Omicidio a Terracina, in dirittura d’arrivo il processo che vede alla sbarra la 61enne polacca accusata di aver lasciato morire il marito
Udienza lunga e intensa presso la Corte d’Assise del Tribunale di Latina, presieduta dal giudice Gian Luca Soana, alla presenza della giuria popolare. Il processo per omicidio doloso e colposo di Bruno Vaccarini, più i maltrattamenti in famiglia che avrebbe subito l’uomo, ha visto l’esame dell’imputata: la 62enne polacca Gabriela Blazewicz, difesa dall’avvocato Francesco Pietricola. Ad essere ascoltato per primo, però, è stato il consulente medico-legale della difesa che, dopo aver mancato la testimonianza per tre volte, oggi era presente in aula. Il dottor Aprile, nella sua breve testimonianza, interrogato dall’avvocato Pietricola, ha ammesso che la terapia del dottor Francesco Raggi, che prescrisse a Vaccarini una cura a base di curcuma, semi di lino e infusioni di vitamina C, non fosse adeguata, o per meglio dire fu “non meglio precisata”. “Ha somministrato terapie che non giustifico“, ha spiegato il consulente tecnico di parte.
La storia, come noto, è quella della donna accusata di aver lasciato morire un uomo di Terracina con cui era sposata in seconde nozze, per l’appunto il 75enne Bruno Vaccarini. I fatti risalgono agli anni 2018 e 2019 quando, il 7 marzo di quest’ultimo anno, l’uomo morì. Malato di cancro ai polmoni e con un’aplasia alla prostata, il 75enne fu costretto, solo in ultima battuta, per volontà dei tre figli di primo letto – costituisti parti civili e presenti in aula in ogni udienza -, ad andare avanti e indietro con l’Ifo, l’istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma. Purtroppo, Vaccarini ricorse alle cure specialistiche in ritardo: secondo l’accusa, la donna l’avrebbe lasciato morire e gli avrebbe anche sottratto diverse migliaia di euro dai suoi conti, tra i 70 e gli 80mila euro.
Nelle scorse udienze, era già emerso di come l’uomo fosse stato curato a vitamina C e altre medicinali assolutamente inidonei a combattere il cancro ai polmoni di cui soffriva, tra cui anti-infiammatori molto potenti. Già ascoltati nel corso del processo i figli dell’uomo, assistiti dagli avvocati Belardi, Lacerenza e Zempetta. La difesa delle parti civili, peraltro, aveva presentato lo scorso 5 aprile, depositandolo presso la Corte d’Assise, una pen drive contenente documenti audio video in cui Vaccarini parla della vicenda che lo ha coinvolto, prima di morire.
Il problema, spesso evidenziato da famigliari e sanitari nel corso del processo, è che Vaccarini era in cura dal dottor Francesco Raggi e si recava da lui, a Terni, per assumere sostanze come melatonina e curcuma, oppure medicinali come il kolibrì (a metà tra un oppiode e la tachipirina), che non erano assolutamente in grado di poter scalfire il cancro.
Anche nella stessa relazione del perito medico legale della difesa è emerso, come ribadito in testimonianza, che gli accertamenti sull’uomo malato di cancro non furono mai svolti. Vaccarini avrebbe dovuto seguire un iter diagnostico e un intervento chirurgico, per poi essere sottoposto a terapie. È lo stesso dottor Aprile ad ammettere che scientificamente ciò lo avrebbe instradato su una corretta via, tuttavia secondo il testimone della difesa: “Vaccarini non ha mai saputo cosa fare“.
Parole piuttosto nette che sono ancora più forti se a pronunciarle è un testimone che, in teoria, avrebbe dovuto essere dalla parte dell’imputata. Prima che fosse ascoltata la donna, ex moglie del deceduto, in aula c’stata battaglia tra l’avvocato Pietricola e la pubblica accusa: il legale ha avanzato dubbi sulla genuinità e autenticità dei video in cui Vaccarini parlerebbe della sua malattia. Inoltre, lo stesso legale ha chiesto che fosse ascoltato anche il consulente grafico che avrebbe spiegato di come la firma di Vaccarini, che, prima di morire, querelò la moglie, non sia vera e attribuibile a lui. Uno scoglio superato dal Tribunale che ha risolto la questione, sostenendo che a fare fede è la ratifica della polizia giudiziaria la quale nel 2019 prese la querela di parte da cui partì l’inchiesta e il processo odierno. Un processo che mette in gioco tanto: due famiglie divise tra di loro, il cui unico punto in comune è un uomo, Bruno Vaccarini, scomparso in circostanze difficili, ossia per un cancro mai veramente curato, se non gli ultimi giorni della sua vita quando furono i tre figli di primo letto a imporre cure all’Ifo di Roma, il noto istituto oncologico.
