“Sono stati appena resi noti i risultati elettorali che hanno portato Silvia Carocci alla vittoria come nuova Sindaca di Artena, che sulla sua scrivania piomba la sentenza del Consiglio di Stato sulla Fassa Bartolo.
A gennaio, quando si era tenuta l’ultima udienza, lei sedeva tra i banchi dell’opposizione, ma il seggio che si occupa in Consiglio comunale cambia le responsabilità e oggi la Sindaca prende posizione politica con un comunicato stampa, che dovrà reggere alla prova dei fatti.
Il Consiglio di Stato ha dato ragione a Fassa Bortolo, Regione Lazio e Comune di Artena, respingendo le pretese del Comitato residenti Colleferro, Comitato Cittadini di Giulianello, Comitato Carventum, Cittadini di Rocca Massima e Comitato Cittadini di Lariano, intervenuti in favore del Comune di Cori che, nei mesi precedenti, aveva presentato ricorso al TAR del Lazio contro il progetto di ampliamento dell’attività dello stabilimento.
La recente sentenza del Consiglio di Stato favorevole alla società travolge la precedente pronuncia del Tar del Lazio, che aveva accolto le istanze dei ricorrenti, annullando per illegittimità la determinazione regionale riguardante il provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) del progetto di ampliamento della società.
La sentenza, attesa a lungo e pubblicata con un tempismo probabilmente non casuale, del Consiglio di Stato conclude il processo amministrativo, contrariamente a quanto prospettato dall’ex Sindaco di Artena, e consente alla Fassa Bortolo di procedere con i lavori di ampliamento, a cui ci siamo opposti, come ricorrenti, per impedire il verificarsi di potenziali conseguenze negative sulla salute pubblica e sull’ambiente con gravi danni alle produzioni agricole locali, in considerazione delle carenze che abbiamo riscontrato nel procedimento autorizzatorio.
Dopo la sentenza si sono levate voci polemiche nei confronti dei ricorrenti da parte dell’Amministrazione comunale di Artena, all’epoca in carica, animate dal desiderio di dimostrarne la correttezza, pretendendo di far discendere dalla sentenza del Consiglio di Stato una sorta di riconoscimento della legittimità del procedimento seguito dagli Uffici.
Nulla di ciò è rintracciabile nelle 16 pagine della sentenza, che ha dato atto della tardività del ricorso del Comune di Cori, come si legge nel testo: “i provvedimenti di VIA e di AIA, in quanto dotati di autonoma efficacia lesiva rispetto al provvedimento di PAUR, avrebbero dovuto costituire oggetto di espressa impugnazione da parte del Comune di Cori entro il termine di 60 giorni decorrente dalla data della rispettiva pubblicazione sul BURL“.
Secondo la nostra lettura dell’intera vicenda, i fatti e gli atti delle Istituzioni rappresentative del territorio avrebbero messo in evidenza la loro incoerenza politica nel tutelare gli interessi della comunità a scapito del profitto di pochi, con la esplicita intenzione fuorviante di presentarsi come difensori del bene comune.
Non sembra esserci una ragione plausibile (o almeno noi non la conosciamo) per la quale il Comune di Cori non avrebbe partecipato nei 5 anni precedenti alle Conferenze di servizio e non avrebbe presentato osservazioni, né avrebbe precauzionalmente impugnato al Tar la VIA (Valutazione di impatto ambientale) e l’AIA (Autorizzazione integrata ambientale) nel momento della concessione, ovvero entro i famosi 60 giorni.
Solo ad autorizzazione concessa ha poi deciso di ricorrere al Tar del Lazio, condizionando così anche gli esiti successivi della sua difesa amministrativa.
Nè si è resa protagonista del dovere di trasparenza e di informazione verso la cittadinanza di quanto, da anni, si stava decidendo nel territorio, progettando l’ampliamento dello stabilimento, con un nuovo forno di calcinazione a ciclo continuo da alimentare mediante combustione con rifiuti di legno, e un nuovo impianto per la produzione di idrato di calcio. Forni di 32 metri – l’edificio più alto è di 60 metri – per un totale di 400 tonnellate al giorno, con 23 nuovi camini contro gli attuali 7.
Quando ne siamo venuti a conoscenza, solo a seguito della pubblicazione dell’autorizzazione, abbiamo lanciato il primo allarme, preoccupati sia delle evidenti carenze procedurali, sia del notevole impatto sanitario ed ambientale che deriverebbe dalla nuova attività dello stabilimento.
Il Comune di Artena, sotto la guida dell’ex Sindaco, a sua volta, ha cercato di accreditarsi garantista e legalitario, sebbene a noi sembri che abbia notevolmente limitato il suo intervento, lasciando spazio alla società di comporre la sua strategia, anziché operare fattivamente nell’interesse della comunità, come dimostra il fatto che non ha impugnato la VIA.
L’autodifesa della vecchia Amministrazione rende anche più pesanti le sue responsabilità circa l’obbligo di partecipazione del pubblico e per non aver coinvolto la cittadinanza e tutelato il territorio in sede di Conferenza di servizi, dove sono state riscontrate alcune incongruenze che attengono alle responsabilità del Sindaco quale massima autorità sanitaria del territorio.
La giustizia amministrativa non ha riconosciuto le nostre ragioni, ma non siamo vinti fintanto che il consolidamento di settori industriali, sempre più forti dell’appoggio degli Enti locali su cui esercitare pressioni politiche ed economiche, rafforza il senso di solidarietà e comunità del territorio, che continuerà la battaglia politica”.
Così, in una nota, Ina Camilli, rappresentante Comitato residenti Colleferro.