Pedopornografia violenza sessuale su minore, chiusa l’inchiesta da parte della Procura di Latina: fissata la data del processo
È stato fissato il prossimo 16 aprile, a Latina, dinanzi al primo collegio del Tribunale di Latina, il processo che vede imputati per violenza sessuale aggravata dalla minore età della vittima a carico della caposala dell’ospedale Goretti di Latina e dei coniugi di Velletri. La Procura di Latina ha chiuso l’inchiesta e tra le contestazioni vi è anche quella di aver drogato il minore prima di costringerlo a fare i video pedopornografici che la caposala si scambiava con con la coppia di Velletri. Secondo l’accusa, peraltro, la donna, infermiera al Goretti, sarebbe stata indotta e istigata dall’uomo di Velletri con cui aveva una relazione.
Si tratta, come noto, di un uomo di 36 anni di Velletri, di sua moglie – una trentenne anche lei di Velletri –, difesi dall’avvocato Alessandro Aielli, nonché di una donna di 43 anni di Latina, caposala sospesa all’ospedale Santa Maria Goretti di Latina, difesa dall’avvocato Renato Archidiacono.
Le indagini, avviate nel mese di marzo scorso, sono state coordinate dal Procuratore Capo di Latina, Luigia Spinelli e dal sostituto procuratore Marina Marra che, sulla scorta degli espliciti elementi di prova rilevati nei device degli indagati, richiedevano tempestivamente, al fine di interrompere al più presto l’attività criminosa, l’emissione di ordinanza di custodia cautelare al giudice per le indagini preliminari Laura Morselli la quale emetteva l’ordinanza che è stata eseguita a vista.
Una vicenda orribile tanto che la caposala, stimata da tutti nel reparto, sarebbe cambiata nell’ultimo periodo: non più lucida, tanto che sarebbe stato l’ospedale a segnalare la vicenda all’autorità inquirente, ma solo per un caso di maltrattamenti. Negli ambienti dell’ospedale la vicenda ha destato un vero e proprio choc. La donna coinvolta, nell’ultimo periodo, aveva cambiato atteggiamento e condotte sul lavoro: dimenticanze, cambi d’umore, assenza, dimagrimento e soprattutto segni di sofferenza sul viso. Tutti elementi che hanno fatto capire a chi la circondava che qualcosa di grave nella sua vita fosse accaduto.
Il materiale pedopornografico (foto e video), peraltro, o almeno parte di esso, sarebbe stato autoprodotto dagli indagati, tutti incensurati e insospettabili. È questa l’ipotesi agghiacciante degli investigatori che hanno perquisito anche l’armadietto e l’ufficio della caposala la quale, una volta separatasi dal marito, aveva iniziato a frequentare il compagno amante, geometra dipendente di una ditta esterna che si occupa di pulizie e manutenzione presso l’ospedale civile.
Dopo il primo arresto, tutti e tre gli indagati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. A differenza della caposala, i due coniugi hanno avanzato ricorso al Riesame che ha confermato le misure cautelari. Le motivazioni alla base della decisione del Riesame che aveva respinto i ricorsi dei due coniugi sono afferenti al pericolo di reiterazione del reato da parte del 36enne in quanto le condotte contestate sarebbe state continuate. Una decisione che ha fatto sì che fosse respinta la richiesta di sostituzione di misura cautelare in carcere con quella meno afflittiva dei domiciliari. La coppia ha fatto ricorso in Cassazione in merito al primo arresto e anche questo è stato respinto.
A ottobre scorso, è stata eseguita un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere. Le ulteriori ordinanze cautelari in carcere aggravano la posizione dei tre indagati, in quanto la Procura di Roma, competente per materia (in quanto la vittima è un minorenne di 14 anni), contesta loro pedopornografia e violenza sessuale aggravata dalla minore età della vittima.
