È MORTO CARMINE CIARELLI, HA SOLCATO UN QUARANTENNIO DI CRIMINE A LATINA

È morto all’età di 59 anni il boss Carmine Ciarelli, a capo dell’omonimo clan criminale che ha imperversato per anni a Latina

Era malato da tempo, Carmine Ciarelli, soprannominato in tanti modi nel corso degli anni: il “reuccio del Pantanaccio”, “Porchettone”, “Maiale”, “Titti”. Era il capo dell’omonima famiglia di origine rom che, a Latina, ha costituito un vero e proprio “brand” del crimine sopratutto nel campo dell’usura, delle estorsioni e dello spaccio di sostanze stupefacenti. Il campo d’azione del 59enne era sicuramente quello di usura e estorsioni, con cui aveva terrorizzato molte persone.

Ciarelli era ricoverato da tempo all’ospedale Santa Scolastica di Cassino dove è deceduto. Tuttora, gli rimanevano in piedi due processi da affrontare: uno per usura e l’altro istruito dalla DDA e derivante dall’inchiesta “Purosangue”. La sua posizione, infatti, era stata stralciata perché Ciarelli era ricoverato e non poteva assistere al processo: anche in quel caso doveva rispondere di estorsioni, stavolta aggravate dal metodo mafioso. Il 59enne, infatti, secondo le investigazioni della Squadra Mobile di Latina, aveva contattato alcune vittime del passato chiedendo altro denaro, anche attraverso Facebook: da qui il nome all’intera operazione, ossia “Purosangue”, il profilo social utilizzato dal capo famiglia per terrorizzare via social le vittime.

Dal suo tentato omicidio avvenuto la mattina del 25 gennaio 2010 quando Carmine Ciarelli stava facendo colazione nel bar Sicuranza, il locale ubicato nel suo quartiere, il Pantanaccio, è scaturita quella che, ad oggi, costituisce l’apice delle vicende criminali di Latina città: la cosiddetta guerra criminale.

Ne seguì l’omicidio di Massimiliano Moro, che sarebbe stato individuato come il mandante dell’attentato con sette colpi di pistola contro Ciarelli il quale, ricoverato al Santa Maria Goretti di Latina, fu miracolosamente salvato e sopravvisse.

Il capo clan se la cavò, dopo un delicato intervento chirurgico, ma fu proprio nel nosocomio pontino che si consumò il progetto di uccidere Massimiliano Moro, il quale, invece, si presentò in ospedale, abbracciò il padre di “Porchettone”, Antonio Ciarelli, e promise di vendicare l’attentato del figlio. È in quei frangenti o giù di lì che nacque la prima alleanza dei clan rom della città: i Ciarelli e i Di Silvio uniti e pronti a dare seguito a una strategia stragista che portò a uccidere anche Fabio “Bistecca” Buonamano e a compiere diverse gambizzazioni e tentati omicidi. Moro avrebbe voluto far credere di non essere stato lui ad armare la mano dell’esecutore materiale degli spari a Carmine Ciarelli, il cui autore non è stato mai accertato. Il processo all’autista di Moro, Gianfranco Fiori, ascoltato nel corso delle udienza di questo processo, è finito con una assoluzione. Lo stesso Fiori, a sua volta, fu vittima ben due volte di due tentati omicidi.

Carmine Ciarelli ha solcato un quarantennio di vicende criminali di Latina e provincia, costituendo un nome che ancora oggi è temuto negli ambienti criminali e che ogni latinense ben conosce. Il suo funerale, previsto per domani, 16 settembre, presso la parrocchia Gesù Divin Lavoratore nel cuore del quartiere Pantanaccio a Latina, dovrebbe prevedere limitazioni imposte dalla Questura di Latina così come accaduto, in passato, per altri capi famiglia delle congreghe rom della città.

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