B.GO SABOTINO, TRA I RIFIUTI INTERRATI ALLA NUCLEARE ANCHE BIDONI CORROSI

Centrale nucleare di Latina

La questione dei rifiuti di origine ignota seppelliti nel perimetro della ex centrale nucleare di Borgo Sabotino a Latina è una storia opaca che non deve essere analizzata in maniera superficiale vista la complessità del quadro in cui si palesa. Al di là dello scandalo di trovare materiale di risulta “alieno” rispetto all’oggetto di attività interna alla produzione di energia atomica, il focus della vicenda è e deve rimanere la contaminazione delle acque con sostanze cancerogene e, da lì, muoversi a ritroso per capire a cosa dare preminenza e cosa deve essere considerata, invece, come un’informazione secondaria.

Sul quotidiano locale Latina Oggi, in un articolo pubblicato il 15 dicembre 2019, viene ripresa la cronaca della vicenda dei rifiuti interrati all’interno della centrale del fu Passo Genovese oggi gestita dalla Sogin. L’articolo del quotidiano fa, però, ancora riferimento a calcinacci, plastica, materiale isolante e amianto in relazione alla contaminazione della falda acquifera che si è sviluppata nei millenni sotto al sito scelto negli anni ’50 per la realizzazione del reattore Magnox. Tuttavia, la contaminazione delle acque è dovuta ad una sostanza cancerogena che, a seguito di analisi, è risultata corrispondere al cloruro di vinile.

In un articolo di Latina Tu nel novembre scorso, si era fatto riferimento a quanto dichiarato dall’ARPAT toscana su una vicenda simile di contaminazione delle acque di falda con cloruro di vinile. In una significativa nota pubblicata nel maggio scorso, l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Regione Toscana ha dichiarato che il cloruro di vinile, per quanto dai campionamenti risulti essere il contaminante principale, “si può ipotizzare che l’attuale contaminazione derivi dalla degradazione di inquinanti primari costituiti da organoalogenati, quali percloroetilene (PCE) e/o tricloroetilene (TCE), sostanze comunemente utilizzate nell’industria tessile e metalmeccanica, al contrario del cloruro di vinile monomero e dicloroetilene che hanno invece impieghi industriali molto circoscritti e poco frequenti”. Vale a dire che invece di cercare una relazione tra calcinacci, isolanti plastici e (ahinoi) amianto, bisognerebbe considerare che l’origine dell’avvelenamento della falda (a dell’acqua dei pozzi prelevata nelle immediate adiacenze alla zona in questione) non dipenda solo da materiale di scarto trovato nelle trincee escavate di recente ma da altre sorgenti inquinanti a cui, purtroppo, si dà poco risalto.

In un articolo a firma dell’attuale Assessore all’ambiente del Comune di Latina Roberto Lessio e dal suo collega giornalista autore di importanti inchieste locali, Marco Omizzolo, pubblicato su Il Manifesto nell’agosto 2014, oltre al materiale di risulta citato dal quotitiano Latina Oggi, gli autori parlavano anche di “rifiuti ferrosi, in particolare bidoni corrosi dalla ruggine“, oltre ai numerosi “sacchi neri per l’immondizia pieni di materiale ignoto, tubi di ferro e altro“. Ora nessuno ricorda la presenza di questi fusti presumibilmente tossici, di fatto spariti dalle cronache e anche dal materiale prelevato in questi giorni dalla stessa Sogin, scarti antropici che saranno successivamente analizzati.

Ecco, cosa contenevano quei bidoni sbriciolati? L’ARPAT toscana, relativamente all’inquinamento da cloruro di vinile in quel di Pistoia, citava sostanze inquinanti primarie derivanti dall’industria tessile e metalmeccanica le quali, degrandosi, si sono trasformate nel tempo proprio in cloruro di vinile. Quindi, orientare l’opinione pubblica al pensare che la contaminazione dei terreni e delle acque dipenda solo da tubi di plastica, calcinacci e dal comunque pericolosissimo amianto, significa commettere un errore dovuto alla sottovalutazione di un problema sul quale, in questo modo, non sarà mai fatta pienamente luce.

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