Omicidio a Terracina, ascoltati i consulenti medici della Procura e delle parti civili. Il processo riprenderà a gennaio
Alla base del processo che vede sul banco degli imputati la 61enne polacca Gabriela Blazewicz, difesa dall’avvocato Pietricola, l’omicidio doloso e colposo di Bruno Vaccarini. Contestato dalla Procura di Latina, rappresentata in aula dal Procuratore Capo, Giuseppe De Falco, anche il reato di maltrattamenti in famiglia.
La storia è quella della donna di origine polacca che è accusata di aver lasciato morire un uomo di Terracina con cui era sposata in seconde nozze, il 75enne Bruno Vaccarini. I fatti risalgono agli anni 2018 e 2019 quando, a marzo di quest’ultimo anno, l’uomo morì. L’uomo, malato di cancro ai polmoni e con un’aplasia alla prostata, era costretto ad andare avanti e indietro con l’Ifo, l’istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma. Purtroppo, Vaccarini ricorse alle cure specialistiche in ritardo: secondo l’accusa, la donna l’avrebbe lasciato morire e gli avrebbe anche sottratto diversi migliaia di euro dai suoi conti.
Nell’udienza dello scorso giugno, era già emerso di come l’uomo fosse stato curato a vitamina C e altre medicinali assolutamente inidonei a combattere il cancro ai polmoni di cui soffriva.
Ogg, 13 novembre, si è celebrata una nuova udienza davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Latina, presieduto dal giudice Gian Luca Soana – a latere il giudice Fabio Velardi – e alla giuria popolare che si riunisce nei casi che prevedono la contestazione dell’omicidio. In una udienza ancora precedente erano stati ascoltati i figli dell’uomo, tutti e tre costituitisi parti civili nel processo assistiti dagli avvocati Belardi, Lacerenza e Zempetta.
Sono stati ascoltati quattro consulenti medici: due della Procura di Latina e due delle parti civili. In un modo o nell’altro, tutti i testimoni hanno confermato che Vaccarini, curato a botte di curcuma, semi di lino e melatonina – oltreché, in una seconda fase, quando era ormai improbabile intervenire, a farmaci a base di oppiacei e cannabinoidi – avrebbe dovuto ricorrere a cure idonee e sopratutto avrebbe dovuto e potuto essere operato. Un tragico destino quello dell’uomo, anche confermato dal fatto che il pressappochismo nei suoi confronti è durato anche dopo la sua morte: basti pensare che il suo medico di famiglia, che nella scorsa udienza aveva negato di essere mai stata ascoltata a sommarie informazioni dalla polizia giudiziaria, oggi ha fato pervenire una nota, letta dal Procura Capo De Falco, in cui spiega che si era dimenticata la circostanza e che l’interrogatorio era avvenuto.
Chiare le testimonianze delle due consulenti della Procura: il medico legale Maria Cristina Setacci e il medico oncologo Francesca Calabretta. È accertato che all’uomo fu rilevata una massa tumorale al torace e al polmone destro. Da marzo a ottobre 2018 non c’è però nessun documento che attesti attività diagnostica medica. Il 24 ottobre 2018 il radiologo confermava che la massa era incrementata. Il problema è che l’uomo era in cura dal dottor Francesco Raggi di Terni e si recava da lui, a Rieti, per assumere sostanze come melatonina, curcuma e semi di lino, oppure medicinali come il kolibrì (a metà tra un oppiode e la tachipirina), che non erano assolutamente in grado di poter scalfire il cancro.
Un percorso sanitario che, secondo l’accusa, è stato voluto dalla sua ex compagna che per tale ragione è imputata per omicidio. Solo a gennaio 2019 Vaccarini, in seguito a un malore, viene prelevato dal 118 e i sanitari di Terracina parlano di paziente oncologico. Successivamente veniva ricoverato all’Ifo di Roma (Istituto Tumori Regina Elena), ma a febbraio le metastasi si erano propagate. Il 7 marzo 2019 Vaccarini morì e dall’esame autoptico si evinceva che il decesso era correlabile al cancro non oggetto di cure adeguate. Nessun tipo di terapia venne somministrata all’uomo, sostengono i consulenti, eppure entrambi i radiologi che eseguirono esami su di lui, nel corso del 2018, furono chiari, tanto che la loro diagnosi avrebbe potuta essere capita anche da persone non addette ai lavori.
Le prescrizioni del dottor Raggi, secondo i consulenti, non erano compatibili con il cancro: si trattava di analgesici che, come ha spiegato uno dei consulenti delle parti civili, al massimo sono utili per un percorso palliativo, ma mai curativo.
Se fosse stata fatta una corretta analisi istologica – ha spiegato il medico oncologo, consulente della Procura – Vaccarini avrebbe potuto avere una speranza di vita più lunga: “Ci sono evidenze scientifiche per cui pazienti operati al secondo stadio possono vivere, nel 60% dei casi, più a lungo, per 5 anni. Anche a ottobre 2018 (nda: a cinque mesi dalla morte avvenuta a marzo) poteva essere fatto qualcosa e anche qualche mese poteva fare la differenza”.
In sostanza, a marzo 2018, un anno prima, quando fu preso in cura in maniera non idonea, non si poteva dire che sarebbe morto di lì a breve: ecco perché, tolte le cure per così dire “creative”, anche oppiacei e cannabinoidi (che rendevano il paziente in uno stato di scarsa coscienza), trovati in grande misura nel suo corpo – come ha ribadito uno dei consulenti di parte civile, specializzato un materia tossicologica – non erano adeguati in quel momento quando il paziente doveva essere operato per dargli una speranza di vita piuttosto concreta, anche più lunga dei 5 anni e con una qualità migliore.
“Era un tumore operabile – ha spiegato uno dei consulenti di parte – e l’operazione era l’unica possibilità di sopravvivenza: la terapia chirurgica permette una svolta radicale possibile”. Ma a Vaccarini non è stata applicata nessuna terapia consona. Lo stesso trattamento chemio-teraupetico avrebbe garantito una vita migliore. E l’andare avanti e indietro tra Terracina e Rieti, per assumere sostanze senza costrutto medico, non faceva bene. Senza contare che non risulta ai consulenti di parte civile nessuna prescrizione firmata dal dottore Raggi che, peraltro, oggi, è la terza volta che non si reca in Tribunale come testimone. Ragione per cui, su richiesta del Pm De Falco, il Tribunale ha disposto l’accompagnamento coattivo e la multa di 400 euro.
Il processo ripartirà il prossimo anno quando saranno ascoltati i testimoni citati dalle parti civili e dalla difesa.