Terziario, nuovo studio choc sull’ingiustizia legalizzata dei contratti pirata. Stesso lavoro, pari di mansioni c’è chi guadagna fino a 7100 euro in meno l’anno
Due persone che fanno lo stesso lavoro, svolgono la stessa identica mansione, hanno lo stesso livello di inquadramento e la stessa anzianità, guadagnano la stessa cifra? Spesso no, ed è colpa dell’applicazione dei contratti pirata che alimenta disparità e lavoro povero. Così i lavoratori stipendi diversi, fino ad arrivare a oltre 7100 euro in meno ogni anno.
Lo rivela la ricerca, prima del suo genere, realizzata sotto la guida della professoressa Silvia Ciucciovino, ordinaria di Diritto del Lavoro all’Università degli Studi Roma Tre che, con un pool di ricercatori ha comparato quattro Contratti collettivi nazionali del lavoro del Terziario per individuare le componenti differenziali dei trattamenti economico-normativi previsti. E ne sono emersi molti, a ben vedere. Sono i numeri a parlare.
Nei contratti presi in esame, ossia quello tra Uiltucs, Filcams e Fisascat e Confcommercio, da un lato, e gli altri tre, Cisal Anpit, Cifa Confsal, e Federterziario Ugl dall’altro, emergono disparità di trattamenti evidenti. Qualche esempio: la figura del “Commesso addetto alla vendita”, a seconda del Ccnl applicato può percepire una retribuzione mensile marcatamente diversa, con scostamenti che raggiungono i 415 euro mensili.
Nel dettaglio si parte dai 1.718,75 euro previsti dal Ccnl Confcommercio, ai 1.649,24 euro con l’applicazione del Federterziario Ugl, i 1.650,11 euro previsti con l’applicazione del Cifa Confsal e appena 1.304, 55 euro per Anpit. Tutti questi hanno lo stesso identico lavoro e le stesse identiche mansioni. Non solo. I capi reparto hanno fino a 155 euro al mese in meno in busta paga, e lo “specialista” nel terziario percepisce ben 319,57 euro mensili in meno.
Non solo la paga base ma anche le maggiorazioni subiscono variazioni e ci sono differenze abissali. Se per il lavoro straordinario entro e oltre le 48 ore non emergono differenze, delta percentuali significativi affiorano in riferimento alle maggiorazioni legate al lavoro notturno (Δ massimo tra i Ccnl del 5%), lavoro straordinario festivo (Δ 5%) e festivo diurno (Δ 16%). Ancor più nette le differenze percentuali emerse dall’analisi dello straordinario notturno (20%), straordinario festivo notturno (Δ 34%) e straordinario notturno festivo (Δ 15%).
E i permessi? Qui si nota una importante differenza. Il Ccnl cosiddetto Confcommercio prevede una maturazione di permessi retribuiti annuali di 72 ore, che, sommate ai permessi ex festività contrattualmente riconosciuti (pari a 32 ore), porta a un totale di 104 ore annue di permessi retribuiti. Il Ccnl Anpit, invece, per fare un esempio, prevede esclusivamente i permessi retribuiti (comprensivi anche delle ex festività) nella misura di 32 ore annue.
Il tutto con una disparità e iniquità palese e risolvibile, secondo la Uiltucs Roma e Lazio, che ha contribuito alla realizzazione dello studio, con la legge di rappresentanza, unica strada per restituire dignità ai lavoratori e abbattere le disuguaglianze.
Alessandro Maria Contucci, segretario generale della Uiltucs di Roma e del Lazio, sintetizza il senso della ricerca. “Il fenomeno della proliferazione contrattuale nel terziario, e non solo, con impatti negativi in termini economici e normativi per i lavoratori, è strettamente collegato al tema della qualità del lavoro e del lavoro povero. È sempre più urgente – incalza il segretario – un intervento normativo che dia valore a quei contratti che riescono a garantire maggiori tutele normative ed economiche per i lavoratori e le lavoratrici: è necessaria una legge sulla rappresentanza per impedire che si possano applicare contratti con differenziali di reddito annuale lordo, a parità di mansione, di 7.103 euro. Non si possono più consentire applicazioni contrattuali che hanno come unico obiettivo l’abbattimento del costo del lavoro per migliorare profitti e competitività aziendale a scapito del lavoro e degli investimenti in formazione, sicurezza e sviluppo”.