In fondo, nella Repubblica fondata sulla smemoratezza e l’amnesia, Gina Cetrone, l’ex consigliere regionale del fu Pdl, può rivendicare un minimo di coerenza, quantomeno lessicale. Dalla lista civica “Sì Cambia” con cui si candidò sindaco a Terracina nel 2016 al soggetto politico “Cambiamo! con Toti” del 2019 il passo è breve, brevissimo. E chissà se qualcuno le avrà ricordato, nella presentazione odierna presso l’Hotel Europa a Latina di “Cambiamo! con Toti” – non nel senso di Enrico il patriota, ma che sta per Giovanni, Governatore della Liguria ed ex mezzo busto di Studio Aperto durante il berlusconismo rampante -, che, sì, va bene tutto, niente si butta nella politica italiana, però qualcosa dovrà pure spiegarlo prima o poi, al di là delle meccaniche e ritrite promesse di querela che anche lei ha minacciato verso coloro che avevano osato ricordare alcuni episodi citati nella nota inchiesta “Alba Pontina”: nel suo caso i giornalisti Egidio Fia e Clemente Pistilli dalla trasmissione Monitor di maggio 2019. “Faziose e fantasiose ricostruzioni giornalistiche – le bollò così Gina la sonninese che tuonò – Ci riprovano con la questione dei presunti pentiti i quali avrebbero dichiarato che la sottoscritta, oltre a richiedere una fantomatica scorta o protezione ai Di Silvio (una scorta di zingari, incredibile!), intimava anche agli stessi di “fare estorsione” per 70.000 euro, o 25.000 o forse per 10.000 euro“. Incredibile davvero.
Qualche mese prima, ad ottobre 2018, Latina Tu diede conto praticamente delle stesse cose di ciò che fu detto su Lazio TV, non subendo gli strali della combattente Gina: ma, si sa, uno schermo televisivo è più temuto di qualsiasi scritto.
Epperò quelle collaborazioni elettorali su cui pende la targa dagli “affiliati dei Di Silvio” esistono eccome, almeno a leggere le intercettazioni riportate nelle carte dell’inchiesta che hanno certificato, nel processo di primo grado, e per una parte degli imputati, l’aggravante del metodo mafioso. E non solo: ci sono ben due pentiti più uno che ha poi ritrattato (Agostino Riccardo, Renato Pugliese e Roberto Toselli), che lei chiama presunti come mai si dovrebbe fare con i collaboratori di giustizia proprio per non sminuirne il ruolo e compromettere la funzione di chi dà loro credibilità (in questo caso la DDA di Roma e la Polizia pontina), che confermano la stessa versione, incastonata in interi periodi dedicati a lei nell’inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia, al secolo “Alba Pontina”.
Da ribadire, a scanso di equivoci, che Gina Cetrone non è stata indagata e non risulta come tale, ma proprio perché lei stessa, oggi, all’Hotel Europa, ha parlato di legalità, di scandali della politica scellerata che allontanano la gente, beh, allora, si esige un minimo di coerenza. E di chiarezza, in ragione del fatto che, sempre oggi, all’Hotel Europa, vicino a lei che parlava di fare riavvicinare i giovani che si allontanano a causa delle indecenze della politica, c’era l’ex vice presidente di Regione Lazio e attuale consigliere alla Pisana (nonché ex sindaco di Marino), Adriano Palozzi, rinviato a giudizio insieme a Luca Parnasi e altri politici per il caso Stadio di Roma a Tor di Valle. E a precederlo, c’era Mario Abbruzzese, navigato politico ciociaro che, quanto a scandali, non si è fatto mancare niente da “Batman Fiorito”, da cui uscì intonso, fino all’indagine a suo carico in qualità di Presidente del Consorzio di sviluppo del Lazio meridionale (incarico da cui si è dimesso lo scorso settembre) e una condanna per danno erariale da parte della Corte dei Conti nel 2017, incluso, va detto, un proscioglimento.
CETRONE E QUELLE PAROLE COME PIETRE Quando nel 2016, la Squadra Mobile di Latina intercetta i Di Silvio, si imbatte anche in alcuni personaggi che di lì a breve avrebbero partecipato alle elezioni comunali che si tenevano sia a Latina che Terracina.
