“RESET”, LE ACCUSE DELL’IMPUTATO AL PENTITO: “LO ZIO MI MINACCIÒ: SE NON PAGAVO MI AVREBBE BUTTATO NEL CALDERONE”

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Riccardo Pasini
Riccardo Pasini

“Reset”: nel processo che vede sul banco degli imputati i membri del clan Travali, accuse velenose al collaboratore di giustizia Renato Pugliese

Procede, di settimana in settimana, il processo denominato “Reset”, scaturito dalla maxi operazione della DDA romana e della Squadra Mobile di Latina. Il III collegio del Tribunale di Latina della terna di giudici La Rosa-Sergio-Romano ha accelerato tempi e udienze per riuscire ad arrivare a sentenza prima che, tra circa tre mesi, scadranno le misure cautelari a carico di quasi tutti gli imputati.

Oggi, 3 ottobre, è proseguita la testimonianza dell’ex affiliato al clan Travali, Renato Pugliese, figlio di uno dei principali imputati: Costantino “Cha Cha” Di Silvio, l’ex boss detronizzato dai “nipoti” Angelo e Salvatore Travali (imputati anche loro). Il cuore delle accuse contro il clan Travali/Di Silvio sono quelle che rimandano alla contestazione di essere un’associazione mafiosa che per anni, fino agli arresti eseguiti con l’operazione “Don’t Touch”, ad ottobre 2015, imperversò nella città di Latina (e oltre), più o meno senza un incisivo contrasto.

Il processo ha già visto sfilare come testimoni dell’accusa le vittime di estorsione e gli investigatori della Squadra Mobile che hanno portato avanti l’indagine, basata in gran parte sulle rivelazioni di Agostino Riccardo e Renato Pugliese, i quali, come ormai è storia nota nel mondo criminale pontino, passarono nel clan Di Silvio sponda Armando detto “Lallà”, dopo essere rimasti soli in seguito agli arresti di Travali, Cha Cha e gli altri del sodalizio nella succitata operazione “Don’t touch”. Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Angelo e Oreste Palmieri, Montini, Frisetti, Marino, Gullì, Marcheselli, Cardillo Cupo, Zeppieri, Siciliano, Vita, Vitelli, Farau, Censi, Iucci e Coronella.

Nell’udienza odierna, non sono passate inosservate le dichiarazioni rese spontaneamente dall’imprenditore di Latina, Riccardo Pasini, imputato nel processo. Quest’ultimo e il poliziotto Carlo Ninnolino (anche lui alla sbarra nel processo “Reset”), all’epoca dei fatti contestati in servizio nella Squadra Mobile di Latina, sono imputati particolari.

Sia Ninnolino che Pasini, infatti, furono arrestati ad ottobre 2015 in ragione dell’ordinanza di custodia cautelare scaturita dall’inchiesta di Procura e Squadra Mobile di Latina denominata “Don’t Touch”. Coinvolti entrambi nel conseguente processo, alla fine dei tre gradi di giudizio uscirono intonsi per fatti contestati tra il 2013 e il 2014 (si era negli anni di Maiettopoli). Riccardo Pasini era accusato di aver fatto da tramite tra l’agente di polizia e il clan Travali.

In seguito, alla luce delle dichiarazioni degli ex affiliati al clan, Renato Pugliese e Agostino Riccardo, Pasini e Ninnolino sono stati di nuovo imputati per accuse affini: l’uno, Ninnolino, la “talpa”; l’altro, Pasini, il tramite con il clan.

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E proprio su questo punto che Pasini ha voluto incentrare le sue dichiarazioni davanti al Tribunale e al pubblico ministero della DDA romana, Francesco Gualtieri, oggi chiamato a rappresentare l’accusa. L’imprenditore latinense ha voluto specificare di essere a processo da nove anni, incluso quello superato (Don’t Touch), con le medesime accuse. Si professa innocente, questo è ovvio, e invoca il ne bis in idem.

