“RESET”, IL PM SUL CLAN TRAVALI/DI SILVIO: “OGGI SCRIVIAMO UN PEZZO DELLA STORIA DI LATINA”

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Luigia Spinelli
Luigia Spinelli

Reset, è iniziata la requisitoria del pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Lugia Spinelli

Un pezzo della storia di questa città“, è con queste parole che il pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia, Luigia Spinelli, definisce il processo che si sta celebrando a Latina: al centro, i membri del clan Travali/Di Silvio che, secondo gli inquirenti, hanno imperversato per circa tre lustri sul capoluogo di provincia fino all’ottobre del 2015 quando furono arrestati con l’operazione “Don’t Touch” (per cui sono state emesse condanne passate in giudicato).

Alle ore 11.07 di oggi, 9 dicembre, il terzo collegio del Tribunale di Latina, composto dalla terna di giudici Mario La Rosa (Presidente), Paolo Romano e Roberta Brenda, dichiara conclusa l’istruttoria dopo circa 36 udienze in cui è stato sviscerato, tramite le testimonianze, il mondo latinense del clan Travali/Di Silvio.

Da sinistra: Alessandro Zof, Gianluca Ciprian, Costantino “Cha Cha” Di Silvio, Angelo “Palletta” Travali e Francesco Viola. Sono tutti accusati dalla DDA di far parte del medesimo Clan Travali

Il processo è quello che contesta l’associazione mafiosa alla cosca di Latina che, negli anni di “Maiettopoli” (i primi anni Dieci, fino agli arresti avvenuti con l’operazione “Don’t Touch” nel 2015), dominava incontrastato le piazze di spaccio del capoluogo pontino, tra estorsioni, intimidazioni e rapporti opachi con imprenditoria, professionisti e politica. L’indagine denominata “Reset” è stata conclusa dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e dalla Squadra Mobile di Latina, sulla scorta delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia, ex affiliati al clan Travali, Agostino Riccardo e Renato Pugliese, a cui si sono aggiunte quelle dell’altro collaboratore di giustizia, ex intraneo al clan Ciarelli, e quelle, poi abortite, dell’ex pentito Maurizio Zuppardo. 

Trenta imputati tra cui pesi massimi della criminalità latinense come Costantino “Cha Cha” Di Silvio, Alessandro Zof e Luigi Ciarelli, vale a dire il numero tre del sodalizio rom “Ciarelli” e considerato, in questo processo, come il fornitore di hashish della banda dei Travali, capeggiata da Angelo Travali detto “Palletta”. Eccoli di seguito tutti: Angelo Travali, Salvatore Travali, Angelo Morelli, Vera Travali, Alessandro Zof, Ermes Pellerani, Davide Alicastro, Fabio Benedetti, Costantino “Cha Cha” Di Silvio, Antonio Neroni, Antonio Giovannelli, Dario Gabrielli, Mirko Albertini, Silvio Mascetti, Matteo Gervasi, Francesca De Santis, Antonio Peluso (in carcere), Manuel Ranieri, Shara Travali, Valentina Travali, Giorgia Cervoni, Riccardo Pasini, Luigi Ciarelli, Corrado Giuliani, Franco “Ciccio” Della Magna, Denis Cristofori, Carlo Ninnolino, Valeriu Cornici, Alessandro Anzovino, Christian Battello e Tonino Bidone. Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Angelo e Oreste Palmieri, Frisetti, Marino, Montini, Gullì, Marcheselli, Cardillo Cupo, Zeppieri, Siciliano, Vita, Vitelli, Farau, Censi, Iucci e Coronella.

La requisitoria del pubblico ministero della DDA, Luigia Spinelli, inizia senza fronzoli. Il magistrato definisce con aggettivo preciso l’assoggettamento del territorio messo in pratico dai “guappi” capitanati da Angelo Travali: “asfissiante”. Loro, i Travali e il resto della congrega, con Costantino “Cha Cha” Di Silvio in testa, prima di essere detronizzato dai nipoti Angelo e Salvatore Travali, hanno “inquinato persino la tifoseria del Latina Calcio”.

