“QUANDO ESCO DAL CARCERE TI PICCHIO”, LE MINACCE DI ARTUSA AL POLIZIOTTO CHE L’AVEVA ARRESTO PER OMICIDIO

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Inviò lettere di minaccia nei confronti di un poliziotto della Questura di Latina: arriva la sentenza di Cassazione

Pregiudicato e noto alle cronache giudiziarie da decenni, Alessandro Artusa, 60 anni, di Latina, è stato arrestato a fine novembre per l’ennesima volta nell’ambito della maxi indagine della DDA di Roma che ha visto l’operato di Carabinieri e Polizia. In quell’indagine emerge un Artusa che, insieme a Roberto Ciarelli junior, gestiva affari di droga e recupero crediti sotto la cappella del capo sodalizio di Fondi, Massimiliano Del Vecchio. Artusa era diventato negli anni dal 2021 in poi una sorta di factotum di Del Vecchio il quale gli aveva anche dato in dono un’auto.

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Eppure, la storia che ha visto la pronuncia della Cassazione non ha nulla a che vedere con la vicenda tra Fondi e Latina. Si tratta, invece, di alcune minacce spedite a mezzo lettera nei confronti di uno storico poliziotto della Questura di Latina che partecipò all’arresto del 60enne di Latina per l’omicidio di Francesco Saccone, freddato a Latina il 17 marzo 1998 a piazza Moro.

Alessandro-Artusa
Alessandro Artusa

La vittima, beneventano di origine e trapiantato a Latina, era stata uccisa da alcuni killer in moto. Secondo le indagini, il movente era legato a contrasti sulla spartizione del traffico di droga. Saccone stava parlando con una persona in piazza Moro in pieno giorno quando da una moto di grossa cilindrata era sceso un ragazzo che aveva esploso due colpi di pistola per poi risalire a bordo della moto guidata da un’altra persona.

Artusa fu condannato a 26 anni di reclusione (pena scontata, anche in semilibertà), in concorso con Antonello Tozzi e Giuseppino Pes. Secondo il collaboratore di giustizia Agostino Riccardo, Saccone avrebbe avuto un litigio con Costantino “Cha Cha” Di Silvio poiché l’uomo da Benevento aveva “invaso” la piazza di spaccio di Via Helsinky a Latina (zona cimitero), da sempre sotto controllo dei Di Silvio e dei De Rosa. Infatti, sempre secondo il pentito, la motocicletta utilizzata per l’omicidio di Saccone sarebbe stata procurata da Alessandro De Rosa, detto Franco, ormai deceduto, marito di Giulia “Cipolla” De Rosa e padre di Cesare, Cristian e Giuseppe, tutti noti per questioni giudiziarie a Latina.

Artusa, peraltro, fu coinvolto anche in un’altra indagine (anno 2016) che aveva messo in luce un sistema di corruzione nel carcere di Velletri (droga e telefonini fatti entrare nel penitenziario con la compiacenza di una guardia carceraria e un infermiere): 14 le persone coinvolte.

Ad ogni modo, una volta uscito dal carcere per l’omicidio Saccone, il 60enne ha ripreso senza soluzione di continuità nel mondo della mala, inanellando una serie di inchieste, processi e condanne (non ancora definitive) per armi, droga e violenze varie. Coinvolto nell’operazione dei Carabinieri “I Pubblicani”, a primavera del 2022, pochi mesi prima era stato arrestato a dicembre 2021 insieme ad altre sei persone per un ingente carico di droga a Fondi. Si trattava del gruppo fondano-latinense che vede come capi Massimiliano Del Vecchio e Johnny Lauretti.

Nel corso degli anni, dopo quell’arresto per l’omicidio Saccone, Artusa ha inviato al poliziotto che l’aveva arrestato una serie di lettere di minacce. Le accuse per cui Artusa è stato processato hanno visto il pregiudicato inviare al poliziotto cinque lettere: la prima nel novembre 2010, la seconda nell’agosto del 2016 e la terza il 16 febbraio 2017. L’ultima lettera menzionata dalla sentenza di Cassazione uscita a novembre scorso risale al 25 maggio 2017: con tali missive, Artusa minacciava di picchiare il poliziotto, una volta uscito dal carcere, ritenendolo responsabile per la sua carcerazione.

Minacce che erano state proferite da Artusa all’indirizzo del poliziotto anche a voce, nel giudizio di primo grado davanti al giudice monocratico del Tribunale di Latina, Rosmunda Zampi, conclusosi a settembre 2022 con la condanna a 1 anno e 8 mesi del latinense. Successivamente, su ricorso del legale di Artusa, la Corte d’Appello ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, riducendo la pena.

Contro la sentenza di Appello, Artusa si è appellato di nuovo in Cassazione. Gli ermellini, lo scorso novembre, si sono pronunciati, stabilendo che il ricorso è infondato per buona parte, ma fondato per la parte relativa alla minaccia del 2010, dichiarata prescritta. Per il resto, la quinta sezione di Cassazione ha rinviato ad altra sezione della Corte di appello di Roma per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

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