Braccianti sfruttati, si va al processo bis per Antonello Lovato e il padre Renzo Lovato accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro
Si tratta del secondo filone di indagine derivante da quella per la tragedia di Satnam Singh, il bracciante indiano che, dopo aver perso il braccio, fu scaricato da Antonello Lovato davanti casa come un pacco, per poi morire due giorni dopo al San Camillo di Roma. Per questa vicenda, come noto, Lovato è a processo per omicidio doloso. Invece, a gennaio scorso, arrivò un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere per Antonello Lovato e il padre Renzo, poi alleviata solo per quest’ultimo dal Riesame in arresti domiciliari. L’accusa era quella di sfruttamento del lavoro emerso negli approfondimenti dei Carabinieri che, indagando sulla morte di Satnam, misero in luce, coordinati dal sostituto procuratore Marina Marra, un quadro ritenuto illecito.
Dopo l’avviso di conclusione indagine per i Lovato, il processo inizierà il prossimo autunno, a novembre, davanti al giudice monocratico del Tribunale di Latina.
Facevano lavorare in nero gli immigrati, Antonello e Renzo Lovato, rispettivamente figlio e padre, che nell’azienda del primo – una ditta individuale, gestita di fatto dal padre – impiegavano almeno sette braccianti in nero, tra cui la moglie di Satnam Singh, Soni Soni. È questa, in estrema sintesi, il perno centrale delle accuse che avevano portato al secondo arresto di Antonello Lovato (39 anni), da luglio 2024 in carcere e imputato nel processo per l’omicidio doloso di Satnam Singh (riprenderà il prossimo 7 ottobre), e del padre Renzo Lovato (64 anni), già indagato nella maxi indagine per caporalato denominata “Jamuna”.
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Padre e figlio, in base all’inchiesta del pubblico ministero Marina Marra, sono ritenuti, in concorso tra loro, presunti responsabili di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro pluriaggravata, per avere utilizzato manodopera costituita dai braccianti agricoli in condizioni di irregolarità sul territorio nazionale, ossia privi di permesso di soggiorno, tra cui il predetto Satnam Singh, a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Renzo Lovato era stato prelevato in Strada del Passo, dove vive, e portato nel carcere di Via Aspromonte.
L’attività investigativa è stata condotta dai Carabinieri del Nucleo Radiomobile di Latina, guidati dal tenente Massimo Ienco, in collaborazione con i militari del locale Nucleo Ispettorato del Lavoro Carabinieri e delle Stazioni di Borgo Podgora e Borgo Sabotino, a partire dal 17 giugno 2024, giorno del grave infortunio occorso a Satnam Singh, poi deceduto.
L’indagine è stata portata avanti anche mediante un’accurata analisi delle utenze telefoniche e dei social in uso ai lavoratori irregolari trovati sui campi al momento del predetto infortunio, nonché grazie al contributo dichiarativo offerto da quattro lavoratori irregolari, che su richiesta del Comando Compagnia Carabinieri di Latina, hanno ottenuto il permesso di soggiorno per “casi speciali”.
Le testimonianze, su cui si fonda l’inchiesta, hanno consentito di delineare il grave quadro indiziario nei confronti degli indagati.
La prima ad essere ascoltata dagli inquirenti in merito allo sfruttamento lavorativo è stata Soni Soni, la compagna di Satnam, parte civile nel processo per omicidio doloso. La donna aveva raccontato di come erano arrivati in Italia con Satnam, passando per Croazia, tra carta Visa e permessi provvisori.
Prima di arrivare a Latina, la coppia era arrivata nel nord Italia, tra Trieste e Milano, per poi arrivare a Cancello Arnone (Caserta) dietro il pagamento di 800 euro a un indiano. Nel casertano, Satnam lavorava in un’azienda agricola con allevamento bufale dalle ore 2,30 alle 12,30, per poi riattaccare alle 15 e finire alle ore 20. 800 euro al mese, mentre per Soni Soni i soldi ammontavano a 700 euro pur lavorando le stesse ore. È a luglio 2022 che i due decisero di spostarsi a Latina: “Lavoro meno fatico e retribuzione più alta”. Dopo un mese, entrambi iniziarono a lavorare per i Lovato.
Le mansioni erano quelle dei contadini: taglio dell’insalata in inverno e raccolta di meloni e cocomeri, più zucchine, in primavera, senza contare il taglio ortaggi e frutta. E la paga? La paga era di 5 euro e 50 centesimi l’ora, successivamente nel 2024 6 euro all’ora per 8/9 ore al giorno d’estate e a primavera, compresa la domenica fino a mezzogiorno. La paga in nero, appuntata in un quaderno tenuto da Lovato junior su un quaderno.
Le testimonianze di chi lavorava dai Lovato sono state tutte dello stesso tenore e confermavano il quadro delineato dagli inquirenti. Uno dei lavoratori indiani spiegava: “Da quando è successo l’incidente di Satnam non vado più a lavorare per paura che possa accadere anche a me. Il giorno dell’incidente ero presente a lavoro un azienda e ho sentito le urla di dolore di Singh mentre accadeva il fatto. Non ho assistito all’incidente ma mi è stato riferito da altri connazionali che lavoravano con me quel giorno”.
Tutti i lavoratori ascoltati dai Carabinieri avevano confermato l’assenza di misure di sicurezza, senza contare che nessuno di loro, dopo la morte di Satnam, aveva operato più presso l’azienda di Antonello e Renzo Lovato che veniva chiamato “Capo”. Nessuno di loro aveva documenti regolari per il permesso di soggiorno e le condizioni igieniche erano oltre i limiti sul luogo di lavoro. Uno dei testimoni aveva spiegato agli inquirenti: “Nei campi non vi erano servizi igienici e, in caso di bisogno, ci portavamo nei pressi di qualche albero, mentre all’ingresso dell’azienda trovavamo quelli come una cabina in plastica. L’acqua da bere la portavo io da casa, mentre sul posto vi era quella non da bere che usavamo per sciacquarci le mani“. E la salute: “Mai visto un medico di azienda”.