Accoltellato dalla figlia affetta da disagio psichico a Latina: è iniziato il processo per la donna accusata del parricidio
Si è aperto il processo davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Latina, presieduta dal giudice Gian Luca Soana – a latere la collega Eugenia Sinigallia e la giuria popolare -, a carico della 39enne Aurelia Porcelli, difesa dagli avvocati Daniele Giordano e Gaetano Marino. La donna oggi presente in aula è detenuta nel carcere di Rebibbia e deve rispondere del reato di omicidio volontario aggravato dal vincolo parentale per aver ucciso lo scorso anno il padre, ferendolo con una coltellata a casa: il 67enne Guido Porcelli, di professione operaio. A disporre il rinvio a giudizio è stato il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Laura Morselli, al termine della camera di consiglio dello scorso 10 luglio. Il Gup ha respinto la richiesta della difesa di un incidente probatorio con perizia psichiatrica.
Il pubblico ministero Martina Taglione, che ha rappresentato l’accusa oggi, 21 novembre, ha chiesto che agli atti siano acquisiti anche le consulenze mediche in riferimento all’esame autoptico e alla perizia medica. L’imputata, come ha fatto notare nella scorsa udienza l’avvocato Marino, ha già precedenti per maltrattamenti: una condanna a 1 anno di reclusione in un processo in cui le fu data la semi infermità mentale.
Ad essere ascoltati, rispetto al ferimento dell’uomo avvenuto il 22 settembre 2024 (ferimento che circa un mese dopo, il 26 ottobre, portò alla sua morte), due agenti della Polizia di Stato della Questura di Latina intervenuti in Viale Kennedy quando la madre telefonò alla sala operativa per dire che la figlia aveva accoltellato il padre. Uno degli agenti della Squadra Volante ha riferito che, un volta arrivati presso il condominio in zona cimitero, ascoltarono le urla, dopodiché salirono al terzo piano dove ad accoglierli c’era la donna, oggi imputata, Aurelia Porcelli: “Ci diceva che si voleva suicidare”. Sin da subito, nella casa, si vedevano tracce di sangue sul pavimento. Proseguendo all’interno della casa, i poliziotti trovarono anche coaguli di sangue e alcuni pezzi di cotone sporchi di tracce ematiche.
Nel mezzo della perquisizione, i poliziotti sentirono altre urla sentire da giù, nel cortile, e arrivando nei pressi parlarono con due donne e Guido Porcelli che disse subito: “Arrestatela perché questa mi vuole ammazzare”. I poliziotti scopriranno di lì a breve che una delle due donne era la moglie di Porcelli, mentre l’altra era una vicina di casa che stava aiutando ad adagiare la vittima. La vittima – Guido Porcelli, 67 anni – si riferiva alla figlia che l’aveva appena accoltellato con una vistosa ferita all’addome: un colpo netto e dritto. Gli stessi poliziotti, dopo aver perquisito la casa, trovarono l’arma del delitto – il coltello – nascosto sotto una coperta, posizionata su uno sgabello.
A parlare come secondo testimone, anche un poliziotto della Scientifica che, dopo la Squadra Volante, intervenne insieme ai suoi colleghi sul luogo del delitto per raccogliere tutte le fonti di prova. Il poliziotto della Scientifica ha confermato la presenza delle tracce ematiche all’interno dell’appartamento.
Momento clou dell’udienza odierna è stato l’esame della madre di Aurelia Porcelli, chiamata a ricordare il giorno del ferimento e della successiva morte del marito. La donna ha spiegato che l’imputato, all’epoca dei fatti, viveva con lei e il marito, avendo avuto in passato anche alcune convivenze, tra cui un matrimonio. “Aurelia si è sposata a venti anni e ha avuto un bambino che oggi ha 18 anni”. I coniugi Porcelli si trasferirono sa Sermoneta a Latina e con loro venne a vivere anche la figlia, Aurelia Porcelli, nel frattempo separatesi dal marito.
La madre dell’imputata ha ricordato di come Aurelia Porcelli, dopo aver subito un procedimento penale per maltrattamenti, non aveva più avuto la custodia del figlio che è stato dato in affidamento al padre. Secondo quanto ricordato dalla madre, l’imputata ha avuto anche un percorso al Sert e un periodo di forte depressione dopo che il bambino le era stato tolto. “Quando stava male, ci diceva se sentivamo il suono “Din Don”, anche noi non sentivamo nulla”.
