Stabilimento balneare in fiamme a Sabaudia: arrestati dai Carabinieri i mandanti e gli esecutori. Ai domiciliari madre e figlia. Alla base della vicenda, due balneari confinanti e operanti sul remunerativo litorale di Sabaudia che, dopo anni di contenziosi civili, sarebbero arrivati alla resa dei conti
Se a febbraio, Sabaudia si era risvegliata con la maxi-inchiesta denominata “Dune” del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Latina che ha terremotato l’allora amministrazione Gervasi, anche oggi i militari dell’Arma hanno eseguito un’altra operazione che ha a che vedere con le concessioni balneari e l’ambita gestione della “tintarella” al mare sul lungomare di Sabaudia. A febbraio, è emersa (ma sarà il processo in corso a stabilirlo) un’amministrazione che per andare dietro ai balneari e al loro consenso aveva chiuso più di un occhio su canoni e qualche abuso, e per tale ragione è caduta; a ottobre la pur più piccola, per dimensioni, inchiesta dei Carabinieri fa di nuovo emergere gli interessi che si muovono sul litorale di Sabaudia e che portano, come in questa vicenda, addirittura a un attentato incendiario che carbonizza uno stabilimento. Non è una ritorsione mafiosa, ma la violenza è la stessa.
Era lo scorso 6 gennaio quando, dopo l’una della notte, il personale operativo dei Vigili del Fuoco del Comando di Latina aveva dovuto intervenire sul lungomare di Sabaudia per un incendio di una struttura in legno. Sul lungomare, la squadra dei Vigili del Fuoco di Terracina spense l’incendio che interessò il chiosco in legno, sulla spiaggia, adibito a stabilimento balneare. A dare l’allarme una guardia giurata della società “The Guardians”.
Si trattava del noto locale “Duna 31.5” – riconducibile alla società Capitanucci srl, amministrata da una delle tre sorelle che gestiscono il chiosco/stabilimento -, molto frequentato d’estate anche dai cosiddetti vip: la struttura, con un basamento di circa 200 metri quadri, e con due strutture al di sopra di circa 40 metri quadri ognuna, era completamente avvolta dalle fiamme e fu carbonizzata.
A distanza di 10 mesi, i Carabinieri della Stazione di Sabaudia, coordinati nelle indagini dal Procuratore Aggiunto di Latina Carlo Lasperanza e dal sostituto Daria Monsurrò, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di coloro che per gli inquirenti sono i mandati dell’incendio e gli esecutori i quali, per circa 500 euro, hanno consumato la ritorsione. Si tratta di Mirella D’Indio, 67 anni, di San Felice Circeo, e la figlia Tatiana Rizzi, 34 anni, anche lei di San Felice Circeo: madre e figlia sono finite ai domiciliari per aver dato mandato a due giovani del luogo di presentare il “conto” ai rivali balneari confinanti con la loro attività fino al 2018.
In carcere, invece, i due esecutori, definiti dal Gip “pericolosi”, che per una cifra irrisoria avrebbero bruciato con la benzina un intero stabilimento: si tratta di Valerio Toselli e Simone Petrucci, entrambi di Sabaudia, rispettivamente di 30 e 32 anni. La Procura contesta a tutti e quattro il reato di aver cagionato l’incendio.
Il movente, secondo chi ha svolto le indagini, è da ricercare in vecchie acredini tra le donne: da una parte la madre D’Indio e la figlia Rizzi, impegnate all’epoca degli screzi nell’attività di noleggio sul lungomare pontino e interessate, in passato, alla concessione demaniale, aggiudicata invece alle cosiddette rivali; dall’altro le sorelle della Capitanucci Srl, risultate vincitrici della procedura di gara per l’aggiudicazione della concessione contesa e gestori del “Duna 31.5”. È lo stesso Gip Castriota, che firma l’ordinanza, ad annotare che nelle varie telefonate intercettate dai Carabinieri non si fa menzione del movente ma “appare evidente che si tratta esclusivamente di una forma di gelosia, tra donne, dovuta a interessi economici“.
Né madre né figlia hanno un profilo criminale eppure, secondo gli inquirenti, avrebbero assoldato per l’attentato incendiario – una sorta di ripicca -, dimostrando “totale spregiudicatezza”, due giovani, per l’appunto Toselli e Petrucci, considerati di elevata pericolosità sociale. Toselli viene definito “notevolmente pericoloso” non solo per l’atto consumato ma “per lo smodato uso di droga e alcol”; Petrucci avrebbe invece precedenti di polizia. Entrami, ad ogni modo, sono pericolosi, secondo gli inquirenti, soprattutto per aver accettato di bruciare, distruggendolo, uno stabilimento vieppiù in cambio di una “modica cifra”, il che dimostrerebbe l’assoluta e spregiudicata capacità nel delinquere anche a basso ingaggio.
Già nell’immediatezza dei fatti, i militari, intervenuti sul posto, hanno avviato le indagini raccogliendo ogni elemento utile senza tralasciare alcuna ipotesi investigativa. Dopo aver appurato che anche l’impianto di allarme e videosorveglianza era andato distrutto nel corso dell’incendio, gli accertamenti si sono concentrati in un approfondito controllo dell’area interessata e dell’area limitrofa all’incendio, dove è stata infatti rinvenuta una bottiglia di plastica contenente dei residui di liquido infiammabile (più che probabile benzina). Considerato il ritrovamento della bottiglia, la notte dell’incendio, spento a fatica dai Vigili del Fuoco di Terracina, i Carabinieri hanno immediatamente iniziato a indagare, escutendo diverse persone, tra cui i titolari dello stabilimento incendiato e i titolari degli stabilimenti e chioschi limitrofi.
