Entrando nel gruppo Facebook “Amici di Goodyear” sembra di scorrere l’album di una grande famiglia allargata. Foto di operai al lavoro, delle tre squadre di calcio composte da dipendenti e tute blu, automobili di Formula 1 montate rigorosamente con pneumatici della multinazionale americana, persino immagini del circolo bocciofilo. Primi piani di giovani lavoratori sorridenti, che non ci sono più, e il dolore e i bei ricordi nei commenti di familiari e colleghi. I proletari di allora nei cui visi potremmo ritrovare i nostri padri o i nostri nonni: tutti discendenti dalla grande “mamma Goodyear”.
Lo stabilimento viene inaugurato nel maggio del ’65 a Via Nettuno 288 a Cisterna con i finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno. Il sindaco Felice Paliani (DC) ha donato il terreno agli americani e assicurato un trattamento di esenzione dalle imposte comunali per un certo periodo di anni, in cambio una quota determinata di assunti dovrà provenire dalla “Città dei butteri”. Tra il novembre e il dicembre il grosso delle assunzioni è stato fatto e gli operai già contrattualizzati. Non ci sono solo cisternesi, ma tutto il nord-pontino (coresi, normiciani, latinensi, bassianesi, sezzesi) e molti ragazzi provengono dalle limitrofe Anzio, Nettuno e Velletri. Addirittura un pulmino aziendale trasporta la manodopera da Norma e Cori fino alla fabbrica.
Si lavora sodo alla Goodyear e in molti escono ogni pomeriggio dal sito cosparsi di nero fumo, ma si percepisce ogni 27 del mese un salario che qualsiasi altro operaio si sognerebbe nelle terre pontine. È una scommessa tutta da giocare quella tra gli anni ’60-’70 e che permette a quei giovani di costruirsi una casa, far studiare i propri figli e raggiungere quel benessere che in Provincia negli anni precedenti era sconosciuto. Quella scommessa in gran parte vinta non tarderà però a presentare il conto qualche decennio dopo in termini di salute e di speranza di vita.
Un’epopea durata 35 anni che si esaurisce con la fine della Cassa del Mezzogiorno e con i processi di delocalizzazione degli anni ’90 verso l’Europa orientale (Polonia, Slovenia, Turchia). Quando gli americani si accorgono che l’eventuale messa in sicurezza in termini ambientali dell’infrastruttura è troppo onerosa e che i loro capitali possono essere più remunerativi altrove, prendono le valigie e si congedano da Cisterna. Agli inizi del 2000, con i picchetti di lavoratori e le sigle sindacali ancora davanti ai cancelli, il ciclo di produzione è già fermo.
Durante la trasmissione di Rai Tre “Circus” condotta da Michele Santoro e ambientata in prossimità di Via Nettuno 288, il Ministro del Lavoro Enrico Letta annuncia il proprio impegno affinché la chiusura dello stabilimento venga scongiurata. Una delegazione guidata dal sindaco Mauro Carturan e composta da amministratori e tute blu va a far visita negli Stati Uniti ai vertici aziendali Goodyear ad Akron, Ohio. Chi l’avrebbe detto che quella cittadina industriale a sud dei Grandi Laghi sarebbe stata associata di lì a qualche anno a due playmaker dell’NBA del calibro di Lebron James e Steph Curry? Nonostante le rassicurazioni del management americano il sito di Via Nettuno chiude definitivamente e il resto rimane storia narrata nella pellicola di Riccardo Milani “Il Posto dell’Anima”.
Durante il primo stadio della manifattura si costituisce il cilindro del pneumatico con una miscela di elastomeri sintetici (copolimero di stirene butadiene) e solo in minima percentuale naturale (la gomma estratta dall’Havea brasiliensis). Con il secondo stadio si dà forma alla gomma. Stadio finale è quello della vulcanizzazione, processo di cui l’imprenditore Charles Goodyear fu l’inventore nel XIX secolo, e la gomma, sottoposta ad alte temperature, si lega irreversibilmente allo zolfo, ad acceleranti ed ultraacceleranti (ammine), rinforzanti (carbonato di calcio e talco), inibitori (acido salicilico e benzoico), antiossidanti (fenoli, ammine insieme al nero fumo) e antinvecchianti (steroli, lecitine, esteri fosforici e alcoli). Raffreddandosi il pneumatico diviene resistente ed elastico al tempo stesso.
Più in particolare durante il primo stadio la miscela iniziale si amalgama a temperature che oscillano tra i 50 e 130° all’interno del grande mixer del Bandbury. Al copolimero dello stirene butadiene e alla gomma naturale si aggiungono “nero fumo”, solfuri e solventi. La miscela passa poi attraverso dei rulli che formano un foglio sottile. Si sovrappongono i fogli sottili e a seguito del processo di vulcanizzazione si ricava il battistrada che riceve il disegno inciso superficialmente.
Delle dure condizioni lavorative che si vivono al Bandbury ne sa qualcosa Antonio Trappella, impiegato in quel reparto dal 1973 al 2000 e scomparso nel novembre 2011 per un carcinoma squamoso polmonare, per la cui morte a carico dei vertici aziendali è stata nel luglio scorso respinta l’archiviazione su disposizione del p.m. Giorgio Castriota. Ne sa qualcosa anche Fausto Mastrantonio, intervistato nel docu-film di Laura Pesino ed Elena Ganelli “Happy Goodyear” (presentato nel 2014), e scomparso il 1° gennaio 2013 a 53 anni per un cancro allo stomaco. Ma questi sono solo due dei 200/250 operai la cui causa di morte i familiari hanno sempre sospettato aver un nesso con il ciclo di produzione.
La paga arriva puntuale, di attività ricreative dopolavoristiche l’azienda ne organizza molte… ci si può forse lamentare di lavorare sotto 60mila metri quadri di amianto? Se poi lo stesso stabilimento da 6 unità produttive, per cui era nato, arriva a contare, al termine del proprio ciclo di vita, 60 presse, questo è il prezzo da scontare in nome della produzione e della competizione internazionale. Un fiore all’occhiello in termini di produttività la fabbrica di Cisterna: 18mila pneumatici l’anno e 2900 dipendenti che si alternano dal ’64 al 2000.
Quei risultati vengono raggiunti in unico ambiente lavorativo, senza maschera, senza guanti e senza scarpe anti-infortunistica. Che qualcosa non vada è l’operaio del magazzino e approvvigionamento materie prime Agostino Campagna che già nel ’92 nota che la frequenza di decessi per patologie neoplastiche tra i suoi colleghi è troppo alta. Inizia ad annotare tutte le morti e le relative cause e ad apporre in fabbrica cartelloni in cui pone il quesito se la fabbrica sia sicura. Tra il ’98 e il ’99 i suoi quaderni sono già ricchi di quelle informazioni che indurranno dal 2001 gli avvocati Di Mambro, Battisti e Michela Luison ad intraprendere una vicenda legale che dura tuttora (continua…) .