Aurelia Porcelli, dopo l’allontanamento del figlio, ha iniziato a stare male dal punto di vista psichiatrico: “Lei ha studiato e si è diplomata anche al Conservatorio quando stava bene”. L’imputata ha lavorato nel suo passato, tuttavia il momento di rottura è stato individuato dalla madre di Aurelia Porcelli nell’allontanamento del bambino.
La 39enne tornò a vivere con loro dal primo settembre del 2024, dopo che i genitori avevano fatto intervenire i medici considerate le condizioni psichiche della donna. In diverse occasioni, Aurelia Porcelli si era allontanata da casa e più volte i genitori hanno chiamato le forze dell’ordine per trovarla: “Spariva senza darci notizie. Mio marito aveva contattato anche la trasmissione “Chi l’ha visto?”. A settembre 2024, peraltro, il marito si recò cinque volte in Questura per denunciare la scomparsa della figlia.
La madre dell’imputata ha raccontato una lunga trafila di comportamenti difficili da parte di Aurelia Porcelli, tormentata e con una dipendenza dalle droghe. “A mio marito – ha detto la donna in aula – la vita sregolata di Aurelia non andava bene. Delle volte andava via e ci chiamava la Polizia dopo che noi denunciavamo la scomparsa. Mio marito è stato un tipo geloso, che spesso controllava”.
Ad ogni modo, ad Aurelia è stato diagnosticato un disturbo bipolare, tanto da dover seguire una terapia farmacologica. “Ma lei non voleva prendere i farmaci – ha detto la madre in aula – Una volta Aurelia se la prese con me perché non aveva messo i panni nella lavatrice e iniziò a inveire contro di me”, Nella testimonianza, è uscita fuori una personalità violenta dell’imputata: “Una volta mio marito, esasperato, diede alcuni schiaffi sulla schiena ad Aurelia”. In un’altra occasione, invece, fu Aurelia a prendere l’auto rischiando di investire il marito. “Lei prese l’auto e il marito si mise davanti a lei perché non voleva che andasse in posti con ragazzi non raccomandabili e che facevano uso di sostanze. Mio marito tentò di impedirle di andare via, mettendosi di fronte alla rampa del garage e buttandosi sopra la macchina per non consentire ad Aurelia di andare via”.
“Non riuscivamo a farla stare bene”, questo è il cruccio ripetuto in aula dalla madre di Aurelia Porcelli. La mattina dell’accoltellamento, la madre andò a fare la spesa per il pranzo della domenica: “Mi scrisse le cose che voleva da mangiare. Io uscii fuori alle dieci di mattina. Quel giorno Aurelia era taciturno, ma in quel periodo lei stava meglio. Quando esco, mio marito stava facendo colazione e mia figlia stava a letto”.
La donna stette fuori una ventina di minuti. “Quando sono tornata, la porta era chiusa. Quando entrai vidi mio marito che era seduto e poi notai macchie di sangue sul pavimento. Vidi una ferita di qualche centimetro, piena di sangue, sotto l’ombelico. Capii che lui era andato al bagno e si stava medicando la ferita con l’ovatta”. Dopodiché la donna chiese al marito cosa fosse successo, sebbene l’uomo ripeteva: “Non lo so”. E anche Aurelia diceva al padre: “Cosa ti è successo, papà?”.
Una scena surreale. “Forse mio marito mi diceva così, che non sapeva cosa fosse successo, per non infierire sulla figlia”. Nel frattempo, avendo il marito chiamato il 118, arrivarono i soccorritori del 118 che non potevano salire su perché dovevano aspettare l’arrivo della Polizia. La donna chiese aiuto alla vicina di casa, dirimpettaia sul pianerottolo. Aurelia Porcelli continuava a ripetere agli infermieri: “Mio padre si è suicidato”.
Furono la moglie e la vicina di casa a sorreggere l’uomo e a portarlo giù così da consentire ai soccorritori del 118 di poter intervenire. “Anche mio marito – spiega la donna – diceva spesso: “Adesso mi impicco”. Una volta scesi giù, il marito si rivolse ai poliziotti e disse: “Mettete in galera mia figlia perché mi ha accoltellato. Nei giorni seguenti, in ospedale, mio marito mi disse che Aurelia l’aveva accoltellato per gelosia perché aveva elogiato i figli del fratello. Inoltre, sempre in ospedale, mio marito mi riferì che Aurelia stava sbraitando, dopodiché lo colpì col coltello”.
