RICICLAGGIO DI CIOCCOLATA: DIVENTA DEFINITIVA LA CONDANNA PER L’IMPRENDITORE SETINO

Corte di Cassazione, Roma
Corte di Cassazione, Roma

Riciclaggio di cioccolata Lindt, diventa definitiva la condanna a 4 anni di reclusione per l’imprenditore di Sezze

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imprenditore setino Domenico Pappacena che nel 2014 fu coinvolto in questa storia di riciclaggio di cioccolato. Una vicenda che finì anche nelle pieghe di un’altra indagine, per cui Pappacena è estraneo, che coinvolgeva i Crupi, la famiglia trapiantata a Latina, considerata dalla magistratura vicina alla ‘ndrangheta dei Commisso.

La Corte di appello di Roma, con sentenza del 17 marzo scorso, aveva confermato la condanna pronunciata dal Tribunale di Latina, in data 9 gennaio 2019, nei confronti di Pappacena per il reato di riciclaggio.

Le indagini, iniziate nel 2014, avevano fatto emergere un furto di 250 tonnellate di cioccolato, del valore di 7 milioni e mezzo di euro, ai danni della nota azienda dolciaria Lindt. Dopo l’arresto, avvenuto ad Aprilia, di Massimo Zibra – amministratore della società di Lodi, Inge.Ma Trading, che si occupava di stoccaggio per prodotti Lindt, per poi rifornire i mercati esteri – i Carabinieri arrivarono fino a Latina.

Infatti, nel corso delle indagini, furono accertati gli acquirenti del cioccolato rubato: 160 tonnellate di praline trafugate al Nord, destinate ai mercati italiano e olandese. Alla fine, i militari dell’Arma risalirono al deposito di Sezze Scalo, in via Fontana Acquaviva, dove furono recuperati 20 tonnellate di cioccolato. È così che fu coinvolto Pappacena il quale spiegò di aver affittato due celle frigorifere dalla “Frigoconservazione” a suo nome, tramite la “PF Frutta”, società della figlia. Secondo Pappacena, la sua era un’opera di intermediazione chiestagli da un cliente.

L’accusa nei confronti era quella di aver riciclato merce per 4 milioni e mezzo di euro.

Ora, dopo la doppia pronuncia di merito che lo ha condannato a 4 anni, la Cassazione, respingendo il suo ricorso, ha reso definitiva la pena. Infatti, secondo gli ermellini, la Corte di Appello aveva sottolineato come dall’istruttoria emergesse il ruolo centrale dell’imputato nella locazione delle celle dove stoccare la merce e nell’organizzazione del successivo trasferimento della stessa (destinata a mercati esteri e italiani), “così da rendere evidente la sua piena consapevolezza di ostacolare, con la propria condotta, l’accertamento della provenienza furtiva”.

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