Gina Cetrone, candidata a sindaco di Terracina con Sì Cambia, viene sorpresa mentre parla amabilmente con Agostino Riccardo il quale, dapprima contatta l’ex marito, e poi si rivolge direttamente a lei, la neo-totiana. Riccardo la contatta per una ragione molto semplice, ossia vuole farsi pagare quanto dovuto per le affissioni elettorali: “Io non sapevo di averti disturbato, lo sai te voglio bene come ‘na madre, ma devo paga’ gli operai“, riferendosi a chi lo aveva aiutato ad affiggere i manifesti per la sua lista Sì cambia. Lei, di rimando: “Oh, ‘na madre, ma tu c’hai quasi l’età mia bello“. Un rapporto non proprio distaccato ma di confidenza con un incallito estortore affiliato prima al gruppo dei Fratelli Travali e di Cha Cha e poi a quello di Armando Lallà Di Silvio, e dal quale, però, Gina esige che i lavori siano fatti come si deve: “Alla Fiora (ndr: La Fiora, frazione di Terracina) non c’è un mio manifesto. Ci sono 100 elettori e non un mio manifesto“.
Nella lista Sì Cambia, per inciso, c’è anche un certo Gianni Tramentozzi che, a meno di un caso di omonimia di cui ci scusiamo fin da ora, ha lo stesso nome della guardia carceraria arrestata a settembre scorso, nell’ambito dell’inchiesta Astice, perché portava, alla bisogna, ciò che serviva ai detenuti (del calibro dei Travali, Di Girolamo, Amato, Del Vecchio ecc.) e in cambio si sarebbe fatto pagare con la droga.
I PENTITI CHE NON SONO PRESUNTI Tornando a Cetrone, quello che potrebbe risultare un normale rapporto di lavoro o un’amicizia, seppur scomoda, lecita, viene però spiegato in profondità sia da Agostino Riccardo che dall’altro collaboratore di giustizia di Alba Pontina, Renato Pugliese, e persino, come detto, dal primo collaboratore di giustizia, poi ritrattante, Roberto Toselli.
Pugliese, un collaboratore ritenuto credibile dall’Antimafia e dalla Polizia di Latina, racconta le dinamiche di quelle affissioni che non sono mere apposizioni dei manifesti ma qualcosa di più, un vero e proprio controllo del territorio. “Il compito di svolgere propaganda elettorale commissionato a Riccardo e ai suoi “operai – scrivono gli inquirenti nelle carte che hanno poi portato al processo Alba Pontina – non si risolveva nella mera attività materiale di affissione, ma nell’imporre nella aree prescelte la prevalenza delle affissioni del candidato sponsorizzato, assicurandosi che nessuno prevaricasse gli spazi a ciò riservati e facendo valere, ove necessario, la propria caratura al fine di redarguire chi non si conformasse a tale modalità di gestione delle affissioni“. Ecco perché anche Terracina, come Latina, era divisa in zone di influenza da rispettare quasi militarmente.
“Ricordo – dichiara Pugliese agli investigatori – che la Cetrone ci chiese di affiggere i manifesti anche oltre l’orario consentito, in prossimità del voto, in modo da poter far apparire fino alla fine il suo volto agli elettori. Mi disse infatti che tanto le multe, eventualmente, venivano pagate a stralcio solo in parte quindi non erano molto elevate“.
Vieppiù delicate le dichiarazioni di Agostino Riccardo che arriva a dire su Gina Cetrone cose piuttosto pesanti, se non penalmente, almeno per quanto riguarda la credibilità politica: “Con riguardo a Gina Cetrone, io, Francesco Viola e Giancarlo Alessandrini (ndr: questi due ultimi coinvolti nel processo Don’t Touch: Viola condannato definitivamente; Alessandrini noto leader della tifoseria del Latina Calcio ai tempi di Maiettopoli) già l’avevamo conosciuta avendo fatto la campagna elettorale per lei nell’anno 2013-14“.
“Per la campagna elettorale di Terracina – prosegue Riccardo nei suoi verbali omissati rilasciati agli investigatori – c’era Vera Travali, sorella di Angelo, che tartassava Gina Cetrone dicendole che il marito, Francesco Viola, anche se detenuto (ndr: era già in galera per l’indagine denominata Don’t Touch), avrebbe curato la sua campagna elettorale tramite Giancarlo Alessandrini e Manolo Morelli. Cetrone aveva perso la fiducia nei confronti di Viola perché in occasione delle elezioni regionali del 2013, quest’ultimo le promise 500 voti dei tifosi della curva del Latina Calcio“. Voti che però furono indirizzati ad altro candidato.
