Udienza drammatica nel processo che vede sul banco degli imputati un uomo di Terracina accusato di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e sequestro di persona ai danni dell’ex moglie
“Mi ha portato a Borgo Hermada, mi ha schiaffeggiato e ha iniziato a inveirmi contro. Poi ci siamo fermati più volte e alla fine, in un posto isolato, ha abbassato il parasole, ha tirato fuori il coltello e me lo ha messo al collo”. È stato questo uno dei passaggi più difficili della testimonianza della ex moglie dell’imputato, 40enne di Terracina, accusato di maltrattamenti, sequestro e violenza sessuale.
Parole, quelle della donna, anche lei di Terracina, costituitasi parte civile e difesa dall’avvocato Alfonso Donnarumma, impiegata in un posto pubblico e vittima, secondo l’accusa, delle angherie dell’ex compagno con cui ha avuto una figlia, oggi adolescente. Ma la testimonianza ha raggiunto il suo livello di drammaticità più alta quando la donna è stata costretta a parlare di quel passaggio in auto non voluto: “Venne a casa mia, mi disse di scendere e poi mi ordinò di salire in macchina”.
Dopo aver intervallato il racconto di lacrime e singhiozzi, la donna, madre di altre due figlie avute da una precedente relazione, è stata costretta a raccontare molto altro. “Mi ha messo le mie mani sull’impugnatura del coltello e mi diceva: “Se succede qualcosa ci sono le tue impronte sul coltello”.
“Poi, ha ripreso la corsa con l’auto e mi ha portato su un’altra via, sulla Migliara. Lì ha continuato a schiaffeggiarmi, mi ha portato in un’altra strada verso il cimitero di Borgo Hermada ed è sceso dall’auto. Mi ha fatto scendere e mi ha stretto il braccio. Poi, mi ha portato sul lato del conducente, mi ha spostato i pantaloncini e le mutande e mi ha violentato tenendomi da dietro mentre io avevo la faccia rivolta all’auto“.
L’incubo non è finito qui. “Quando gli ho detto più volte che mi stava facendo male, si è girato verso di me, mi ha preso la testa e ha preteso un rapporto orale. Finito tutto, mi ha portato a casa e gli ho detto che mi faceva schifo e me ne sono andata. Sono salita in casa, ho salutato le mie figlie e sono andata in bagno. Mi sono lavata e ho visto che avevo delle perdite di sangue, ho iniziato a piangere dentro il bagno”.
È questo il racconto crudo della donna che oggi, 3 luglio, è stata chiamata a testimoniare come persona offesa davanti al terzo collegio del Tribunale di Latina, presieduto dal giudice Mario La Rosa. L’imputato era presente, seppure ai domiciliari, difeso dall’avvocato Ezio Lucchetti.
Il 40enne è stato arrestato lo scorso 25 novembre, proprio nella giornata contro la violenza sulle donne, dagli agenti del Commissariato di Polizia di Terracina dove la donna, esasperata dall’ennesimo gesto di violenza subito, aveva denunciato l’uomo a ottobre. La goccia che ha fatto traboccare il vaso non fu lo stupro che avrebbe subito, ma un altro episodio. La violenza sessuale, infatti, non fu denunciata quando avvenne, ossia il 30 agosto 2024, intorno alle due del pomeriggio, per strada. Il perché lo ha spiegato la donna in aula: “Mi vergognavo ad andare al pronto soccorso e non volevo far sapere a mia figlia cosa aveva fatto il padre. Mia figlia ancora non sa niente. L’episodio della violenza sessuale l’ho raccontato ad alcuni amici e a mia sorella”.
La donna decide di denunciare quando, pur avendo l’ex marito detto di lasciarla stare dopo l’episodio della violenza sessuale, subisce un’aggressione. “Mi tirò i capelli talmente forte che suo fratello mi disse che cosa avessi fatto in testa. Era tutta rossa, la toccai e mi rimasero in mano mazzi di capelli. Da quel momento ho avuto paura e ho denunciato tutto alla Polizia”.
A rendere ancora più tetro il quadro c’è un altro aspetto. La donna ha raccontato di essere stata lasciata dall’uomo quando stava facendo la chemioterapia per un cancro. Dopodiché il suo ex, che ormai aveva un’altra relazione, si ripresentò più volte da lei, fino ai due episodi più eclatanti: lo stupro e l’aggressione con la violenta tirata di capelli.
Secondo quanto raccontato in aula, non ci sarebbero state solo violenze fisiche. “Mi chiamava in continuazione, anche sul luogo di lavoro. Mi diceva: “ti meriti che ti venga un cancro”, e si augurava che fossi violentata “da un gruppo di extracomunitari”.
Nella denuncia-querela – spiegava un comunicato della Polizia di Stato – “la donna ha raccontato di plurime condotte illecite da parte dell’ex compagno il quale, incapace di gestire la propria aggressività, dopo aver preso atto della impossibilità di riprendere il rapporto sentimentale con la persona offesa, dava sfogo a tutta la sua rabbia e poneva in essere atti aggressivi nei confronti dell’ex moglie.
Sempre nel corso della denuncia, la donna riferiva che fin dall’inizio della sua relazione con l’indagato, durata diversi anni, questa era connotata dalle intemperanze caratteriali e dall’indole aggressiva dell’ex compagno che più volte, anche per futili motivi, manifestava la propria rabbia con atti di violenza posti in essere anche alla presenza dei figli minori.”
La relazione sentimentale a seguito delle condotte dell’indagato si interrompeva e iniziava diverse volte per chiudersi definitamente all’inizio del 2024. “Tale decisione non veniva accettata dall’indagato il quale iniziava a porre in essere condotte persecutorie nei confronti della parte offesa seguendola ad ogni spostamento, inviandole numerosi messaggi a contenuto minatorio nonché molestandola telefonicamente ad ogni ora del giorno e della notte. Tali condotte vedevano il loro apice quando l’uomo, sotto minaccia, costringeva l’ex moglie ad avere un rapporto sessuale completo non consensuale. Oltre a molteplici gravissimi episodi di violenza fisica venivano segnalate le continue ed efferate minacce che l’indagato proferiva nei confronti della donna a cui, in più occasioni, ribadiva la sua volontà di ucciderla.
I fatti riferiti dalla vittima, riscontrati da efficaci e tempestivi approfondimenti investigativi, anche con l’audizione di persone che avevano raccolto le confidenze della donna o avevano assistito alle esplosioni di violenza dell’indagato, hanno permesso di ricostruire un grave clima di violenze domestiche che, alla Procura di Latina, ha indotto quest’ultima a richiedere idonea misura cautelare al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina che, concordando con il quadro indiziario prospettato, emetteva la misura del carcere”. Una misura poi convertita in quella più lieve dei domiciliari.
Il processo riprende il 9 ottobre con quattro testimoni del pubblico ministero. Oggi, sicuramente, anche perché minuziosamente esaminata non solo dal pm e dal difensore dell’imputato, ma anche dallo stesso Tribunale che ha voluto mettere in fila anche i particolari più difficili (quelli dello stupro), si è consumato in aula il dramma di una donna costretta necessariamente a ripercorrere un passaggio della sua vita da dimenticare.