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I sospetti dei militari dell’Arma avrebbe permesso di appurare infatti come l’incendio sia effettivamente stato commissionato dai titolari di una concessione per noleggio di sdraio e ombrelloni cessata a seguito di ripetute violazioni accertate dai Carabinieri Forestali del Parco di Fogliano e recentemente riaperta in altra località del lungomare sabaudo, e che avrebbe già avuto diversi screzi con i titolari dello stabilimento incendiato.
Secondo i Carabinieri e le intercettazioni captate da due persone legate alla vicenda (ma non indagate), il mandante dell’incendio allo stabilimento “Duna 31.5” è riconducibile a una delle due donne della famiglia Rizzi (così come si chiama una degli indagati), ossia i concessionari di un noleggio sul litorale – denominato “L’Ultima Spiaggia” – che per diversi anni hanno operato nei confini dello stabilimento balneare che si trova vicino allo stabilimento incendiato.
Dietro a questa vicenda, sicuramente inquietante, proprio perché vede come protagonisti persone assolutamente estranee a un passato criminale, c’è infatti un contenzioso civile (compreso di cause amministrative al Tar e al Consiglio di Stato) nato da quanto la società Capitanucci è risultata vincitrice delle concessione demaniale per lo stabilimento nell’ambito della procedura di gara indetta dal Comune di Sabaudia addirittura nel lontano 2003.
In realtà alla Capitanucci la concessione fu assegnata nel 2012, nel frattempo le vicissitudini del contenzioso tra i vari contendenti dell’aggiudicazione che si erano visti sopravanzare. Tra di loro, per l’appunto, anche la famiglia Rizzi. Quest’ultimi hanno operato come noleggiatori di lettini e ombrelloni, tramite il chiosco “L’Ultima Spiaggia”, fino al 2018, ossia sino a quando non ricevettero i controlli dei Carabinieri Forestali e il conseguente decreto di sequestro disposto dalla Procura di Latina per alcune irregolarità di gestione del tratto d’arenile.
Ben prima, alla fine di un rimpallo di giudizi amministrativi, il Consiglio di Stato aveva già stabilito, nel 2009, che la società Capitanucci poteva operare sul tratto vinto in concessione, estromettendo di fatto i Rizzi i quali sono stati costretti ad aprire una nuova attività, “Ecotour di Rizzi”, molto distante dal tratto confinante con i concessionari vincitori, ossia i Capitanucci e il loro “Duna 31.5”.
Tuttavia, come annota l’ordinanza del Gip, è nel periodo che intercorre fino al 2018 che i Rizzi (il padre di famiglia è totalmente estraneo all’indagine) e Capitanucci, balneari confinanti, si danno una guerra a carte bollate con tanto di querele e contro-querele. Quelle liti che, secondo gli inquirenti, sono al fondo del culmine raggiunto alla Befana 2022.
Successivamente, le ulteriori indagini dei Carabinieri hanno permesso di individuare in un giovane locale, Toselli, l’autore dell’incendio che, insieme a un altro giovane del luogo, Petrucci, per 500 euro, avrebbero materialmente dato fuoco allo stabilimento, per poi allontanarsi mentre lo stesso bruciava.
I giovani, Toselli e Petrucci, sono definiti da due persone intercettate come “due coglioni” che avevano accettato di appiccare le fiamme. Gli stessi due interlocutori riportano in una conversazione intercettata dagli investigatori che una delle due donne, oggi arrestate, avrebbe cercato il contatto prima con un altro soggetto per il “lavoretto”, per poi trovare i due giovani trentenni.
Toselli e Petrucci, peraltro, nel corso di altre intercettazioni, arrivano a litigare, arrivando persino a minacciarsi di more (“ti taglio la lingua con le forbici”), perché il primo imputa all’altro di aver divulgato a terzi la storia dell’incendio di cui sarebbero gli esecutori materiali. A inchiodare i due, sarebbero diverse intercettazioni in una delle quali, ad esempio, Petrucci dice alla sua ragazza: “La rischio brutto, la rischio tre, quattro, cinque anni dentro, cinque anni l’incendio è colposo (nda: intendendo non nel senso giuridico, ma perché la colpa è attribuibile a lui)”. Inoltre, Petrucci farebbe riferimento anche ai soldi che ancora gli dovrebbe dare Tatiana Rizzi, una delle due mandanti dell’incendio ai danni del “Duna”.
Ad ogni modo, stamani, 10 ottobre, le donne ritenute mandanti del reato, espletate le formalità di rito, sono state tradotte presso la propria abitazione, in regime degli arresti domiciliari, mentre gli esecutori materiali del delitto sono stati tradotti in carcere, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria di Latina.
“Esprimo – ha dichiarato in una nota diffusa agli organi d’informazione il Sindaco di Sabaudia Alberto Mosca – il più vivo compiacimento ai Carabinieri della locale Stazione che, anche in questa circostanza, hanno evidenziato elevata competenza professionale e non comune capacità investigativa. Il Comune di Sabaudia procederà a verificare se tra i quattro arrestati figurano persone, a vario titolo, titolari di concessioni demaniali”.