Operazione della Squadra Mobile di Latina: eseguite cinque misure cautelari per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso
Una casa nel quartiere di Campo Boario, in Via Attilio Regolo, diventa l’oggetto dell’ultima indagine della Squadra Mobile di Latina, guidata dal vice questore Mattia Falso, sfociata oggi, 11 luglio, in quattro arresti e un divieto di dimora, su richiesta dei sostituti procuratori della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Luigia Spinelli e Francesco Gualtieri. L’ordinanza è stata firmata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, Gabriele Tomei.
La Polizia di Stato di Latina, questa mattina, infatti, ha eseguito le cinque misure cautelari nei confronti di altrettante persone per il reato di tentata estorsione, aggravata dal metodo mafioso.
Le indagini, condotte dai poliziotti della Squadra Mobile, hanno avuto origine dalla denuncia sporta nell’ottobre del 2023 da un cittadino di Latina, un commerciante cinquantenne. Un onesto lavoratore che, ad un certo punto, si è trovato nella stretta di personaggi già noti alle cronache giudiziarie. L’uomo ha trovato la forza di denunciare quanto gli stava accadendo: un aspetto che dalla Polizia di Stato sottolineano per rimarcare il valore della denuncia e la possibilità di rivolgersi agli organi compententi.
È proprio il commerciante che riferisce ai detective della Squadra Mobile di aver subito pressioni tanto da essere costretto a vendere l’appartamento in Via Attilio Regolo aggiudicato nell’ambito di un’asta giudiziaria. Il problema è che in quell’appartamento hanno risieduto fino allo svolgimento dell’asta una donna ed il compagno, ritenuto vicino a clan camorristici della città di Napoli. Si tratta di Salvatore Ciotola (estraneo alle indagini odierne), ristretto ai domiciliari dall’autunno scorso a Latina, per via della condanna a 22 anni di reclusione passata in giudicato, in riferimento all’omicidio di camorra di Gaetano Marino detto Moncherino McKay. Erano i tempi della faida interna agli scissionisti di Secondigliano.
Ciotola era l’uomo che fungeva da basista/specchiettista a Terracina, insieme a Carmine Rovai, per il commando che fece fuori il boss di camorra sul lungomare terracinese il 23 agosto 2012. Gaetano Marino, detto Moncherino McKay (il boss, in vita, aveva perso le mani a causa di uno scoppio di un ordigno che stava piazzando lui stesso), fu ammazzato a colpi di pistola davanti ai bagnanti nella canicola estiva di 12 anni fa.
Il giorno dopo il delitto, l’auto dei basisti fu ritrovata a Terracina nei pressi dell’abitazione di Carmine Rovai. Si arrivò così anche a Salvatore Ciotola. I due sono originari di Monterosa e in contatto con i clan di Secondigliano. Quando furono convocati come testimoni nel commissariato di Terracina non si accorsero di essere intercettati e si scambiarono commenti sui dettagli e le risposte da dare. Le indagini, quasi da subito, si arricchirono delle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: Giuseppe Ambra che ha svelato la strategia scelta dai boss per scegliere le vittime da colpire, e Pasquale Riccio che ha spiegato l’organizzazione del delitto. “Gaetano Marino era in vacanza a Terracina. Venne incaricato (ndr: un loro uomo) di affittare una casa come appoggio per il gruppo di fuoco. La casa era proprio in centro, c’erano tute le immagini di santi e papi”. Arcangelo Abbinante, ritenuto l’esecutore materiale del delitto e Giuseppe Montanera, presunto componente del commando, sono stati condannati al carcere a vita.
Insomma, un personaggio non proprio dal passato tranquillo, Ciotola. Il 61enne viveva a Latina insieme alla moglie Lucia Balestrieri, destinataria quest’oggi del divieto di dimora da Latina. Tuttavia la mandante dell’estorsione è la sorella della donna, Patrizia Balestrieri, di Scampia, ex proprietaria dell’appartamento in Via Attilio Regolo a Campo Boario. Gli approfondimenti svolti dalla Squadra Mobile di Latina, successivamente, hanno consentito di acquisire gravi indizi di colpevolezza in ordine alla commissione di una serie di atti intimidatori realizzati, a partire dal luglio dello scorso anno, ad opera di tre soggetti coinvolti da Patrizia Balestrieri per spaventare l’acquirente. Uno dei soggetti è stato ritenuto in passato organico a Cosa Nostra agrigentina. Si tratta di Ignazio Gagliardo, ristretto anche lui in carcere insieme al romano Paolo Vecchietti. Gagliardo, arrestato a Roma dalla Mobile, non è proprio un personaggio che passa inosservato. In passato, l’uomo è stato in rapporti con un imprenditore, poi destinatario di un sequestro da 120 milioni di euro. Tra i suoi precedenti anche l’omicidio e il traffico d’armi.
Ad ogni modo, dopo l’asta giudiziaria, comincia l’incubo per il commerciante pontino. Nel corso di alcuni incontri, alla vittima sarebbe stato consigliato di vendere l’immobile ad un prezzo inferiore a quello di mercato ai precedenti proprietari, presentati come persone poco raccomandabili originarie di Napoli, con l’avvertimento che rifiutare tale proposta lo avrebbe esposto a non meglio specificate ritorsioni. In occasione di alcuni incontri vi sarebbe stata l’opera di mediazione svolta da un esponente di una famiglia di etnia rom stanziale nella città di Latina: Ferdinando Di Silvio detto “Gianni” o “Zagaglia” (49 anni).
“Gianni”, fratello del boss di Campo Boario Armando Di Silvio detto “Lallà”, condannato per associazione mafiosa definitivamente nel processo “Alba Pontina”, era forse l’ultimo dei personaggi di rilievo nella galassia delle famiglie di origine rom rimasti in libertà. Peraltro la loro base si trova in Via Muzio Scevola, proprio nel quadrante dove si trova Via Attilio Regolo, nel mezzo del quartiere di Campo Boario.
Archiviata la sua posizione per l’omicidio di Massimiliano Moro, “Gianni” si sarebbe presentato dal commerciante e sin da subito avrebbe fatto sentire il peso criminale del suo nome: “Sai chi sono io, non c’è bisogno che ti spieghi niente”.
Successivamente, al commerciante sarebbe stato comunicato che i precedenti proprietari non erano più interessati a rientrare in possesso dell’abitazione, ma pretendevano 12.000 euro per considerare chiusa la questione. Ai suoi tentennamenti, l’esponente della famiglia di etnia rom avrebbe dunque affermato di non poter fare più nulla per aiutarlo, lamentandosi altresì per la mancanza di rispetto subita e pretendendo, per ciò solo, il pagamento immediato di 2.000 euro.
Un quadro indiziario rilevante quello delineato dall’attività di indagine svolta, che ha portato all’esecuzione di quattro misure di custodia in carcere – Ignazio Gagliardo, Ferdinando Di Silvio detto “Gianni” o “Zagaglia”, Patrizia Balestrieri e Paolo Vecchietti – di un divieto di dimora – Lucia Balestrieri -, eseguite tra le città di Latina, Roma e Napoli. Contestualmente, sono stati eseguiti decreti di perquisizione personale e locale nei confronti di tutti gli indagati e presso la sede legale e le unità locali di una società riconducibile a Gagliardo. Accertamenti che potrebbero rivelare altre dinamiche attorno all’ex boss di Cosa Nostra agrigentina trapiantato a Roma.