Ingiusta detenzione, la Cassazione accoglie il ricorso presentato da uno dei personaggi coinvolti nel noto processo Don’t Touch
Tutti i maggiori imputati del processo “Don’t touch” sono stati condannati con sentenza passata in giudicato: da Gianluca Tuma a Costantino “Cha Cha” Di Silvio fino ai fratelli Angelo e Salvatore Travali. Per questi ultimi tre l’associazione per delinquere. Una inchiesta e un processo spartiacque nella lotta al crimine pontino che diede poi la stura ad altri procedimenti, fino alla collaborazione con lo Stato dei primi “pentiti” pontini.
In quel processo, alla fine dei tre gradi di giudizio, uscirono intonsi il poliziotto, all’epoca dei fatti (si era negli anni di Maiettopoli a Latina, tra il 2013 e il 2014), Carlo Ninnolino, e Riccardo Pasini, latinense anche lui e accusato di aver fatto da tramite tra l’agente di polizia e il clan Travali.
Entrambi – sia Ninnolino che Pasini – furono arrestati ad ottobre 2015 in ragione dell’ordinanza di custodia cautelare scaturita dall’inchiesta denominata “Don’t Touch”. Ed entrambi, una volta assolti, hanno chiesto la riparazione economica per ingiusta detenzione. A margine, entrambi sono tuttora coinvolti nel maxi processo “Reset”, il proseguo giudiziario di “Don’t Touch”, alla luce delle dichiarazioni degli ex affiliati Renato Pugliese e Agostino Riccardo. Ma questa è un’altra storia, nonostante le accuse siano affini: l’uno, Ninnolino, la “talpa”; l’altro, Pasini, il tramite con il clan.
Tornando a “Don’t touch” e alla richiesta per l’ingiusta detenzione, a ottobre scorso, l’assistente capo della Polizia di Stato, Carlo Ninnolino, per anni in servizio alla Questura di Latina, si è visto respingere dalla Corte di Cassazione la richiesta di liquidazione dell’equa riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione a misura cautelare. Il motivo? La frequentazione con Riccardo Pasini: sia per la Corte d’Appello che per la Corte di Cassazione, la frequentazione tra Pasini e Ninnolino è dirimente per negare a quest’ultimo l’ingiusta detenzione.
Il ricorrente Ninnolino documentava che questo dato era stato ritenuto non provato nel giudizio di merito perché Pasini è stato assolto con sentenza definitiva dall’accusa di aver rivelato segreti d’ufficio; eppure “nell’economia del provvedimento impugnato, questo fatto non ha particolare rilevanza: la condotta colposa ascritta a Ninnolino, infatti, non è la rivelazione di segreti (che quand’anche avvenuta non sarebbe ascrivibile a lui), bensì la frequentazione con Pasini“.
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Un giudizio nettom espresso dalla Suprema Corte la quale, invece, per il ricorso presentato da Pasini, tramite il suo avvocato Gaetano Marino, emette un verdetto di segno opposto. Se Pasini è la causa della mancata riparazione del danno per Ninnolino, lo stesso Pasini presenta il ricorso contro il diniego alla sua di ingiusta detenzione e la Cassazione glielo accoglie.
Il ricorso in Cassazione Pasini lo presenta contro l’ordinanza della Corte d’Appello, datata aprile 2022, che aveva rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione. Pasini fu ristretto in carcere, a causa dell’ordinanza “Don’t Touch”, dal 12 ottobre 2015 al 25 marzo 2016, e poi ai domiciliari fino al 12 luglio 2016. Alla fine, verrà assolto definitivamente dall’accusa di associazione per delinquere e concorso in rivelazione di segreto d’ufficio a marzo 2020.
Ora, la Cassazione, con sentenza disposta a marzo scorso, accoglie il suo ricorso giudicandolo fondato. Per lui, gli ermellini non ritengono illecite le frequentazioni con Marco Pugliese e Francesco Viola, quest’ultimo personaggio di livello nei quadri del clan Travali. Non è per di più causa di negazione della riparazione del danno l’aver esercitato il diritto al silenzio: Pasini infatti non indicò mai, secondo la Corte d’Appello che ha respinto la sua richiesta di riparazione, la vera “talpa” all’interno della Questura che gli avrebbe dato le informazioni.
Inoltre, la Corte d’Appello, secondo la Cassazione, non ha giustificato per quali ragioni le dichiarazioni spontanee rese da Pasini sarebbero non vere. Tradotto: Pasini non ha collaborato, ma questo non è un motivo per vedersi negare una riparazione del danno. O meglio, sarà di nuovo la Corte d’Appello, alla quale la Cassazione rinvia per un nuovo esame, a giudicare di nuovo Pasini e sul suo diritto ad essere risarcito dallo Stato per la detenzione durata circa 9 mesi.