino e Civitavecchia, Francesco Maria Di Majo, alla Prefettura di Latina, al Comune di Gaeta, alla Capitaneria di Porto di Gaeta in cui denunciava, dopo una sua personale verifica, che “uno dei camion adibiti al trasporto di materiale conosciuto come petcoke ha sversato in maniera accidentale una parte del carico tra i Comuni di Formia e Gaeta causando problemi alla viabilità e naturalmente problemi legati alla tipologia e alla pericolosità del materiale trasportato”.
Nell’operazione di oggi, in particolare, sarebbe emerso che i reflui finiti nel mirino della Finanza, senza subire alcun trattamento di depurazione dalle sostanze inquinanti, venivano convogliati all’esterno dell’area di stoccaggio aziendale, direttamente in un canale del Consorzio Aurunco di Bonifica (denominato Papero bis) per poi sfociare nel vicino fiume Garigliano e, infine, in mare con grave danno per l’ecosistema marino.
Durante il controllo i Finanzieri intervenuti, verificato che le acque utilizzate per il lavaggio del carbone petrolifero venivano illecitamente smaltite, provvedevano a far eseguire ai tecnici della competente A.R.P.A.C. anche verifiche e campionamenti sia delle acque, connotate da intensa colorazione scura, sia del materiale fangoso di colore nero rinvenuti nel canale, così da stabilirne l’effettivo grado di contaminazione. Nello stesso tempo l’intera area è stata sottoposta, d’urgenza, a sequestro preventivo ed il legale rappresentante della società, che ha la gestione del sito, è stato denunciato all’Autorità Giudiziaria per violazione all’art. 137 del T.U. ambientale: illecito scarico di acque reflue contaminate.
Successivamente, il competente G.I.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel convalidare il sequestro del sito, ha disposto la rimozione del materiale stoccato a cura della società titolare del deposito, così da evitare ulteriori danni all’ambiente circostante. Le relative operazioni di svuotamento sono tutt’ora in corso.
Il sito di Sessa Aurunca, gestito dalla Interport facente capo a Intergroup, è aperto dal 1991, dapprima con un titolo concessorio di stoccaggio del tipo di prodotti alimentari e bevande, che, poi, è diventato un luogo dove accumulare riserve di petcoke dal porto commerciale di Gaeta, da anni punto di riferimento per il sud Italia.
Dalle nostri parti, come ricordava un articolo de Il Fatto Quotidiano, datato 2016 e a firma di Luisiana Gaita, il petcoke era vietato come combustibile, perché considerato scarto tossico, fino a quando, nel 2002, il governo Berlusconi cambiò le carte in tavola rendendolo legittimo, così da essere utilizzato soprattutto nei cementifici. Si parla, è bene specificarlo, di un carbone ottenuto durante la distillazione del petrolio ad alta concentrazione di zolfo e metalli pesanti, alcuni dei quali cancerogeni.
Attraverso una serie di varie autorizzazioni, diversi certificati di prevenzione incendi dei vigili del fuoco, poi, nel 2008, il decreto della Regione per le emissioni in atmosfera e nel 2011 il via libera della Provincia per lo scarico delle acque, infine si arrivò anche all’ordinanza del 15 gennaio 2004 della Corte di Giustizia Europea e del decreto legislativo 249 del 2012: il petcoke non era considerato come prodotto energetico e, quindi, non era soggetto ad autorizzazione unica.
Il 18 dicembre 2015, il Ministero Sviluppo Economico arrivò ad autorizzare, tramite decreto, la riduzione della capacità di stoccaggio del deposito, richiesta peraltro dal gruppo di Di Sarno: da 140mila a 97mila metri cubi. Un’epopea, culminata dai pareri discordanti del Comune di Sessa Aurunca che sosteneva che l’autorizzazione a stoccare petcoke “sarebbe una legittimazione ex post di immobili e modificazioni di destinazione d’uso del suolo abusivamente realizzati, costituendo un condono edilizio contrastante con principi costituzionali e con consolidati orientamenti di giurisprudenza”; mentre la Regione Campania emetteva un parere opposto: “Il deposito non interessa nessuna delle aree protette o della Rete Natura 2000 e presenta una ampia barriera vegetale realizzata per abbattere le eventuali emissioni sul lato rivolto verso il Fiume Garigliano” e inoltre “dalla riduzione di capacità del deposito non possono derivare rilevanti impatti negativi per l’ambiente”.
Non devono averla pensata così i Finanzieri che oggi hanno eseguito il sequestro del sito.