Rapisce “datore di lavoro” e lo sequestra: nel processo è stato ascoltato come testimone l’imputato Tommaso Anzaloni
È stato esaminato l’imputato del processo che vede contestato il sequestro di persona e l’estorsione aggravata dal metodo mafioso al 37enne Tommaso Anzaloni, originario del napoletano ma trapiantato a Nettuno.
L’uomo, di fianco agli avvocati difensori Luca Scipione e Stefano Alberti, ha scelto di essere interrogato, pur avendo la facoltà di non rispondere. Poco prima di lui, era finito l’esame di un ispettore di Polizia che aveva condotto le indagini.
Una vicenda violenta e inquietante che aveva avuto come teatro la città di Aprilia. L’arresto del 37enne Tommaso Anzaloni passò sotto traccia in provincia, eppure, ad agosto 2022, le Squadre Mobili di Roma e Latina, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia capitolina, avevano portato a termine il fermo dell’uomo in una vicenda dai contorni truculenti.
L’allarme alla Polizia lo diede una donna tra le lacrime avvertendo il 112 che un collaboratore della loro azienda era stato stato sequestrato. La vittima del sequestro di persona, secondo gli inquirenti, fu rilasciata dopo essere rimasta cinque ore in balia di Anzaloni. Non solo il sequestro ma anche le botte che avevano ridotto l’uomo in condizioni molto gravi. Il viso completamente tumefatto, la cui immagine sarebbe stata inviata da Anzaloni ai responsabili dell’azienda in cui lavorava per chiedere soldi in cambio del riscatto.
E dalle indagini è emerso che il sequestratore del manager lo aveva precedentemente minacciato di morte, con una serie di messaggi sul telefono: “Te devo spanza’, sei finito. Dietro de me c’è tutta la scissione di Napoli, ricorda che dietro di me ce ne stanno duemila”. Un rimando alle guerre di camorra tra “ufficiali” e scissionisti.
Il movente del pestaggio e del sequestro, secondo gli atti d’indagine, andrebbe ricercato in alcuni lavori di ristrutturazione di un villino ad Anzio, in via Giusti, per cui era previsto il superbonus 110, che erano stati affidati ad Anzaloni, titolare di una ditta individuale di ristrutturazioni edili e che a suo dire non era stato pagato. I fatti sono avvenuti tra Roma, Aprilia, Latina e Nettuno.
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Il processo, dapprincipio, fu rinviato perché era assente la parte offesa, ossia il manager rapito, Marcello Nuti, a cui non era stato notificato il rinvio a giudizio immediato di Anzaloni. Lo scorso 14 marzo, però, nel corso di una nuova udienza in Corte d’Assise – presieduta, come oggi, dal giudice Gian Luca Soana (a latere il giudice Paolo Romanin e la giuria popolare) – si era scoperto che il 20 gennaio 2023 la vittima e parte offesa, Marcello Nuti, non avrebbe mai potuto essere presente . Il motivo è quello più definitivo: Nuti, secondo quanto accertato dai Carabinieri di Aprilia, è deceduto il 13 gennaio 2023.
Il processo è ovviamente andato avanti, con un particolare non proprio marginale. La Corte d’Assise ha dichiarato aperto il dibattimento e in aula sono sfilati i vari testimoni che hanno ricostruito sino ad ora una storia agghiacciante tra lavoro nero, mal pagato e infine il culmine di un sequestro di persona.
Oggi, però, davanti al Pm della Procura di Roma, Luigia Spinelli, che lo interrogava, Anzaloni ha provato a minimizzare la portata della violenza sostenendo di aver tirato solo una gomitata a Nuti. E per quanto riguarda le minacce, con i rimandi alla camorra, l’imputato ha sostenuto di aver detto quelle frasi in un impeto di rabbia.
“Ero titolare di una ditta che vendeva auto usate a Nettuno – ha spiegato Anzaloni davanti alla Corte d’Assise – poi, nel 2020, durante la pandemia, tramite un amico ho iniziato a fare lavori edili perché sin da piccolo ero abituato a fare quello e ho anche lavorato saltuariamente come operaio, sempre in nero…Nell’agosto 2020 conobbi Marcello Nuti perché io mi diletto con il canto e lui era presentatore di una serata a Fossignano (nda: Aprilia). Ci mise in contatto una persona in comune, il presidente di Fenalc, Alberto Spelda. Nuti aveva bisogno di lavori e io andai”.
Nuti, all’epoca, era un collaboratore della ditta Mkg srl di Roma impegnata nel campo edilizio. Anzaloni ha spiegato come e perché aveva lavorato per loro, pur non risultando mai. “Nuti mi chiamava per fare lavori e mi diceva che tramite la sua società avrei potuto lavorare sfruttando l’ecobonus, sempre a nero perché io avevo una ditta individuale che non poteva fare quel tipo di lavori: serviva una società. Allora mi dissero lui e i suoi tre soci: io mi prendo in carico i tuoi operai e così lavori per noi”.