La donna ricorda che il marito le disse che Aurelia Porcelli, prima di accoltellarlo, si era lamentato con lui perchP avrebbe parlato male del figlio: “Sono cazzi tuoi, le avrebbe detto Aurelia. Così mi ha riferito mio marito”. È la stessa testimone a ricordare che fu lei a dire al marito di non elogiare i figli del fratello poiché Aurelia Porcelli sarebbe stata gelosa. In sostanza, l’imputata avrebbe interpretato l’elogio dei nipoti come fosse un insulto nei confronti del figlio. Un atteggiamento di complessi d’inferiorità, dettata da una situazione psichica critica.
La gelosia di Aurelia si sarebbe concretizzata anche per le condizioni economiche migliori del fratello e il fatto che aveva una bella famiglia. C’è di più. Aurelia Porcelli avrebbe visto la madre in atteggiamenti sessuali con un’altra persona. La donna, invece, nega in in un primo momento che la figlia abbia accusato il padre di abusi sessuali. Successivamente, si corregge: “Aurelia disse alla guardia medica di essere stata abusata dal padre. Ma fu il medico stesso a dire che delirava”.
In un’altra occasione, il marito si lamentò con la moglie perché la figlia si era avvicinata a lui completamente nuda: “Me lo disse mio marito. Era in grande agitazione per questa cosa”. Il pubblico ministero chiede più volte alla donna se era a conoscenza che la figlia diceva di aver subito abusi sessuali dal padre: “Quando lei stava male, mi diceva che io stessa avevo avuto rapporti sessuali con una persona che non conosco”.
Anche nell’esame svolto dall’avvocato difensore Giordano, emerge una situazione difficile in cui Aurelia Porcelli più volte si era allontanata più volte, non andando d’accordo con i genitori e i compagni che ha avuto (tra cui anche un uomo agli arresti domiciliari), oltreché ad essere stata ricoverata in diverse occasioni. Ma la madre ammette: “Sospettavamo che lei utilizzasse anche droghe pesanti”. Un sospetto più che solido, visto che l’imputata si è trovata in carico al Sert.
Alla madre e al marito, uno dei compagni della donna inviò un audio che riproduceva gemiti sessuali. In un’altra occasione, un ulteriore compagno disse alla madre che la figlia aveva avuto rapporti sessuali con più persone. Secondo la difesa, invece, ci sarebbe un video inviato ai genitori che avrebbe ritratto la figlia in un rapporto sessuale multiplo.
Ultima testimone di giornata è stata la vicina di casa che aiutò la madre di Aurelia a portare giù, nel cortile, Guido Porcelli dopo il ferimento col coltello. La vicina di casa ha detto di non aver mai saputo della situazione difficile all’interno di casa Porcelli. “Solo in una occasione, sentii la madre e la figlia urlare dentro il pianerottolo. Io intervenni per separarle, dopodiché accompagnai in casa Aurelia per tranquillizzarla”. Del giorno del ferimento, la vicina di casa ricorda le grida sul pianerottolo e una voce gridava aiuto: “Qualcuno suonò alla porta di casa. Io trovai di spalle Guido e la moglie vicino all’ascensore. Non c’era sangue. Non mi ricordo chi ma sentii la frase: “Mi ha accoltellato”. Quando sono risalita, Aurelia era seduta sul pianerottolo, ma non mi disse niente. Mentre risalivamo, la signora Porcelli mi disse che la figlia aveva accoltellato il marito”. La vicina di casa sorresse Guido Porcelli ferito, insieme alla moglie, portandolo nel cortile dove c’erano i soccorsi. “Era appena arrivato il 118. Guido fu caricato in barella”.
Il processo, che riprenderà il prossimo 27 gennaio, vedrà l’esame dei tre consulenti del pubblico ministero e l’eventuale esame dell’imputata.
L’ARRESTO DELLA DONNA – Nell’autunno 2024, dopo l’arresto, la donna si era avvalsa di non rispondere davanti al giudice per le indagini preliminari. La difesa non aveva chiesto per lei nessuna misura meno afflittiva rispetto al carcere di Rebibbia dove era reclusa, anche in ragione del fatto che, dopo il primo arresto e la fuga dall’ospedale, la donna non avrebbe avuta alcuna struttura sanitaria dove poter essere accolta.
Erano stati i Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Roma Trionfale e della Stazione di Roma Tomba di Nerone ad arrestare lo scorso 30 ottobre, la 39enne di Latina, Aurelia Porcelli, accusata di omicidio volontario del padre morto dopo circa un mese di agonia presso l’ospedale civile “Santa Maria Goretti” di Latina in seguito al fendente all’addome scagliatogli contro dalla figlia.