Sempre per la campagna elettorale delle Comunali 2016, Agostino Riccardo così argomenta: “Venni avvicinato da Sabatino Morelli detto Manolo che mi disse di lasciar perdere la campagna di Cetrone, perché doveva farla Viola e che i cognati Angelo e Salvatore Travali, più Angelo Morelli detto Calo erano detenuti“.
Dal momento che il gruppo sinti Travali/Morelli era in posizione di minoranza essendo stato ridimensionato dagli arresti di Don’t Touch, la fazione di Armando Lallà Di Silvio prende il sopravvento imponendosi nel mercato della politica. “Si stabilì – prosegue Riccardo – che la politica sarebbe stata nostra, i profitti sarebbero stati divisi con i figli ed una quota finale sarebbe spettata ad Armando. Iniziammo con Cetrone a Terracina, che incontrai con Armando, Gianluca e Samuele Di Silvio, alternativamente contrattai la spesa da investire nella campagna elettorale e l’impegno a far visualizzare i manifesti. Questo servizio consisteva nel fatto che nessuno, sapendo che siamo i Di Silvio, poteva attaccare i manifesti sul nostro candidato. L’accordo fu di 10mila euro solo per l’affissione dei manifesti, altri 10mila euro erano per pagare le auto dei ragazzi che lavoravano (40 il conducente, 20 di benzina al giorno), la colla per i manifesti (8 euro al pacco) ed i soldi per mangiare giornalmente. Per la “visualizzazione” andammo io e Armando Di Silvio di persona e la Cetrone come regalo mi diede 5mila euro. Avendo avuto già a che fare con Cetrone che sapeva chi eravamo anche in relazione alle precedenti campagne elettorali, sapendo in particolare che eravamo una organizzazione con una fama criminale, portai Armando Di Silvio (ndr: il boss reggente dei Di Silvio di Campo Boario) e glielo presentai dicendole che era il padre di Ferdinando Pupetto, Gianluca e Samuele. La Cetrone disse che nella campagna elettorale voleva essere vista solo lei, non le interessavano le sanzioni per le eventuali affissioni relative ai “fuori bandoni”, ovvero i muri, i ponti o le saracinesche dei negozi abbandonati, anche perché se le fossero arrivate le sanzioni le avrebbe pagate meno della metà. L’intero pacchetto venne chiuso a 25mila euro“.
A quanto riporta sempre Riccardo, la Cetrone non si limita a rapporti comunque sconvenienti in campagna elettorale ma non ha nessun imbarazzo ad andare a cena con lui, Samuele Di Silvio e un misterioso personaggio che rimane omissato nei verbali resi agli inquirenti (quasi sicuramente un uomo politico di alta caratura): “Mangiammo tutti insieme in questa occasione ad un ristorante in cui io e Samuele eravamo al tavolo con Gina Cetrone” e il personaggio omissato.
“Cetrone ci mandò a prenderlo perché noi dovevamo far vedere che lo accompagnavamo in questa occasione elettorale…si sentiva più protetta a mandare noi, dovevamo fare una sorta di scorta perché c’erano molte persone alla manifestazione elettorale, e quindi c’erano persone che potevano insultarlo, appartenenti ai partiti contrari…Gina Cetrone voleva una sorta di scorta perché arrivava un pezzo grande della politica”
NON SOLO LE AFFISSIONI “Gina Cetrone – continua Agostino Riccardo – sapeva chi eravamo noi. In un’altra occasione disse che dovevamo risolvere un problema che aveva su Latina in quanto un pregiudicato di Casale, Napoli, tale Salvatore Muraro aveva spezzato i polsi al nipote e voleva che intervenissimo noi, cosa che poi è avvenuta. Lei ci ha delegato anche una spedizione punitiva nei confronti di Muraro, ma non a livello di azione, ma per fargli capire che lei stava con noi, con il clan Di Silvio e che nessuno si doveva permettere di mettersi contro di lei. Aggiungo che Gina Cetrone ci mandò a fare anche un’estorsione di 70mila euro…eravamo “amici stretti”.
Cambiamo sì, ma con chi?