PROCESSO KARIBU, IL MILITARE TESTIMONIA: “DOVEVANO GESTIRE I MIGRANTI, MA MANDAVANO I SOLDI ALL’ESTERO”

Marie Therese
Marie Thérèse Mukamitsindo, Presidente e fondatrice della cooperativa sociale Karibù (fonte YouTube.com).

Caso Karibu-Aid: prosegue l’istruttoria del processo a carico della famiglia legata al deputato ex alleanza Verdi-Sinistra Aboubakar Soumahoro

È ripreso, dinanzi al terzo collegio del Tribunale di Latina composto dai giudici La Rosa-Zani-Romano, il dibattimento del processo che vede sul banco degli imputati la fondatrice della cooperativa Karibu, per anni gestore di centri accoglienza e Sprar (oggi Siproimi) nel territorio pontino e oltre, i suoi figli e una ex collaboratrice. A processo, infatti, ci sono Marie Therese Mukamitsindo, i figli, Liliane Murekatete, moglie del deputato Aboubakar Soumahoro, Aline Mutesi Michel Rukundo, più Ghislaine Ada Ndongo. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Lorenzo Borrè, Francesco Roccato, Stefano Ciapanna, Alessandro Paletta, Francesca Giuffrida, Flaviana Coladarci e Valentina De Gregorio.

La “family” di origine ruandese, come noto, deve rispondere di una serie di reati frutto della riunione di due procedimenti, poi diventati processi per via del rinvio a giudizio scaturito da due distinte udienze preliminari. A maggio 2024, davanti al giudice monocratico del Tribunale di Latina, Simona Sergio, il processo che contesta l’elusione/evasione fiscale agli imputati della cosiddetta galassia Karibu è stato riunito, per richiesta del pubblico ministero Andrea D’Angeli, all’altro processo con al centro i reati di riciclaggio, frode fiscale e bancarotta fraudolenta. Secondo l’accusa, i soldi pubblici, invece di essere impiegati nell’accoglienza dei migranti, venivano in parte incanalati verso spese sontuose per ristoranti, gioielli, sfizi e persino bonifici esteri che alimentavano altre attività oppure servivano a comperare immobili.

Parti civili i lavoratori ed ex dipendenti della coop Karibu e del consorzio Aid, il sindacato Uiltucs di Latina del segretario Gianfranco Cartisano, le cui denunce hanno fornito spinta decisiva alle inchieste sulla galassia della famiglia Mukamitsindo/Soumahoro, e alcuni dei Comuni indicati dalla Procura come parti offese: Latina, Roccasecca dei Volsci, Aprilia, Pontinia, Fondi, Monte San Biagio, Terracina e Sezze. Parti civili anche i commissari liquidatori di coop Karibu, Francesco Cappello, e consorzio Aid, Jacopo Marzetti, nominati dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy negli scorsi mesi, il Ministero dell’Interno, Codacons e il Consorzio Agenzia Inclusione dei Diritti.

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A testimoniare, dopo la lunga escussione durata due udienze da parte del luogotenente del Nucleo Pef della Guardia di Finanza di Latina, Maurizio Mazza, è un altro ufficiale della Guardia di Finanza: Felice Maffei, luogotenente del Nucleo Pef di Latina. A interrogarlo il pubblico ministero Giuseppe Miliano, che con il collega Andrea D’Angeli ha firmato l’inchiesta coordinando le attività investigative della Guardia di Finanza e della sezione di Polizia giudiziaria della Polizia di Stato della Procura di Latina. Così come il collega, il finanziere ha ripercorso alcune passi dell’indagine a cui ha collaborato approfondendo gli intrecci ella cooperativa Karibu, del consorzio Aid e delle altre società considerate satelliti a servizio della family: su tutti la Jambo Africa. In particolare, tale società è stata passata in rassegna, poiché il finanziere ha spiegato chi fossero negli anni i rappresentanti legali. Dati tratti dall’Agenzia delle Entrate.