La testimonianza dell’imputata è apparsa non del tutto lineare. La donna, complice anche la lingua e la scarsa consuetudine con le aule di Tribunale, spesso rispondeva con fatica, senza contare di rimpallare in talune occasioni le domande a chi gliele proponeva. In uno dei passaggi più significativi, quando il Procuratore Capo Giuseppe De Falco le ha posto un quesito, la 62enne ha risposto: “Lei cosa pensa?”. Al che il Pm De Falco ha risposto: “Lei chiede a me cosa penso? Io la accuso di omicidio“.
La storia con Vaccarini, come ha raccontato la donna, è iniziata a Roma circa 19 anni fa. L’oggi imputata ha raccontato la sua versione dei fatti, stimolata dalle domande dell’avvocato difensore. Una vita, secondo quanto spiegato, che l’ha messa di fronte al fatto che aveva come compagno un uomo che non le avrebbe permesso di decidere molto. Senza contare che non l’avrebbe mai messa a conoscenza dei soldi che aveva e che le aveva detto di lasciare il suo lavoro di infermiera, prima a Villa Flaminia e poi all’ospedale Israelitico. Rapporti con la prima famiglia composta dai suoi tre figli praticamente assenti, anche quando rimase incinta della bambina avuta con Vaccarini.
In un primo momento, i due vivono a Roma. Successivamente, complice il bisogno di dover vendere la casa nella Capitale e lasciare un altro appartamento a uno dei tre figli, i due si trasferiscono a Terracina dove “vivevamo in una casa rustica, umida, senza riscaldamento“.
“Quando rimasi incinta di Bruno Vaccarini, lui aveva paura di dire questa cosa ai suoi tre figli. Mi diceva di aspettare. Poi è successo che qualche conoscente svelò ai figli della gravidanza ma fu una cosa sgradevole”.
I due si sposano solo molto anni dopo, nel 2014, “per consolidare il rapporto”. Da linea difensiva, la donna ha voluto raccontare la sua versione dei fatti: costretta a smettere di lavorare, l’uomo l’avrebbe tenuta all’oscuro di ciò che faceva. Un aspetto fortemente contraddetto dal pubblico ministero De Falco che, quando ha potuto, ha ricordato alla donna un passaggio significativo della querela proposta dall’uomo prima della dipartita: Vaccarini, infatti, scriveva di come aveva sempre assecondato tutte le continue richieste della moglie.
Eppure, dal suo racconto, la donna ha evidenziato più volte che il marito avrebbe voluto fare sempre di testa sua: persino il giorno del matrimonio fu celebrato in un infrasettimanale per non dare nell’occhio e senza la presenza dei suoi figli di primo letto.
I passaggi più dolorosi sono quelli della malattia. Il 31 dicembre 2017, Bruno Vaccarini venne ricoverato per una sincope e portato in ospedale. Fu la figlia in comune ad avvertire i tre fratellastri, ma, ha detto la donna, “lui non voleva“. Poi, nel 2018, l’uomo decise di intervenire sulla prostata, ma già anni prima avrebbe dovuto fare questo tipo di intervento. A marzo 2018, dice la 62enne Blazewicz: “Bruno fece un check up per la prostata a Villa Tiberia e lì è stata scoperta una massa tumorale nel polmone destro. Il 21 marzo 2018 andammo da Redi a Latina per fare la Tac e fu confermata la massa tumorale. Ci dissero che doveva proseguire con gli accertamenti, ma fu lui a ritirare il referto. Gli dissero di rivolgersi a un oncologo e così è stato”
“Siamo andati dopo una settimana a Roma e lo specialista ci disse di fare una nuova visita e ci consigliò un chirurgico toracico. Non disse proprio la parola tumore. Il chirurgo vide tutte le lastre: sin dalla prima del 2017, quella dopo la sincope, e gli disse che già a quella data la malattia era visibile, ma nessuno se ne era accorto“. Secondo la donna, però, anche prima della sincope del dicembre 2017, ci sarebbe stato un episodio di avvisaglia.
La donna è sembrata non arretrare dalla linea da tenere. Accusata di non aver fatto curare il marito e di averlo portato alla morte, ha detto più volte che “Mio marito mi disse che non dovevo dire niente ai figli della malattia. non voleva preoccuparli. Era sempre solo lui a decidere sia per la prostata, che per il matrimonio, che per la nascita di nostra figlia. Fu lui a decidere di non seguire l’iter di accertamenti predisposti dal medici, io gli dissi che dovevamo proseguire, ma decise da solo. Forse lui pensava che il tumore non si sarebbe sviluppato, dal momento che lui era già avanti con l’età”.
E le cure con la curcuma e la vitamina C, proposte dal medico Raggi di Terni? L’imputata ha cercato di tratteggiare la figura di un uomo a cui piacevano cure esotiche: “Ho saputo che anni prima, andò dal figlio in Brasile. Ebbe una infezione e per curarsi prese latte di cocco”.
