Sorpreso con la marijuana, un 38enne nato a Formia è stato assolto dalla Corte di Cassazione: il ricorso è fondato
Era stato arrestato nel 2015 dai Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile di Sessa Aurunca il 38enne Mirko Migliozzi, nato a Formia ma residente nelle suddetta cittadina campana.
I militari dell’Arma avevano rinvenuto nella sua disponibilità, occultata in una cassaforte, una bustina di cellophane contenente 14 grammi di marijuana e sei grammi di hashish, nonché, sul balcone di casa, un involucro contenente 825 semi di cannabis e 3 piante di marijuana dell’altezza di 1,70 metro per un peso complessivo di un chilo e duecento grammi.
Processato, il 38enne era stato condannato in primo grado, ma la la Corte di appello di Napoli aveva riformato parzialmente la sentenza di primo grado, assolvendo l’imputato dal reato di detenzione di sostanze stupefacenti e riconoscendone la destinazione all’uso personale, mentre aveva confermato la condanna per la coltivazione delle tre piante di cannabis e per la detenzione di semi della medesima pianta.
Migliozzi, tramite il suo legale, è ricorso in Cassazione e i giudici della Suprema Corte hanno giudicato fondata l’istanza anche perché, come ricorda la sentenza per il 38enne, il reato di coltivazione di piante dalle quali è possibile trarre sostanze stupefacenti è stato oggetto di contrasto nella giurisprudenza, tant’è che le Sezioni unite della medesima Cassazione sono state chiamate più volte a pronunciarsi su tale fattispecie.
Infatti, secondo gli ermellini “non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto”.
I giudici di Cassazione nel caso del ricorrente hanno ritenuto “l’inoffensività della condotta” poiché il ricorrente è stato considerato “un assuntore abituale”. Ecco perché non sono risultati “elementi idonei a ritenere la destinazione alla cessione a terzi”, la coltivazione comprendeva un numero limitato di piante e portata avanti “senza l’adozione di alcuna particolare tecnica atta ad ottenere un quantitativo apprezzabile di stupefacente”.
La Cassazione, quindi, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata “perché il fatto non sussiste”.