Praticamente, la società assumeva gli operai ma a pagarli era sempre Anzaloni, almeno da quanto riferito da lui stesso in aula: “Davo ai tre operi 370 euro a settimana ciascuno”. Lavori che vennero fatti a Centocelle, nel centro di Roma e infine anche ad Anzio.
Furono proprio i lavori ad Anzio a scatenare il sequestro di persona. “Dissi a Marcello e agli altri soci che per i lavori avrei dovuto avere 11.500 euro. A metà lavoro mi avevano detto che mi avrebbero dato la metà, a chiusura il saldo finale”. Al che, dopo aver finito il cappotto termico, Anzaloni avrebbe chiamato per farsi dare la metà dei soldi che avrebbe dovuto avere. “Mi dissero: facci fattura di 3mila euro…poi però, quando eravamo arrivati quasi alla fine dei lavori, mi dissero di bloccarli”.
Al che Anzaloni, contrariato da quanto gli era stato detto, emise la fattura per 3000 euro, e iniziò a chiedere i soldi anche se “loro mi dicevano di aspettare, mi dicevano sempre ti faccio il pagamento ma c’era sempre un problema: una volta il nome sbagliato, una volta l’iban del postepay, una volta persino avevano sbagliato persona e mi dissero che dovevano riprendere i soldi indietro. Per quei lavori io non ho più ricevuto i soldi che mi dovevano“.
È così che la mattina del 9 maggio, Anzaloni va a prendere Marcello Nuti per andare a Roma e riscuotere i soldi (in tutto oltre 20mila euro per i lavori di Anzio e altri eseguiti a Roma). In auto Anzaloni, ormai non più fiducioso, costringe Nuti a chiamare in viva-voce i soci della Mkg srl. “Non sapendo che stavo ascoltando, sentii che dicevano a Marcello che non doveva portarmi assolutamente a Roma. Capii che era una presa in giro ed è lì che io gli ho tirato una gomitata, lo so non dovevo farlo. Ma io non sono mai stato pagato e ho finito i soldi per pagare gli operai, ho venduto la macchina, la mia ex moglie voleva denunciarmi perché non pagavo le spese per i miei tre figli. Ero disperato“.
Il Pm Spinelli ha contestato ad Anzaloni di aver ricevuto un bonifico il 6 maggio. Circostanza negata dall’imputato che ha proseguito con il racconto: “La mattina del 9 maggio (nda: 2022), dopo aver preso a parolacce per telefono uno dei soci della Mkg, sono andato ad Aprilia a prendere Nuti e dopo la gomitata, siamo rimasti insieme, abbiamo anche mangiato al Burger King. Poi l’ho portato da uno dei tre operai che mi aveva minacciato di denunciarmi perché non lo pagavo, proprio per fargli capire la situazione. Marcello venne con me e disse all’operaio che non era colpa mia se non veniva pagato.”. Una circostanza contestata dal Pm Spinelli in quanto, secondo le intercettazioni captate dagli investigatori, quella della minaccia di denuncia sarebbe stata in realtà una messa in scena pattuita tra Anzaloni e l’operaio. Contestata inoltre anche la circostanza per cui Nuti sarebbe venuto di sua sponte con Anzaloni: in una delle intercettazioni, Nuti diceva ai soci di essere stato lasciato solo con “uno fuori de capoccia”. Insomma, era terrorizzato dopo le cinque ore passate insieme ad Anzaloni.
“Nuti – ha continuato Anzaloni in aula – diede all’operaio 250 euro, di cui 100 li trattenni io perché dovevamo aspettare ancora il bonifico da parte della società”. Eppure la gomitata non viene negata da Anzaloni tanto che ammette che lo stesso operaio, quando vide Nuti, si preoccupò vedendo l’ecchimosi sul sopracciglio.
“Con Nuti siamo stati dalle 11,30 alle 16, ma è Nuti stesso che mi diceva di aspettare perché doveva arrivare il bonifico. Io dovevo avere 20400 per lavori ad Anzio, Magliana e casa a Roma. Ho sempre lavorato a nero e non ho mai avuto niente di giustificabile, quindi per me la parola contava. E poi – rivolto all’avvocato difensore che lo ha interrogato dopo la fine dell’esame svolto dal Pm Spinelli – se io c’avevo i soldi non stavamo qua...Quattro volte mi hanno detto di aver fatto il bonifico ma non era vero”.
Dopo aver dato i soldi all’operaio, Anzaloni e Nuti si recano a uno sportello di una banca. Lì Nuti preleva circa 900 euro, soldi che però, dice Anzaloni, non prende perché era creditore di molti più denari.
Finito l’esame dell’imputato per un processo dove la parte offesa non può più parlare, la Corte d’Assise ha rinviato alla prossima udienza di ottobre quando saranno ascoltati cinque testimoni della difesa così da chiudere l’istruttoria.