Ad ogni modo, Pasini ha lanciato pesanti accuse al collaboratore di giustizia, Renato Pugliese, raccontando di come lo zio, ex suo amico fraterno, lo avrebbe raggiunto nel maggio 2018 ricattandolo e chiedendogli denaro. Secondo Pasini, Marco Pugliese (questo è il nome dello zio del collaboratore) gli avrebbe detto: “Devi fare un bel regalo a Renato, altrimenti ti buttiamo dentro nel calderone“. Inoltre, lo zio di Pugliese gli avrebbe specificato che di lì a breve ci sarebbe stata una maxi operazione delle forze dell’ordine con cui sarebbero stati arrestati diversi colletti bianchi. Un racconto che, nelle parole di Pasini, significherebbe che se lui non avesse pagato 15mila euro allo zio di Pugliese – questa è la somma che gli avrebbe chiesto -, l’imprenditore, oggi imputato in Reset, sarebbe finito di nuovo nelle dichiarazioni di Renato Pugliese. A maggio 2018, Pugliese era collaboratore dello Stato da circa un anno e mezzo (il primo verbale reso ai magistrati è del dicembre 2016), e con i tempi si sarebbe già fuori dai 180 giorni in cui un pentito, da legge, deve mettere a verbale le sue rivelazioni su cose e persone. Al netto, ovviamente, di nuove dichiarazioni rese in merito a particolari da chiarire.

Ad ogni modo, vistosi minacciato dallo zio di Pugliese, Pasini ha spiegato di essersi recato dai Carabinieri di Latina, presentando una denuncia da cui è scaturito un processo che vede sul banco degli imputati proprio il medesimo Marco Pugliese. In tale processo, che ancora non ha visto celebrarsi un’udienza, Pasini è parte offesa. Dapprincipio, il reato contestato allo zio di Pugliese era quello di estorsione, successivamente è stato derubricato dalla Procura in truffa aggravata. Renato Pugliese è completamente estraneo rispetto a queste accuse.

Tuttavia, prima delle dichiarazioni dell’imprenditore, anche l’avvocato Massimo Frisetti, che difende Pasini, aveva interrogato Pugliese chiedendogli conto dei suoi rapporti con lo zio. Il collaboratore ha confermato che lo zio e Pasini sono stati come fratelli. “Ha mai chiesto a suo zio di recuperare somme a Pasini e altri imprenditori per fargli un regalo?” A questa domanda, il cui sotto-testo era una tentata estorsione sotto il ricatto di “buttare nel calderone” Pasini, Renato Pugliese ha risposto di non ricordare nulla di tutto ciò. Il pentito ha preso le distanze dallo zio, spiegando di sentirlo ogni tanto tramite messaggio dopo che lo stesso è stato in carcere dopo la separazione dalla moglie.

D’altra parte, oggi, le domande a Pugliese hanno voluto scavare sugli opachi rapporti che la DDA contesta anche al poliziotto Ninnolino. È l’avvocato Silvia Siciliano, che difende l’agente di polizia, a chiedergli degli incontri tra Francesco Viola (cognato di Angelo Travali, già condannato in due gradi di giudizio nel processo Reset, avendo scelto il rito abbreviato), Ninnolino e lo stesso Pasini tra il 2013 e il 2014. Secondo il pentito, Ninnolino avrebbe avvertito il medesimo Pugliese di un’indagine per tentato omicidio a suo carico in riferimento agli spari contro la nota pizzeria di Latina “Già Sai”. Inoltre, gli spifferi sarebbero avvenuti anche per un imminente blitz delle forze dell’ordine nel locale “La Lucciola” di Ivan Raponi, poi destinatario di una indagine a suo carico.

A seguire, Pugliese è stato contro-esaminato anche dagli avvocati Farau, Nardecchia e Montini. Quest’ultimo ha voluto evidenziare la circostanza che Pugliese sarebbe stato ascoltato dagli inquirenti, almeno in una occasione, senza avere un legale al suo fianco. Una evenienza che invaliderebbe il verbale poi redatto. Gli avvocati Farau e Nardecchia hanno chiesto conto delle accuse contro il loro assistito Luigi Ciarelli (numero tre dell’omonimo clan rom di Latina) e, in particolare, dei 32mila euro che Pugliese gli doveva: alla fine, dopo alcune rate pagate a saldare il conto sarebbe stato l’imprenditore di Sonnino dai mille rapporti tra malavita, colletti bianchi e servizi deviati, Luciano Iannotta.

Il processo è proseguito con l’inizio del lungo esame dell’altro collaboratore di giustizia, Agostino Riccardo. Le dichiarazioni dell’ex affiliato occuperanno più udienze. Il processo è ancora lungo e complesso.

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