Con questo processo – scandisce il pm Luigia Spinelli – “scriviamo un pezzo della storia della città“, poiché il clan Travali, quello cittadino per antonomasia, conosciuto da tutti – dai piani alti fino ai piani bassi del tessuto sociale del capoluogo – ha rappresentato una “piaga sociale nella seconda città del Lazio“. È vero, ammette il pm, c’è “gente che ha sofferto in silenzio, ma lo Stato, alla fine, non li ha lasciati soli e siamo qui proprio per fare giustizia“.

Salvatore e Angelo Travali
Salvatore e Angelo Travali

Il processo Reset, così come è stato denominato da investigatori e inquirenti in fase di indagine, prende le mosse dal processo Don’t touch, senza il quale quelle evidenze emerse quando a Latina c’era il sempre rimpianto Questore Giuseppe De Matteis, non avrebbero potuto essere ampliate e valorizzate con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Renato Pugliese, il primo a pentirsi dopo l’ennesimo arresto dovuto a una estorsione contro un ristoratore di Sermoneta, e Agostino Riccardo, discusso, odiato e percepito come una spina del fianco da più mondi a Latina, non solo quello criminale. Emerge, peraltro, che Riccardo è stato condannato recentemente anche per voto di scambio politico-mafioso: tramite giudizio abbreviato, Agostino Riccardo ha rimediato una condanna nel medesimo procedimento che, a Latina, vede un processo i cui imputati sono l’imprenditore dei rifiuti, Raffaele Del Prete, e Emanuele Forzan, collaboratore dell’attuale consigliere regionale di Forza Italia, Angelo Tripodi.

I campi del businness travaliano sono i soliti: spaccio, usura, estorsioni. Ambiti già rilevati con l’inchiesta Don’t Touch. È grazie alle dichiarazioni di Pugliese e Riccardo – ex affiliati del clan, poi passati alla cosca di Campo Boario, guidata da Armando “Lallà” Di Silvio, definitivamente condannati come un’associazione mafiosa con il processo “Alba Pontina” (“Altro che straccioni”, sottolinea il Pm Spinelli), – il processo Reset si celebra. E non va piano il pm Spinelli quando stigmatizza i “traditori” all’interno delle forze dell’ordine, sia nella Squadra Mobile che nei Carabinieri, che sabotavano le inchieste. I protagonisti del clan Travali, come evidenziano le intercettazioni, sanno spesso di essere monitorati dagli investigatori. Indignato è il tono del pm Spinelli che ricorda anche la vicenda emblematica di Roberto Toselli, il giovane trentenne di Latina che, nel 2014, denuncia già tutto di quello che rappresenta il clan Travali, della sua disponibilità di armi, della sua prepotenza nel gestire affari e potere, prima, però, di ritrattare tutto (lo dimostra anche la testimonianza resa dallo stesso Toselli in questo processo, dove è arrivato a negare persino di ricordare il suo tentato suicidio).

Tuttavia, secondo il pubblico ministero, la prima condanna nel processo “Don’t Touch” non è sufficiente: l’associazione non è semplice ma è “mafiosa poiché egemone con soggetti di elevato spessore criminale legati da vincolo parentale come Costantino “Cha Cha” Di Silvio, Angelo e Salvatore Travali e Angelo Morelli”.

Le estorsioni sono giornaliere su cittadini, commercianti, avvocati, imprenditori: “Era sufficiente sapere chi erano per assoggettarvisi, bastava la loro presenza per evocare la minaccia mafiosa“; prova ne è il fatto che “tutti i testimoni non hanno denunciato i fatti e sono stati chiamati in Tribunale solo perché è emerso nel processo “Don’t touch” o con la collaborazione di Pugliese e Riccardo”.

Il pubblico ministero ricorda episodi di estorsioni già passate in giudicato con la sentenza “Don’t Touch”. Notissimi commercianti di Latina che lavorano nel centro della città costretti a fare sconti, a subire prepotenze, completamente intimiditi dalla “forza” del clan. “Cha Cha era considerato indiscusso capo della criminalità locale e quando le persone venivano stressate dagli altri componenti della banda non andavano dalle forze dell’ordine, ma andavano da lui“.

