Omicidio di Priverno, è iniziato il processo a carico del 34enne accusato di aver ucciso il compagno della madre
Ha preso avvio il processo, che promette di essere spedito, sull’omicidio del 49enne di Priverno, Germano Riccioni. Sul banco degli imputati il 34enne concittadino Luigi D’Atino, accusato anche di aver provato a uccidere sua madre, Adele Coluzzi, 58 anni, compagna dell’uomo deceduto il 29 novembre 2023, la data dell’omicidio.
Il processo è iniziato davanti alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Gian Luca Soana, a latere la collega Concetta Serino, e composta dalla giuria popolare. D’Atino, difeso dagli avvocati Gianmarco Conca e Manfredo Fiormonti, era presente in aula, scortato dagli agenti della polizia penitenziaria poiché si trova ristretto in carcere sin dall’anno scorso per questo delitto. A sostenere l’accusa il pubblico ministero Giuseppe Bontempo.
Dopo la mattanza avvenuta in Via Madonna del Calle, il 34enne, arrestato, si era avvalso della facoltà di non rispondere. L’arresto era stato eseguito dai Carabinieri di Terracina e del Nucleo Investigativo di Latina e sin da subito non c’erano stati dubbi: il giovane è stato individuato come il responsabile dell’omicidio del compagno della madre e del tentato omicidio della madre stessa. La donna, ferita gravemente, fu trasportata con l’eliambulanza da Priverno e ricoverata presso l’Ospedale San Camillo di Roma. In prognosi riservata e ricoverata in terapia intensiva con un trauma cranio-facciale, fu sottoposta a un intervento di chirurgia ed è sopravvissuta. Adele Coluzzi, peraltro, assistita dall’avvocato Cesarina Gandolfi, si è costituita oggi, all’apertura del dibattimento, come parte civile tramite un amministratore di sostegno. Costituti parti civili anche i genitori e i fratelli della vittima, difesi dall’avvocato Maria Teresa Ciotti. Inoltre, l’avvocato Gandolfi difende come parti civili anche la moglie (da cui l’uomo era di fatto separato) e la figlia di Riccioni.
Gli elementi a carico di D’Atino, processato col giudizio immediato, soggetto noto in città e ai servizi sociali del Comune come consumatore di sostanze stupefacenti, erano emersi già in sede di indagine, grazie alle testimonianze raccolte e agli esiti del sopralluogo. La difesa dell’imputato oggi ha reiterato la richiesta di giudicare l’uomo col rito abbreviato. Un rito che, vista l’accusa di omicidio e tentato omicidio aggravato dalla crudeltà, non può essere celebrato. Lo sarà solo se, in sede di giudizio ordinario, dovesse cadere tale aggravante.
Come noto, il delitto è maturato in seno a una lite famigliare tra il 34enne, la madre e il compagno Germano Riccioni. Le indagini si sono indirizzate sin da subito sul figlio della donna, che avrebbe riempito di botte e colpito il compagno della donna ferendolo a morte con una anfora di gesso e altro materiale di ferro, per poi scagliarsi sulla madre e colpirla con un mattone sul viso. Nelle vicinanze della casa, praticamente sull’uscio, è stato trovato il cadavere di Riccioni, che forse stava tentando di scappare dalla furia del 33enne, e i pezzi di anfora rotta. Il 34enne avrebbe colpito con violenza il 49enne lasciandolo esanime a terra, per una lite iniziata dentro l’appartamento e finita tragicamente al suo esterno, mentre la madre è stata colpita in seguito e lasciata agonizzante dentro la casa, successivamente posta sotto sequestro dai Carabinieri.
Secondo le prime ipotesi investigative, il delitto si sarebbe consumato per via di una richiesta di denaro, finalizzati forse per l’acquisto della droga, che ha dato il là a un lite famigliare, degenerata fino alla tragedia. Al di là di questo, il figlio 33enne era tornato da poco a casa della madre che conviveva con Riccioni, dopo aver vissuto, occupandola, in un immobile appartenuto a un parente del padre, Antonio D’Atino, deceduto due anni fa, ad agosto, in seguito a un incidente stradale. In realtà, l’immobile sarebbe stato occupato da Luigi D’Atino, tanto che lo zio, proprietario della casa in Via Mazzini a Priverno, è stato costretto a denunciare il nipote. Peraltro il 33enne è finito anche all’attenzione delle forze dell’ordine, come uno di coloro che avrebbe partecipato al pestaggio, per motivi di droga, in cui è incorso uno straniero alla fine di ottobre 2023, lasciato sul ciglio della strada agonizzante.
I rapporti tra il figlio e il nuovo compagno della madre, Germano Riccioni, non erano buoni, come contrastato sarebbe stata anche la relazione del 34enne con la madre. In questo contesto, non certo tranquillo e sereno, per di più reso difficile dal consumo di sostanze stupefacenti (anche la vittima aveva precedenti in materia di sostanze stupefacenti), sarebbe maturato il delitto di via Madonna del Calle. Da tempo, come hanno riferito i vicini di casa, le liti in casa si susseguivano abbastanza spesso. Poi, le urla che hanno attirato le attenzioni dei medesimi vicini e la tragica scoperta dei Carabinieri della locale Stazione e della Compagnia di Terracina.
Oggi, nel processo, sono sfilati undici i testimoni tra Carabinieri di Terracina che hanno svolto le indagini, operatori del 118 e i due vicini di casa, testimoni oculari della lite e del brutale e fatale pestaggio.