Nello specifico, una chiamata arrivata al 112, aveva permesso ai Carabinieri di rintracciare la donna a Roma, in largo Sperlonga, mentre era ospite a casa di una conoscente che era stata a sua volta denunciata per favoreggiamento; l’avrebbe infatti aiutata, ospitandola a casa sua dopo che la donna indiziata dell’omicidio del padre, era evasa dal reparto di psichiatria dell’ospedale civile di Latina, dove era sottoposta agli arresti domiciliari. I Carabinieri, con un dispositivo di sicurezza, erano entrati in casa, avevano trovato la donna evasa e l’avevano condotta presso il carcere di Roma Rebibbia.
Guido Porcelli, infatti, era stato accoltellato domenica 22 settembre dalla figlia 39enne che presenta alcuni disagi psichici. L’uomo, purtroppo, dopo circa un mese di agonia, non ce l’aveva fatta ed era deceduto in seguito alla ferita profonda all’addome che la figlia le aveva causato attraverso un un coltello da cucina. Sottoposto a diverse operazioni chirurgiche, l’uomo era morto nel reparto Rianimazione dove era ricoverato dallo scorso mese di settembre.

La figlia era ufficialmente ricercata perché era fuggita dal reparto psichiatrico del Santa Maria Goretti dove era stata trasportata. Per lei, al netto dei gravi disagi psichici, era mutato, almeno nelle fasi d’indagine, il capo d’imputazione dopo la morte del padre: da tentato omicidio a omicidio volontario aggravato dal vincolo di parentela con la vittima.
Dopo la tragedia consumatasi in casa, la 39enne, che viveva in casa con il padre, era stata interrogata dal magistrato prima che evadesse dal nosocomio civile di Latina. La 39enne aveva risposto alle domande del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, Mara Mattioli, dall’ospedale civile di Latina “Santa Maria Goretti” dove era ricoverata sin da quando è stata arrestata.
La donna aveva detto di non ricordare nulla dell’accaduto e del perché avesse accoltellato il padre 67enne mentre l’uomo si trovava dentro il suo letto. Anzi, nel merito, non ricordando l’accaduto, aveva negato di aver accoltellato l’uomo, suggerendo invece che fosse stato il padre a volersi suicidare.
Il fatto di sangue era accaduto intorno alle ore 9,30, a Latina, nella zona del cimitero, in viale Kennedy. La donna aveva ferito all’addome il padre di 67 anni mentre entrambi si trovavano dentro casa.
Le cause dell’aggressione sarebbero ascrivibili alla circostanza per cui la donna era affetta da tempo da criticità psichiche molto complicate che la costringevano ad assumere farmaci. Sul posto, dopo l’aggressione, si erano recati gli agenti di polizia della Squadra Volante della Questura di Latina e gli specialisti della Polizia Scientifica per accertare con chiarezza il quadro in cui era avvenuto il fatto violento.
A soccorrere l’uomo, che perdeva molto sangue dal torace, in seguito al fendente della figlia sferrato con un coltello da cucina, erano stati gli operatori del 118 con un’ambulanza e un’auto medica che avevano valutato immediatamente il trasporto del ferito al Santa Maria Goretti. Il 118 era stato chiamato dalla moglie dell’uomo nonché madre della donna che era fuori a fare la spesa; tornando, si era accorta di quanto era avvenuto.
Nel nosocomio civile pontino, il 67enne era stato sottoposto subito a un intervento chirurgico per fermare l’emorragia di sangue. L’uomo, operato più volte in seguito, si trovava in terapia intensiva nel reparto Rianimazione, anche perché il ferimento aveva toccato organi vitali e il caso era molto delicato. Nonostante un leggero miglioramento nei giorni a seguire, il 67enne era deceduto.
La figlia dell’uomo, viste le sue condizioni, era stata trasferita, in stato di arresto disposto dal magistrato di turno della Procura di Latina, presso il Santa Maria Goretti di Latina. Prima della fuga, la donna si trovava ricoverata presso il reparto specializzato Spdc (Servizio psichiatrico diagnosi e cura).
Il coltello con cui era stato ucciso il padre era stato ritrovato dalla Polizia all’interno della camera della donna sotto un panno. Il sostituto procuratore di Latina, Giorgia Orlando, aveva nominato un medico legale, Maria Cristina Setacci, che ha svolto l’autopsia sul corpo dell’uomo.
