Golf Club di Aprilia: saranno giudicati con rito ordinario i due uomini che, secondo gli inquirenti, hanno fatto parte della banda che sequestrò i coniugi Paolo Lanza e Marina Tugnoli
Fa fatica a prendere il via il processo che si tiene davanti al II collegio del Tribunale di Latina, composto dalla terna di giudici Coculo-Nadile-Villani, e che vede alla sbarra due degli appartenenti al gruppo che, secondo le indagini dei Carabinieri del Reparto Territoriale di Aprilia, hanno sequestrato nella loro proprietà, i coniugi Lanza. Anche oggi, 14 maggio, il processo è stato rinviato poiché il perito trascrittore che deve tradurre le intercettazioni dal cingalese all’italiano ha rinunciato all’incarico. Il Tribunale di Latina ha disposto quindi la nomina di un nuovo perito che verrà individuato nella prossima udienza del 5 luglio.
Sul banco degli imputati ci sono il 36enne dello Sri Lanka, Dinusha Kasun Mihindukulasuriya, e il 39enne Cemp Debarre, di Bologna, il quale risulta detenuto. A sostenere l’accusa il pubblico ministero Giuseppe Miliano.
A marzo dell’anno scorso, davanti all’allora giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Mario La Rosa, dovevano rispondere di rapina e sequestro di persona tre dei coinvolti nell’operazione denominata “Oasi” che, nel novembre 2021, portò a sei arresti, compresi i due imputati odierni che hanno scelto di essere giudicati col rito ordinario. Si tratta di Romolo Esposito, 71 anni, residente a Vetralla, il nipote Argentino Esposito, 37 anni, residente anche lui a Vetralla, e Redzep Bajrami, 35 anni, originario della Macedonia, residente a Montefiascone.
Tutti e tre furono condannati col rito abbreviato: 5 anni per Romolo Esposito, 4 anni e 5 mesi per il nipote Argentino Esposito; infine, 4 anni e 5 mesi per Renzep Bajrami. Il Pubblico Ministero aveva chiesto per il primo 7 anni, per il secondo 4 anni e 6 mesi, per il terzo 6 anni.
L’operazione “Oasi” fu eseguita, come detto, a novembre 2021,, tra Vetralla (Viterbo), Montefiascone (Viterbo), Bologna, Acilia (Roma) e Fiumicino dai Carabinieri del Reparto Territoriale di Aprilia. Gravi i reati contestati dagli inquirenti: rapina in abitazione in concorso, sequestro di persona aggravato e danneggiamento seguito da incendio, consumato nei confronti dei proprietari del Golf Club di Aprilia nell’estate del 2020: la famiglia Lanza, ossia i coniugi Paolo Lanza e Marina Tugnoli. Entrambe persone offese, oggi erano assenti.
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L’indagine aveva consentito – come si leggeva in una nota dei Carabinieri – la disarticolazione di un sodalizio criminale specializzato nella consumazione di “rapine in villa”, la cui efferatezza aveva terrorizzato, in particolar modo, i proprietari del club.
A luglio 2020, il proprietario della villa ad Aprilia (in località Campo di Carne, via della Cogna), Paolo Lanza aveva denunciato ai Carabinieri del locale Reparto territoriale che, alle 22.30 dell’11 luglio 2020, cinque persone travisate ed armate di coltelli si erano introdotte all’interno della sua abitazione e, dopo averlo legato assieme alla consorte Marina e al domestico, si erano impossessate di una pistola cal. 9×21, di una carabina cal.12, di due autovetture di sua proprietà (una Mercedes Clk e una Fiat Doblò) e delle chiavi dell’abitazione romana ubicata ai Parioli, dove i rapinatori si erano successivamente recati, lasciando uno dei cinque malviventi ad Aprilia per fare il palo e asportando dalla casa 7.000 euro in contanti.
A marzo 2021, un fatto inquietante. Durante una perquisizione dei militari dell’Arma presso l’Oasi Golf Club, nel corso della quale furono trovati armi e droga, il domestico 33enne, rapito anche lui insieme ai Lanza nel luglio 2020, si uccise sparandosi un colpo di pistola in testa. Non era mai stato accertato il nesso tra rapina e suicidio del domestico originario dello Sri Lanka. La notte della rapina, come raccontò Marina Lanza, l’uomo fu picchiato barbaramente dai rapinatori. Successivamente, dagli arresti eseguiti dai militari di Aprilia, si era evinto che uno degli accusati – l’imputato odierno Dinusha Kasun Mihindukulasuriya – era della stessa nazionalità del domestico e che fungeva da basista per la banda. Secondo le ipotesi investigative, il connazionale si era suicidato una volta che si era visto incastrato dalle indagini serrate dei Carabinieri i quali, per di più, trovarono nella sua disponibilità droga e armi.
È probabile, secondo gli inquirenti, che il suicida fosse d’accordo con la banda. Il processo col rito ordinario è destinato a chiarire questo aspetto.
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