La lite fu segnalata da ben due persone: una prima volta alle ore 5,29, l’altra alle 5,47. Non solo la vicina di casa che, abitando col marito e i figli nel piano inferiore rispetto all’abitazione della coppia Riccioni-Coluzzi, ha sentito e visto in presa diretta la tragedia, ma anche un uomo che, pernottando nell’abitazione della compagna a un chilometro di distanza dalla casa, ha chiamato il 112 allarmato dal fatto che una Fiat 600 blu – che poi si è scoperto appartenere a Riccioni – si era fermata nelle vicinanze. Da quell’auto, l’uomo, ascoltato come testimone in aula, ha sentito alcuni rumori, del tipo botte sorde su un giubbotto, e una voce che diceva più volte: “Ti voglio bene”.
Quando, invece, i Carabinieri della Compagnia di Terracina arrivarono sul luogo del delitto erano le ore 6,45. I primi militari dell’Arma giunsero da Terracina perché non c’era altra disponibilità di pattuglie, neanche dalla vicina stazione di Priverno, tanto he i Carabinieri del luogo arrivarono più tardi per cinturare l’area del delitto.
Uno dei due militari che si recò in Via Madonna del Calle ha spiegato in aula che D’Atino era fermo sui gradini, all’esterno di un’abitazione di fronte alla casa della madre. Sul posto, si trovavano l’ambulanza e un’auto-medica che, considerata la situazione di pericolo (l’omicida era in strada), erano fermi sui mezzi, come da procedura, in attesa dell’arrivo delle forze dell’ordine.
I vestiti del giovane – che oggi, dietro le sbarre della camera di sicurezza, sembrava più giovane della sua età – erano intrisi di sangue. “Ci ha detto che aveva avuto una lite col compagno della madre – ha spiegato il Carabiniere esaminato come testimone – Poi ha fatto uno scatto per andare via. La madre era per terra nel giardino a fianco di Riccioni, al civico 17”.
Successivamente, nello spazio di pochi minuti, “D’Atino ha preso un vaso e ci ha minacciato di tirarcelo contro. Gli abbiamo fatto vedere il taser e lui ha posato il vaso. Riccioni non si muoveva e non dava segni di vita, mentre la madre respirava a fatica. C’era un vaso per terra rotto, poi quando abbiamo immobilizzato e messo il soggetto in macchina, il personale del 118 ha constatato la morte di Riccioni“. Dopodiché il 34enne fu portato presso l’ospedale “Fiorini” di Terracina perché era imbrattato di sangue e aveva alcune ferite per via della colluttazione avuta con la madre e soprattutto con Riccioni.
Una scena pesante, confermata dal medico legale Maria Cristina Setacci la quale, avendo svolto l’autopsia, ha evidenziato che sul corpo Riccioni c’erano ferite compatibili da mezzi contundenti. L’uomo era ferito a volto, cranio e torace. La causa della morte è tecnicamente ascrivibile a un decesso per asfissia provocata dal sangue: in pratica Riccioni è morto soffocato dal suo stesso sangue (morte da sommersione interna, ha spiegato il medico legale), dopo aver subito un pugno violento sul naso (risultato fratturato). Eppure l’efferatezza dell’omicidio non si è fermata a questo: sul luogo del delitto – ossia nel giardino della palazzina dove vivevano Adele Coluzzi e Germano Riccioni – c’erano i pezzi di anfora e alcune assi in legno ricoperti di sangue.
Una volta arrestato, d’altra parte, come ha spiegato il Comandante della sezione Radiomobile dei Carabinieri di Terracina, D’Atino è risultato positivo a cocaina e altre sostanze, più all’alcol. Il giovane non viveva con la madre, ma in via Mazzini dove i militari hanno rinvenuto due asce e una roncola. Armi improprie, si direbbe nel linguaggio da polizia giudiziaria, che, a sentire le testimonianze di oggi, non stupiscono essere state ritrovate nella disponibilità del trentenne. D’Atino, infatti, secondo i due testimoni oculari – marito e moglie che abitando al piano inferiore della casa di Via Madonna del Calle – avrebbe pestato Riccioni non solo con l’uso dell’anfora e del cancelletto di legno, ma anche con un cancelletto di ferro scagliato addosso all’uomo. La madre, invece, sarebbe stato colpita con il mattone e anche con i pezzi dell’anfora.
La lite, però, è iniziata prima, dentro la casa che Adele Coluzzi divideva con Germano Riccioni. Urla e botte, tanto che la vicina di casa chiamò 118 e 112 e svegliò il marito. Fu Riccioni a bussare alla loro porta per chiedere aiuto, dopodiché, mentre parlava col vicino di casa, fu afferrato alla gola da D’Atino che lo avrebbe trascinato in giardino insieme alla madre. Lì, nel giardino, il giovane avrebbe infierito con anfora e cancelletto (peraltro di proprietà dei vicini di casa) contro il viso della vittima, scagliando violenti calci nella pancia di Riccioni.
Quando arrivarono i Carabinieri, D’Atino, in un primo momento, li mise in guardia di non avvicinarsi, altrimenti avrebbe lanciato l’anfora contro la madre la quale era stesa a terra e respirava a fatica. Uno stato molto grave, tanto che gli operatori del 118 hanno confermato in aula che la donna si trovava in uno stato comatoso e fu necessario l’immediato intervento dell’eliambulanza che atterrò nel campo di calcio non molto lontano dal luogo del delitto.
Secondo i vicini, la lite e le botte durarono mezz’ora. Un tempo infinito in cui D’Atino trascinò madre e compagno della donna per terra e li colpì ovunque con i pezzi di gesso, gli assi di legno e il ferro del cancelletto. Una vera e propria furia. “Secondo me – ha detto in aula un operatore del 118 intervenuto quel 29 novembre – era fuori di testa, c’erano gli estremi per un TSO“.
Il processo riprenderà il prossimo 21 ottobre con l’esame di tutti i rimanenti testimoni del pubblico ministero Giuseppe Bontempo.