Anche per quanto riguarda la Karibu, il finanziere ha svolto accertamenti sui flussi in entrata da conti correnti di diversi banche, tra cui la Intesa San Paolo dalla quale arrivavano i maggiori introiti: “È stato molto difficoltoso, perché c’era una commistione di bonifici, mentre al cooperativa aveva l’obbligo di dividere i conti per progetto”. I progetti erano per lo più inerenti a Cas e Sprar quasi tutti in provincia di Latina, ma anche al Comune di Roma e alla Regione dove erano stati assegnati altri progetti.

Secondo il finanziere, le erogazioni pubbliche erano date alla cooperativa per gestire i migranti. Fare, invece, bonifici all’estero, far partire start up, dare soldi a soggetti stranieri all’estero, furono tutti elemento che sollevarono l’attenzione della Guardia di Finanza: “Erano affari non inerenti alla loro attività”. In molte occasioni, in contabilità, venivano classificati come costi indeducibili. Ricevevano fondi dallo Stato e dai Comuni e poi venivano fatti acquisti diversi dalla finalità per cui erano erogati i soldi.

Fu la Polizia di Stato a richiedere la documentazione al Ministero dell’Interno per capire l assegnazioni sui Cas alla Karibu. Ad ogni modo, oggi riferisce in aula il luogotenente della Finanza, non è stato possibile vedere alcun verbale del ministero. C’erano verbali fino al 2015, ma successivamente non hanno potuto consultarli perché mai reperiti.

Secondo il finanziere, le erogazioni pubbliche erano date alla cooperativa per gestire i migranti. Fare, invece, bonifici all’estero, far partite start up, dare soldi a soggetti a stranieri all’estero, è stato il nucleo dell’indagine: “Erano affari non inerenti alla loro attività”.

I finanzieri si recarono in un centro estetico dove una delle estetiste riconobbe nella foto Aline Murekatete e disse di averla trattata come cliente. Anche in un negozio di abbigliamento, un dipendente riconobbe Marie Therese Mukamitsindo.

L’indagine, come aveva spiegato nelle passate udienze il luogotenente Mazza, nasce come tributario fiscale nel 2019 e ha passato in rassegna i conti bancari da cui sono emerse false fatturazioni per operazioni inesistenti, secondo il testimone interrogato dal Pm. Gli accertamenti principali hanno riguardato gli anni che vanno dal 2017 al 2019. Accanto all’indagine “economica”, c’era anche un fascicolo più corposo e parallelo in cui sono state accertate le distrazioni patrimoniali le quali hanno portato alla contestazione di bancarotta, auto-riciclaggio e frode nelle pubbliche forniture tanto che la coop Karibu era insolvente e nel 2023 è stata commissariata.

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Dopo il veloce esame del pubblico ministero, è iniziato il contro-esame degli avvocati difensori Alessandro Paletta, Francesca Roccato e Lorenzo Borré che hanno interrogato il luogotenente della Finanza. Emerge che a Fondi, la Karibu avrebbe dovuto gestire un solo migrante. Gli accertamenti furono fatti a Sezze, Roccagorga, Monte San Biagio e Priverno. A Roccagorga, ad esempio, ascoltato un funzionario, venne fuori che c’era stato qualche controllo e che vi erano alcune criticità: “Io – ha spiegato il finanziere – chiesi se era stato fatto un verbale e lui mi rispose che tutto era stato concluso a voce”.

In più passaggi dell’escussione, il finanziere è netto nel chiarire il punto di vista degli investigatori: “Se sono il presidente del consiglio di amministrazione di una società e vado in un negozio pago con i miei soldi, non con quelli della società”. Da questo assunto sono partiti tutti gli accertamenti e le contestazioni successivi. Verificare, però, spesa su spesa nei vari negozi frequentati dalla “family” diventa difficile perché gli investigatori avrebbero dovuto appurare se le dipendenti dei vari esercizi commerciali lavorassero ancora lì e avessero seguito nelle compere uno dei personaggi imputati. In un caso, però, emerge che una dipendente del negozio “Scarpamania, ubicato nel centro di Latina, aveva riferito ai finanzieri che Mukamitsindo era una cliente abituale.

Il processo, finita l’escussione del finanziere, è stato rinviato al prossimo 20 febbraio quando saranno ascoltati quattro testimoni, tra cui il commissario liquidatore di Karibu, Francesco Cappello.

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