Rispetto al tumore, invece, per il trattamento vitaminico fecero ricerche si internet. “Abbiamo trovato il dottor Francesco Raggi e abbiamo preso appuntamento. Così abbiamo iniziato a fare viaggi a Terni. Anche se era tanta la distanza da Terracina, voleva sempre guidare lui e non mi permetteva di guidare al suo posto”.
“Anche Raggi consigliò a Bruno di fare esami, andammo li da novembre a dicembre 2018. Grazie alle terapie di Raggi, mio marito si sentiva più forza e può essere che abbia trascurato gli ulteriori accertamenti sul tumore, proprio perché si sentiva meglio“. “Poi però a gennaio 2019 si sentiva più debole e non voleva più mangiare. Lui continuava a dirmi che non bisognava spiegare come stavano le cose ai figli e nessun altro. Bruno non aveva tanta voglia di fare visita dal medico di famiglia Fasano anche perché bisognava aspettare e non aveva pazienza”.
Alla fine Vaccarini fu ricoverato all’Ifo (Istituto Tumori Regina Elena) per volontà dei figli che seppero della malattia quando era ormai esplosa. La donna, però, ribadisce, che fu lei a chiamare l’ospedale di Terracina il 12 gennaio 2019 per un ricovero urgente. In quella data, i figli e gli altri parenti appresero della grave condizione di salute di Vaccarini. Nella camera dove era ricoverato, ha spiegato la donna “entrò il fratello di Bruno e lui mi disse: “Questo è un omicidio“.
Insomma, la donna ha voluto spiegare di essere stata sin da subito ritenuta colpevole della malattia del marito da tutta la famiglia dell’uomo. E per quanto riguarda i soldi che il 16 gennaio furono prelevati dal conto cointestato e trasferiti, con assegni circolari, per una somma di circa 80mila euro, in un conto intestato solo a lei? La 62enne ha dato la sua versione: “Mio marito mi disse di prendere i soldi per provvedere al sostentamento di Claudia, nostra figlia. Io non conoscevo la legge italiana e poi su consiglio dell’avvocato Masci mi disse di spostare i soldi a un altro conto. Dopodiché uno dei figli mi ha stalkerato, minacciato e augurato il male”. È questo uno dei passaggi più duri, la donna ha iniziato a piangere ammettendo che “ero sicura che prendere i soldi non era contro la legge. L’avvocato Masci si è fatto pagare per quasi 5mila euro perché stava seguendo una pratica per una proprietà”.
Tuttavia, i figli dell’uomo non l’avrebbero mai creduta. “Mi hanno accusato che io non volevo bene a mio marito, che lo trascuravo, ma non è vero“.
Le domande del Procuratore De Falco, succssivamente, hanno messo in estrema difficoltà la donna, la quale ha dovuto ammettere di come il marito si curava con integratori, senza contare che nell’udienza odierna è spuntato un documento sanitario che la stessa donna non aveva mai dato al suo avvocato difensore.
Anche il dottor Raggi, quello della curcuma, disse ai coniugi di fare una biopsia ma non fu fatta. Quando, a Natale 2018, l’uomo ebbe il calo decisivo non si fece niente. “Nonostante le documentazioni mediche e i solleciti di accertamenti e biopsia perché non è stato fatto niente, perché solo a dicembre Vaccarini si è deciso a farsi la biopsia a dicembre e non per esempio mesi prima?”, incalza il pubblico ministero.
La donna è apparsa smarrita: “Forse non sentiva nessun sintomo prima, ma lui non voleva parlare della sua malattia“. Eppure, il pm De Falco le ha ricordato che lei aveva conoscenze infermieristiche, perché non gli impose le cure adeguate? Al che la donna ha ribadito: “Credo che volesse aspettare. Anche con Raggi abbiamo parlato dei dolori e infatti prescrisse antinfiammatori. Mio marito non si lamentava e poi si è lamentato con dolori fortissimi. È lui ad aver deciso di seguire la strada del dottor Raggi, io ho detto di fare accertamenti ma lui ha deciso così. Mio marito mi ha detto di non dire niente a nessuno“.
“Ma lei – ha scandito il pm De Falco – si è resa conto del rischio di morte?”. La donna ha cercato di rispondere, evidentemente provata da un esame che è durato più di tre ore: “Io speravo che lui si rendesse conto, non era compito mio dire ai figli della malattia non avendo io rapporti con loro. Lui ha deciso da solo. Non è vero che ho detto alla dottoressa Iorio dell’ospedale di Terracina che non era aggiornata con le cure a base di vitamina C, ma penso che lei ha capito male o forse non mi sono spiegata bene”.
E per quanto riguarda la querela che, praticamente in punto di morte, le recapitò il marito? La donna è stata lapidaria: “Si fece convincere dai figli“.
Il processo, rinviato al prossimo 10 giugno, è praticamente finito: nella prossima udienza il Procuratore De Falco chiederà la probabile pena per la donna e poi discuteranno le altri parti, quelle civili e la difesa della 62enne.
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