“Angelo e Salvatore Travali – prosegue il pm – stanno fuori di testa e credono di poter estorcere all’infinito e si sentono padroni del territorio. E allora le vittime vanno da “Cha Cha”, oppure chiedono l’intercessione di Gianluca Tuma (nda: condannato anche lui nel processo “Don’t Touch” per intestazione fittizia dei beni)”.

Costantino Cha Cha Di Silvio
Costantino “Cha Cha” Di Silvio

Il clan non conosce confini: “Si sono infiltrati a gestire la tifoseria del Latina Calcio, fornendo protezione ai calciatori. “Cha Cha li rassicura da possibili proteste. Dice a Marco Crimi di tranquillizzare Paolucci che aveva sbagliato un rigore”.

A supporto delle sue parole, il pm Spinelli spiega di aver prodotto un video depositato a favore del Tribunale che ritrae la manifestazione popolare con cui i i cittadini di Latina, spontaneamente, ringraziano la Questura di Latina dopo gli arresti dell’operazione “Don’t Touch”.

Parte rilevante della requisitoria è la difesa delle parole dei collaboratori di giustizia, definiti attendibili e credibili, anche in ragione del fatto che le dichiarazioni hanno passato il vaglio di numerosi processi, alcuni dei quali arrivati a sentenza definitiva. Peraltro, sia Pugliese che Riccardo si sono auto-accusati di circostanze estorsive o di spaccio di droga, senza chiamare in correità nessun altro del clan, a testimonianza della genuinità delle loro posizioni. “Nessun astio c’è mai stato da parte loro nei confronti di nessuno degli imputati“. Così il pubblico ministero cerca di rintuzzare le numerose tesi difensive che hanno cercato di smontare la credibilità dei due pentiti.

Non può passare inosservata l’intercettazione di Shara Travali, captata in carcere quando la donna va a parlare con i fratelli Angelo e Salvatore. In quelle occasioni, emerge chiaro che il clan, in seguito agli arresti dell’operazione “Don’t touch”, ha perso l’egemonia in città. A comandare dopo il 2015 fino agli arresti del 2018 è il clan di “Lallà” Di Silvio che ha affiliato a sé gli ex dei Travali, Agostino Riccardo e Renato Pugliese.

E sulla decisione di collaborare con lo Stato, il pubblico ministero è chiaro: “Nessuno nega che sono stati dei delinquenti, ma bisogna credere che si può uscire, che si può cambiare vita, aprendo allo Stato le proprie conoscenze“. È diverso – spiega il pm – l’atteggiamento di Riccardo che si auto-accusa di reati mai emesi, da quello di Francesco Viola, condannato in due gradi di giudizio per i fatti di “Reset”, che si presenta come testimone, chiamato dalla difesa, dicendo di aver sbagliato e cercando di “farci commuovere”. Diverso perché “Viola si pente solo delle estorsioni per cui è stato condannato”.

Alessandro Zof
Alessandro Zof

I due collaboratori, per il pubblico ministero, sono pietra miliare del quadro accusatorio e non c’è motivo di mettere in dubbio le loro dichiarazioni che sono state prese in modo autonomo e risultano sovrapponibili. La città è bastarda, perché a “Latina se denunci te la fanno pagare”; questa città è un “Giano bifronte, da un lato un viso bello, dall’altro le vicende criminali. Tutto questo deve finire. Il messaggio è che va punito chi spara a Marco Urbani, non va punito il tabaccaio che sceglie di denunciare“.

E ancora, senza soluzione di continuità, il pubblico ministero menziona “en passant” altri pezzi di quella che ormai può essere definita la storia dell’antimafia di Latina: dal processo a Gina Cetrone, all’ex pentito Angelo Riccardi, fino al processo per falso al sovrintendente della Polizia di Stato che ha avuto una relazione con l’ex moglie di Agostino Riccardo. La prima parte della requisitoria si conclude alle 17,40, quasi sei ore di parole che hanno cercato di ricostruire “un pezzo di storia di Latina”. A corredo del quadro generale, anche le estorsioni contestate nel processo e già delineate con le testimonianze rese nel processo..

La prossima tappa è fissata il 12 dicembre. In quella data parlerà ancor il pubblico ministero Luigia Spinelli e, se finirà, inizierà il collega della DDA, Francesco Gualtieri.

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